La chiameremo: “Monza”
Il mito colpisce ancora: dal 1931 una decina di vetture hanno adottato, ufficialmente o di fatto, il nome del circuito più famoso al mondo. Un’Alfa Romeo, un’Auto Union, tre Ferrari e una Mercedes, per rievocare vittorie o record passati alla storia. Ma anche altri marchi, da Chevrolet alla galassia General Motors, hanno più o meno pretenziosamente ammiccato al tempio della velocità per rendere appetibili i loro modelli. E non è ancora finita.
Non è stato il primo circuito al mondo, ma seguendo le orme di Brooklands e Indianapolis, Monza si aggiunge nel 1922. La sua fama dilaga, il nome gira il mondo, e prima ancora di entrare nella storia diventa già un marchio appetibile, da aggiungere a quelli di vetture che hanno corso, vinto o addirittura trionfato sul velocissimo circuito brianzolo. Le regole non sono scritte, non è ancora tempo di lotte commerciali e le corse sono quelle in pista, non alle registrazioni. È normale che dopo una particolare vittoria, il modello o la configurazione di una vettura da gara, che allora si poteva tranquillamente comprare, assuma il nome del circuito.
La prima, giocando in casa, è Alfa Romeo: varie versioni della fantastica 8C 2300 sono completate dal nome dei circuiti per i quali è preparata. Vince ovunque e con “Monza” celebra la vittoria più amata, il 4 maggio 1931 con Campari e Nuvolari. Un successo che continua alle aste, superando ogni record per un’Alfa Romeo.
Trascorrono una ventina d’anni: siamo nel 1954 quando la monoposto Mercedes W196 in versione carenata esordisce al Gran Premio di Francia, ma il 5 settembre, con la vittoria di Fangio, è chiamata “Typ Monza”. Sorprendente come scatti l’emulazione: dallo stesso anno tre vetture del Cavallino si fregiano del prestigioso nome: la prima è la 750 Spider del 1954, una quattro cilindri da tre litri con carrozzeria Scaglietti, segue la 250 con motore V12 (quattro soli esemplari carrozzati barchetta da Scaglietti e Farina), per concludere l’epopea del nome con la Ferrari 860 del 1956, l’ultima quattro cilindri modenese.
Le velocità raggiungibili sui lunghi rettilinei del circuito brianzolo invoglia alla conquista di nuovi: sempre nel ’56 la tedesca Auto Union allestisce in piccola serie una leggerissima coupé Dkw con carrozzeria di plastica. Spinta da un motore di 900 cc, tre cilindri a due tempi da 40 CV che, considerando il numero di scoppi per giro, è assimilabile a un sei cilindri, da cui la formula accanto al nome “3=6”. L’auto raggiunge i 140 km/h, conquistando cinque record di categoria in un evento senza soste di settantadue ore, consacrati dal magico nome di “Monza”.
Ancora qualche anno, e ci trasferiamo al di là dell’oceano: nel 1962 Chevrolet costruisce una versione della particolare Corvair chiamata “Monza Club”. L’auto non ha alcunché di sportivo ma lo stesso anno al New York Auto Show appare un prototipo che si chiama Corvair Monza GT: ha carrozzeria in vetroresina e linee che anticipano le Corvette dal ’68. La concept conserva solo il motore sei cilindri boxer posteriore dalla strana berlina originaria, e una versione scoperta, denominata SS Concept è mostrata l’anno successivo.
General Motors a quel punto registra il marchio, che riappare con la (scarsamente) sportiva coupé Opel Monza del 1978 derivata dalla berlina Senator, commercializzata
Sui alcuni mercati con i marchi Holden e Vauxall, sempre seguiti dal nome “Monza”. E sarà seguita anche da una concept cabrio, mai entrata in produzione. Sembrerebbe finire così la storia della auto con nome “Monza”, invece c’è anche una curiosità: un’azienda che arricchisce gli allestimenti su altre vetture lo registra scrivendolo al contrario, ed ecco “Aznom”. Poi, al Salone di Francoforte 2013, è esposta la Opel Monza Concept…
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