L’atroce destino di Alberto Alberti

L’Ospite di Autologia: Beppe Donazzan, giornalista.

Al parco assistenza di Salsomaggiore si fissarono l’un l’altro. Con espressioni di stupore. C’erano Bettega, Vudafieri, Tabaton, “Lucky”, Tognana, “Tony”, Cerrato, Biasion e anche Bernard Beguin, con la Porsche 911 SC, impegnato nell’Europeo.
Era finita la prima sequenza di prove speciali su asfalto e in testa al Quattro Regioni, metà maggio 1980, c’era Alberto Alberti su Stratos. Macchina rossa, tettuccio bianco, numero 36 sulle portiere, navigatrice la sorella Maddalena. Guardarono e riguardarono i fogli con i tempi delle PS per essere sicuri che non ci fossero errori. Pareva quasi uno scherzo. Loro ufficiali dietro ad un giovane mai visto né conosciuto. Più di qualcuno domandò: “Chi è?”. Dopo una breve indagine vennero a conoscenza che correva sulle strade di casa. Non una notizia tale, comunque, da giustificare un’impresa del genere. Ai giornalisti che gli chiedevano lumi sulla sua prestazione, il giovane si era schernito: “Io non sono andato veloce, sono gli altri che, probabilmente, hanno sbagliato…”, rispose timidamente.
Alberto invece era andato forte, tanto forte, perché tutti avevano schiacciato come assassini. Ventiquattro anni, studente universitario, nato nel 1956 a Santa Margherita nell’alta Valle Staffora. Abitava nella frazione di Sala, un pugno di case aggrappate al crinale selvaggio della montagna.
Suo padre Giovanni, imprenditore edile, correva da tempo. Velocità in pista e corse in salita con i prototipi. Anche Alberto fu contagiato dalla velocità. Monoposto, ruote scoperte con la Fiat Abarth, la formula propedeutica per capire le reali potenzialità. Che si videro subito.
Nel 1979, con una Stratos, si mise in evidenza sulle prove in pista al Giro d’Italia battagliando con i migliori. I rally arrivarono per caso, perché le strade di casa erano quelle del Quattro Regioni. Così si iscrisse con la Stratos. Doveva essere una prova da “c’ero anch’io”, invece aveva innestato la marcia del protagonista.
Il rally si spostò quindi nell’Oltrepo Pavese, con le prove sterrate. La mancanza d’esperienza sulla terra e le difficili condizioni atmosferiche, ridimensionarono prestazioni e classifica. Tornato nella normalità, pur viaggiando su ritmi elevati. Non poteva essere diversamente. Quando il rally tornò sull’asfalto, riecco comparire la Stratos di Alberto.
Tempi pazzeschi, che fecero esultare le migliaia e migliaia di appassionati assiepati lungo le strade. Ma osò, osò tanto, volò fuori strada e dovette ritirarsi. Vinse Bernard Beguin, in coppia con Jean Jacques Lenne. Per tutti il pilota della corsa però fu lui.
La straordinaria prestazione e l’improvvisa notorietà lo portarono ad interrogarsi su cosa fare. L’indecisione si insinuò in lui. Tornare in pista o continuare con i rally? Si iscrisse al Ciocco e il 26 giugno, poco più di un mese dopo l’exploit sulle strade di casa, rieccolo in gara. Altra grande prova di forza, si ritirò quanto era quarto assoluto. A quel punto non ebbe più dubbi sulla direzione da seguire. A luglio era previsto il Colline di Romagna, classica del campionato italiano. Abbandonata la tappa sullo sterrato, per gli alti costi di ripristino delle strade, Davide Gramellini aveva messo assieme una gara tiratissima su asfalto. Uno stimolo in più per Alberto.
Il 12 luglio iniziò le ricognizioni della corsa che si sarebbe disputata il 19 e 20 luglio.
Lasciò la Stratos in un’officina di Castrocaro Terme, per un problema. Affrontò le prove con una Porsche Carrera, assieme al navigatore Barriani. Il padre Giovanni, assieme al meccanico di fiducia Ivano Albertazzi, lo seguiva su un’altra vettura. Era notte fonda quando Alberto affrontò la “speciale” Monte Faggiola. 15 km e mezzo difficili, 9 km di salita, carreggiata molto stretta, parecchi ponti da superare, fino al valico del Monte, poi giù a capofitto, con la strada che si allargava e diventava veloce. La fine era poco prima dell’abitato di Coniale. Qui, nel tratto finale, la bella favola di Alberto Alberti si trasformò in tragedia. Un attimo. La Porsche sbandò, uscì di strada e si schiantò contro un albero. Pochi minuti, sul posto arrivò il padre. Che vide, che si precipitò, che capì, che fece di tutto per fare presto. Il copilota Barriani, ferito, non era grave. Per Alberto invece, la situazione apparve drammatica. Assieme ad Albertazzi caricò in macchina il figlio. Partirono a tutta velocità per Faenza, l’ospedale più vicino. Alberto spirò tra le braccia del padre durante il tragitto.
Il 12 luglio 1980. Un destino atroce.
Se ne andò così un giovane pilota dal grande avvenire.
Nel dicembre 1981 nacque la scuderia Alberto Alberti. In suo onore. Per non dimenticare. Il padre Giovanni, trafitto dal dolore, negli anni a seguire riprese il volante. Nel 1987, a settant’anni, vinse il rally delle Madonie con una Lancia 037. Concluse l’attività sportiva nel 1993 a 76 anni.
Sempre con Alberto nel cuore. (Tratto dal libro “Sotto il segno dei Rally Vol. 2” di Beppe Donazzan, Giorgio Nada Editore – Giunti).

3 commenti
  1. Mauro
    Mauro dice:

    Io abitavo a 50 metri da dove a avuto l’incidente la frazione si chiama bignano erano già qualche giorno che questa porche passava quella notte mio fratello era sul terrazzo che stava guardando come andava forte poi lo schianto subito si è precipitato e qualche metro prima di arrivare alla macchina si è incontrato in copilota che chiedeva aiuto poi è arrivato il padre lui in un primo momento corse giù per una strada che porta in un campo mio fratello lo accompagnò dalla macchina che era contro quel maledetto cigliegio e corse a chiamare i soccorsi ci misero del tempo perché arrivavano da Firenzuola circa 15 chilometri poi suo padre decise di portarlo via in macchina secondo mio fratello praticamente era già morto. Io ero piccolo ma mi capita di pensarci spesso e quando passo di lì rivedo ancora la macchina abbracciata al cigliegio

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