Le automobili e i giornalisti (quarta e ultima parte)

l signore e padrone di “Le matin”, grazie alla sua politica editoriale e pubblicitaria ed alla progressiva virata nazionalista e antiparlamentare impressa al suo giornale (nato laico e radicale), per il 1913 toccò il milione di copie, arrivando alla vigilia della Grande Guerra perfettamente in linea con la temperie del momento, per così dire. E infatti il 1917 sarebbe stato il suo anno record, con un milione e settecentomila copie. Anche la Pechino-Parigi giocò un proprio ruolo in questa progressione, nonostante l’esito contrastato e contrario alle aspettative per l’industria francese, esito che comunque Bunau-Varilla – a quanto pare – manovrò fin dove poté, come vedremo. E comunque della sua sia pur parziale soddisfazione è prova l’adesione immediata, a fianco del “New York Times”, alla “Grande Corsa” del 1908, organizzata anche dall’Automobile Club americano. Stavolta l’idea era di partire da New York alla volta di Parigi, percorrendo da est a ovest gli Stati Uniti per poi imbarcarsi e raggiungere l’Alaska, attraversata la quale lo stretto di Behring, ghiacciato, avrebbe permesso il passaggio nel Vecchio Mondo – in Siberia, per la verità – e poi via! A Parigi! Si fa per dire: a esser cauti un Pechino-Parigi al quadrato, trentamila chilometri contro sedicimila, con partenza necessariamente in inverno – lo imponeva l’immaginato passaggio dello stretto – e in più un’intonazione da gara “vera”, senza gentlemen’s agreements e con un tocco di nazionalismo che, a posteriori, suona vagamente sinistro.
Tocco che a Bunau-Varilla certamente non dispiacque, come non gli dispiacque il co-sponsoring con il New York Times: un quotidiano fondato nel 1851 da Raymond e Jones (politico e giornalista il primo, ex-banchiere il secondo), divenuto di proprietà della famiglia Ochs dal 1896, in grande crescita di copie e di prestigio, simboleggiata dal trasloco recente (1904) in Longacre Square, da allora divenuto Times Square. Da lì sarebbe partita la “Grande Corsa”, anzi “The Great Race”, per la quale i tredici iscritti iniziali si ridussero in definitiva a quattro “squadre” nazionali. In rappresentanza di Stati Uniti, Germania, Francia e Italia si sarebbero pero’ presentati al via sei vetture e altrettanti equipaggi: un plotone di drivers, tecnici e accompagnatori eterogeneo quanto quello riunitosi l’anno prima a Pechino. Metà delle auto e degli equipaggi erano comunque francesi.
L’immancabile De Dion Bouton era guidata da Georges Bourcier de Saint-Chaffray, un aristocratico lievemente spregiudicato e amante delle imprese diciamo al limite. Aveva per esempio organizzato una gara di motoscafi nel Mediterraneo – traguardo Algeri – terminata però con il naufragio di tutti i concorrenti…Sulla linea di partenza si trovò a fianco di una Sizaire-Naudin guidata da Auguste Pons – già, proprio quello del triciclo Contal, salvato dai nomadi nel Gobi, l’anno prima – e di una MotoBloc, affidata…a chi se non Charles Goddard ?! Quel “caposcarico” di Goddard, come lo aveva (benevolmente) definito du Taillis, era evidentemente riuscito a districarsi dalle pendenze giudiziarie che, insieme a vari creditori, lo attendevano all’ arrivo della Pechino-Parigi. Pare infatti che alla vigilia della partenza si fosse rivenduto la scorta di pneumatici e ricambi fornita dalla Spyker ed avesse fatto ricorso a vari prestiti per pagarsi il viaggio ed il trasporto dell’auto in Cina…Nei suoi articoli e nel suo libro du Taillis, come già si e’ accennato, aveva celebrato le generosità e le imprese di Goddard, che aveva raggiunto con tappe di lunghezza mostruosa le De Dion Bouton che lo precedevano e, pur potendo superarle, aveva invece viaggiato di conserva con loro, tagliando però il traguardo…dopo di loro! E du Taillis lascia intendere che ciò fu imposto, nonostante le proprie insistenze, da Bunau-Varilla che voleva le auto francesi almeno “seconde”. Scrive infatti “non potei piegare la volontà del patron” e dà così un’ultima nuance di ingiustizia subita alla figurina tra miseria e nobiltà di Goddard, che fu probabilmente “risarcito” con il nuovo ingaggio nell’avventura americana, che comunque non sarebbe durata molto, come quella di Pons…
A questa piccola armèe francese si opponevano per la Germania una Protos, per gli Stati Uniti una Model 35 Thomas e per l’Italia una Brixia – Zust. Le partecipazioni tedesca e americana furono forse le più contrassegnate da quella vena nazionalistica di cui si diceva, che percorse neanche troppo sottotraccia la corsa.
La Protos era stata costruita con il lavoro di decine di operai ed in tempi record. Il suo equipaggio era capitanato, è la parola, da Hans Koeppen, ufficiale del 15o fanteria e dello Stato Maggiore tedesco, coadiuvato da un ingegnere ed un tecnico – assistenza simile a quella delle altre “squadre”, qui particolarmente opportuna perché Koeppen non sapeva guidare. Difficile, comunque, che l’occhio dell’impero prussiano non seguisse con attenzione l’impresa. E d’altronde sul versante americano, fu Teddy Roosevelt, che sapeva guidare e guidava una Thomas, a convincere il costruttore a partecipare. Alla guida della Model 35 sedeva Montague “Monty” Roberts, ma l’eminenza grigia fu George Schuster, forse il miglior collaboratore di Thomas ( e di origine tedesca, come dimostra il cognome). Accanto a loro due giornalisti del New York Times, T. Walter Williams per il tratto americano fino a Seattle, dove ci si sarebbe imbarcati per l’Alaska, e George MacAdam, che da Seattle in poi avrebbe usato telegrafo e piccioni viaggiatori per le sue corrispondenze. Delle quali dovette servirsi anche Le Matin, visto che, curiosamente, nessun giornalista francese fece parte della comitiva.
Mentre sulla Brixia-Zust un giornalista ci fu, eccome, Antonio Scarfoglio, figlio di Edoardo e di Matilde Serao, figure di grande spicco del mondo culturale umbertino e giolittiano, fondatori nel 1892 de “Il Mattino” di Napoli, di cui avevano fatto velocemente il quotidiano più diffuso nel Sud del paese, importante a livello nazionale anche grazie ai prestigiosi collaboratori (tra i quali Mario Morasso). Antonio Scarfoglio aveva cominciato giovanissimo alla scuola di Frassati e si era già fatto un nome con i suoi servizi sull’eruzione del Vesuvio del 1906. Era il più giovane partecipante alla corsa (contro l’opinione del padre, che non credeva in quella strana faccenda), con i suoi ventuno anni: e d’altronde l’equipaggio della Brixia-Zust non raggiungeva i settant’anni complessivi, con Giulio Sirtori, ventiseienne ingegnere tra i fondatori della De Vecchi e il tecnico Heinrich Haaga, di ventidue anni. Composero, insieme ad Arthur Ruland, agente americano della Zust che li accompagnò fino alla costa del Pacifico, quella che con la solita scarsa eleganza fu chiamata “Macaroni Fleet”, applaudita alla partenza da migliaia di emigrati italiani, quando alle 11,15 del 12 febbraio 1908 il colpo esploso da una pistola (d’oro, a proposito di eleganza) diede il via.
Settanta chilometri dopo la Sizaire-Naudin era già ferma, ma Auguste Pons questa volta, almeno sul piano personale, ebbe più fortuna. Aveva fatto colpo su una giovane ereditiera, la impalmò e dal loro matrimonio sarebbe nata Lily Pons, famosa cantante lirica, soprano principale del Metropolitan per trent’anni….Gli altri, bene o male, proseguirono, misurandosi con l’inverno del Middle West e delle Rocky Mountains, su strade deplorevoli quando non inesistenti. Il percorso in territorio americano sarebbe stato fonte di polemiche, accuse e recriminazioni: si denunciarono aiuti del pubblico di casa alla Thomas, ci si rinfacciarono pesanti interventi tecnici sulle auto-peraltro resi necessari un po’ per tutti da difficoltà e incidenti, senza contare il ricorso ai trasporti per ferrovia….
Questione questa che costò la squalifica alla MotoBloc: Goddard, constatata la situazione meteorologica e stradale, non perse tempo, caricò l’auto su un treno diretto alla costa del Pacifico e sistemò se stesso nel vagone ristorante, dove fu trovato dai commissari di percorso: è l’ultima notizia che ne abbiamo, perfettamente consona allo spirito ed alle opere di un (a suo modo) formidabile personaggio.
Alla Protos costò caro il trasporto in ferrovia a Seattle – dove avrebbe subito interventi tecnici radicali – quindici fatali giorni di penalizzazione. In un modo o nell’altro all’imbarco per Seattle era arrivata per prima la Thomas, realizzando così la traversata invernale degli Stati Uniti da parte di un veicolo a motore, impresa senza precedenti. La traversata dell’Alaska invece non la realizzò nessuno: la Thomas arrivò via mare a Valdez giusto per verificare che la neve bloccava qualsiasi simulacro di strada e, rientrata a Seattle, constatò che gli altri tre concorrenti avevano pensato bene di partire senza perdere tempo per il Giappone – che si era deciso sarebbe stata la tappa intermedia per passare in Siberia. La comitiva si ricompose a Vladivostock, dove però “si fermò” la De Dion Bouton: ufficialmente, sarebbe stato detto poi, perché “non c’era più nulla da dimostrare”(?), in realtà, secondo altri, per un dissidio interno alla proprietà sull’opportunità di continuare, dissidio risolto con la vendita dell’auto ad un uomo d’affari cinese. Saint-Chaffray cercò – anche con una specie di goffo ricatto – un passaggio sulla Thomas, non lo ebbe, disdegnò la Protos (prussiana..), non prese in considerazione la Brixia-Zust (e fece male) e alla fine se ne tornò in Francia.
Le tre superstiti ripartirono: a Parigi sarebbe arrivata per prima la Protos, con quattro giorni di vantaggio sulla Thomas, che tagliò il traguardo il 30 luglio ma divenne automaticamente vincente per la penalità che gravava sulla Protos. La Brixia-Zust arrivò il 17 settembre, nonostante l’abbandono di Sirtori (a causa di un litigio con Scarfoglio, riedizione radicalizzata del difficile rapporto tra Borghese e Barzini ?!), la malattia di Haaga, l’arresto di Scarfoglio per un incidente di cui non era responsabile e varie altre avventure che egli avrebbe raccontato nel suo “ Il giro del mondo in automobile”, apparso nel 1909 in una prima edizione riservata agli abbonati de “il Mattino”.
La Grande Corsa era però durata sette mesi, troppi rispetto ai due della Pechino-Parigi per sperare di tenere desta l’attenzione dei lettori: neppure la Thomas eguagliò la fama internazionale della Itala, anche se Roosevelt ricevette Schuster, mentre per la Protos e la Brixia-Zust le ricadute furono puramente nazionali. Il terremoto di Messina, alla fine del 1908, e poco dopo il (secondo) massacro degli Armeni assorbirono completamente le pagine dei giornali. Ed anche l’impegno di Scarfoglio, che fu inviato speciale per “Il Mattino” in entrambe le tragiche vicende. Il giornale sarebbe rimasto nel controllo della famiglia fino alla morte di suo padre, nel 1917: Antonio e i suoi tre fratelli lo avrebbero riacquisito nel ’22, dopo la parentesi della proprietà Ilva, creando “Il Mattino Illustrato”, prima di essere estromessi dal fascismo, probabilmente a causa di due servizi sull’assassinio di Matteotti. Da allora in poi i direttori li avrebbe decisi il regime ed uno di essi sarebbe stato…Barzini, rientrato dagli Stati Uniti. ”Le Matin” dopo la Grande Guerra, imboccherà una parabola discendente parallela alla collocazione filofascista e filonazista che culminerà con il pieno collaborazionismo durante il regime di Vichy. Il giornale morirà nel ’44 insieme al suo patron e dopo la Liberazione verrà definitivamente proibito.
Le marche protagoniste della Pechino-Parigi e della Grande Corsa scompariranno tutte con l’epoca eroica dell’automobile, che a ben guardare cominciò a spegnersi già il primo ottobre del 1908, quando la prima Ford T uscì dalla catena di montaggio di Piquette (Detroit) …Dei primi tre classificati, Schuster é entrato nel 2010 nella Automotive Hall of Fame; Koeppen scrisse “Il mondo in auto”, divenne una celebrità nel suo paese e proseguì la carriera militare fino a diventare generale della Wehrmacht …Ma l’ultima parola la ebbe ancora Antonio Scarfoglio, quando, intervistato nel 1969 poco prima della morte, alla domanda di cosa pensasse dello sbarco sulla Luna appena avvenuto, rispose con una frase che riassume un mondo: ”Certo, una splendida tecnologia e una grande avventura…Ma, sa una cosa? Io feci il giro del mondo in auto nel 1908..”

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2 commenti
  1. Walter Brugnotti
    Walter Brugnotti dice:

    Hai ragione,tanto e’ vero che nelle puntate precedenti….l’ho scritto con una “d” sola…sara’ l’eta’…grazie,alla prossima

  2. Roberto Chiodi
    Roberto Chiodi dice:

    Mi permetto una insignificante precisazione. Citi “Goddard” ma c’é una “d” di troppo. Allen Andrews lo scrive con una sola “d” (“I lupi solitari” da pagina 45 in poi); e anche Barzini (pagina 17 e seguenti) lo chiama sempre “Godard”.
    Il libro di Scarfoglio non si trova e ho scoperto il perché: fu destinato soltanto agli abbonati. Però c’è n’é una copia nella biblioteca del Senato, sono riuscito dopo lunghe peripezie a farne una copia. Se ti interessa (il libro e le foto che contiene sono davvero affascinanti) fammelo sapere.

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