In memoria dell’Autobianchi e d’altro ancora

A nessuno piace commemorare i fallimenti o comunque le cose che sono finite come non si pensava che potessero finire. Si potrebbe cominciare così oppure con un incipit diverso sintetizzabile più o meno in questi termini: ci fu un tempo in cui se le imprese italiane volevano espandersi, lo facevano senza allontanarsi da casa, con qualche rischio e tanta fantasia. E in quel tempo la Fiat e la Pirelli potevano anche fare due conti e scoprire che mettere mano al salvataggio della Bianchi sarebbe tornato utile all’una per ampliare il target dei propri modelli e all’altra per incrementare la produzione di pneumatici. E così sessant’anni fa, esattamente l’11 gennaio 1955 nacque l’Autobianchi sulle rovine di un’azienda, quella fondata da Edoardo Bianchi per produrre biciclette, motocicli e anche automobili di una certa qualità.

Andò così: idea dell’ex direttore generale della Bianchi Ferruccio Quintavalle, 3 milioni di capitale, fabbrica a Desio e ripresa della produzione ormai quasi azzerata. Nel 1958 Fiat e Pirelli rilevarono la quota Bianchi e dieci anni più tardi la società passò per intero sotto l’ombrello Fiat, lo stesso che un anno più tardi accoglierà la Lancia con la modica spesa di una lira simbolica (più i debiti). La Bianchina, la Stellina, la A112 ( 1 milione e trecentomila esemplari prodotti) e infine la Y10 (un milione e mezzo) appartengono a quella storia che oggi si fatica a rintracciare persino negli archivi. E dopo tutto, che senso ha parlare di salvataggi italiani, in tempi di globalizzazione? Sarebbe soltanto un anacronistico guardare indietro. La generazione della rottamazione la definirebbe soltanto una inspiegabile nostalgia. Roba che per come sono ormai frequentati i mercati mondiali dell’auto non troverebbe una minima giustificazione.

E allora perché parlarne? Perché la nascita dell’Autobianchi, in epoca in cui la mappa dei costruttori italiani era stata disegnata seppure in via non definitiva, fu un’operazione che coincise con un anno importante per la motorizzazione di un paese come l’Italia che era da poco uscito a pezzi dalla seconda guerra mondiale. In quel 1955 venne infatti approvato dal governo il primo piano decennale delle costruzioni autostradali previsto dall’articolo 3 della legge del 21 maggio poi passata alla storia come “legge Romita”, dal nome del ministro dei Lavori Pubblici, il socialdemocratico Giuseppe Romita. Essa impegnava l’Iri alla realizzazione di un asse autostradale nord-sud che avrebbe dovuto collegare Milano a Roma e a Napoli. Per la verità l’idea era stata avanzata già nel 1972 da Agip, Fiat, Pirelli e Italcementi, ma poi lo studio di fattibilità era passato all’Iri.

Avviati nel maggio del 1956 i lavori di questa imponente opera furono completati appena otto anni dopo: l’Autosole venne infatti inaugurata il 4 ottobre 1964. Milano e Napoli erano più vicine di quanto non lo erano mai state nella loro storia in un’Italia che aveva cambiato volto con una rapidità che non sarebbe stata mai più eguagliata. E allora? Che dire: erano proprio altri tempi, per la Fiat, per la Pirelli e per un paese che riusciva a realizzare un’autostrada come la Milano Napoli in molto meno tempo di quello impiegato tanti anni dopo per la modesta Asti Cuneo. Che sia anche per questo che oggi si pensa a operazioni come quella dell’Autobianchi come a imprese improponibili? Può darsi, ma non certo solo per questo. C’è altro in un mondo messo a soqquadro della globalizzazione. Ma quando si pensa alle meno di 400 mila automobili prodotte in un paese nel quale se ne vendono quattro volte di più e si prova a ripercorrere con la memoria la storia degli ultimi sessant’anni dell’industria italiana dell’auto, allora può sorgere qualche dubbio.

2 commenti
  1. Mister X
    Mister X dice:

    bisogna prendere atto che costruire auto in un paese come l’Italia non e’ piu’ convegnente o meglio, non abbastanza. Tanto e’ vero che quando capita raramente che accada, la Casa di casa si affretta a ricordalo persino nella pubblicita’ : “disegnata, progettata e costruita in Italia” .Stiamo parlando della Fiat 500X, la sostituta della Fiat Sedici che era progettata in Giappone e costruita in Ungheria. Evviva

  2. Autologia
    Autologia dice:

    Ecco spiegato chiaramente la differenza tra l’epoca degli industriali e quella dei finanzieri. Quando si guadagnava producendo qualcosa di concreto e quando si guadagna facendo fruttare i capitali. Ma dove porterà questa strada?

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