Il Gran Premio di Capri

Era il 2010. Stavo facendo ricerche sulla storia del Gran Premio Napoli di Formula 1 (venti edizioni disputate tra il 1934 e il 1962 sul circuito cittadino di Posillipo) quando m’imbattei in una notizia che ignoravo: Capri ha ospitato, negli anni cinquanta, una gara automobilistica. Non ne avevo mai sentito parlare. Ma la notizia era gustosa e meritava un approfondimento. E così, non appena liberatomi da altri impegni, mi sono messo al lavoro per cercare di ricostruire la storia di questo evento singolare. Un’impresa.

L’amministrazione comunale dell’isola si mostrò lusingata dall’interessamento, ma non era in grado di fornire informazioni. Non ne sapevano niente neanche all’Istituto Cerio, costode di storia e cultura dell’isola, né all’Hotel Quisisana e al Cesare Augusto, alberghi a cinque stelle che pure avevano ospitato piloti e organizzatori. Vuoti gli archivi fotografici, scarne le benemerite collezioni private. Non è stato facile, dunque, mettere insieme, dopo sessanta anni, pezzi di storia dimenticati quasi da tutti. Alla fine, però, è venuta fuori una ricostruzione abbastanza completa e ricca di curiosità, che ha dato corpo a una piccola pubblicazione (47 pagine) intitolata “Capri Grand Prix” (Paparo editore). Più che un libro – lo dico senza falsa modestia – un cioccolatino da gustare rigo per rigo.

Volle la gara il marchese Francesco Caravita principe di Sirignano, per tutti Pupetto, all’epoca presidente dell’Azienda di Cura, Soggiorno e Turismo di Capri: un viveur con la passione per le auto, che tra gli anni Venti e Trenta era stato campione italiano della categoria Gentlemen; specialista delle gare in salita, aveva ottenuto decine di successi e piazzamenti di rilievo; nel curriculum anche una partecipazione alla leggendaria Targa Florio, una vittoria nel Circuito del Sud in coppia con la mitica baronessa Antonietta D’Avanzo e il record mondiale di velocità sul chilometro da fermo a Tripoli, al volante di una Maserati, nel 1931. Ricco, spensierato, gaudente, il principe viveva con la consapevolezza di poter affrontare qualsiasi rischio grazie ad una “protezione” molto particolare: amava raccontare, infatti, che ogni anno, da quando ne aveva compiuti 12, il 19 settembre, giorno del prodigio della liquefazione del sangue di San Gennaro, sulla sua nuca compariva una macchia rossa, segno inequivocabile di “discendenza diretta” dal santo protettore di Napoli. Prima di passare a miglior vita, espresse un desiderio. “Sulla mia tomba – disse – vorrei che fosse inciso il seguente epitaffio: “Non fece mai niente d’importante, ma non fece mai male a nessuno. Si divertì”.

D’intesa con gli amici dell’Automobile Club Napoli, il principe mise dunque in piedi l’organizzazione della “Prima Coppa dell’Isola”, nella presunzione che all’edizione del 1953 ne sarebbero seguite altre. In realtà, invece, quella rimase la prima e l’ultima.

La corsa si svolse con la formula della cronoscalata su un percorso in salita di 3,8 chilometri, con partenza da Marina Piccola, all’altezza della Canzone del Mare, e arrivo all’ingresso di Anacapri, all’altezza della statua della Madonna di Lourdes, dove venne allestito un palco con foglie d’alloro. Un percorso stretto e tortuoso, che Curzio Malaparte aveva definito “Scala Celeste”, proponendo, in un articolo scritto tra il serio e il faceto sulla rivista della Esso, di farne sede della Scuola Superiore Internazionale di Automobilismo: un modo per dire che la guida acrobatica esercitata quotidianamente dai capresi, tra curve, tornanti e strapiombi, era un esempio imbattibile di perizia e ardimento.

Vincitore a sorpresa fu l’esordiente Raffaele Leonetti, detto Bubi, nipote di Pupetto. Napoletano, aveva 18 anni ed era sprovvisto di licenza per correre. Ma per lui gli organizzatori chiusero un occhio. Leonetti vinse nel tempo di 4’23”1 (media 51,995 km/h) al volante di un’Alfa Romeo 1900 di proprietà di suo padre. Al secondo posto, al volante di una Fiat 1100/103 nuova di zecca, si classificò Luigi Bellucci, uno dei migliori piloti napoletani dell’epoca. Terzo fu Giuseppe De Filippis, al volante di una magnifica Alfa Romeo 6C 2500 SS Touring Superleggera Aerolux: napoletano anche lui, era il fratello di Maria Teresa, che di lì a qualche anno sarebbe stata la prima donna a guidare una monoposto di Formula 1. Quarto, su Lancia Aprilia, il conte Pier Francesco Calvi di Bergolo, nipote del re Vittorio Emanuele III e promesso sposo di Marisa Allasio, l’ingenua maggiorata del cinema italiano e indimenticata protagonista di “Poveri ma belli”. Solo quinta si piazzò Maria Teresa de Filippis, ma in condizioni di gara davvero singolari: danneggiata la propria auto in prova, fu convinta dagli organizzatori a partecipare comunque. Le affidarono una Fiat 1400 Cabriolet abitualmente adibita a servizio Taxi sull’isola. Particolare curioso: era l’auto preferita da Faruk, il re d’Egitto esiliato sull’isola azzurra.

Tra i partecipanti non mancarono un paio di capresi. Uno di loro, Alberto Staiano, capostipite di una famiglia d’imprenditori molto nota sull’isola, si classificò sesto, guidando – scalzo – una vetusta Lancia Artena appartenuta a Edwin Cerio. Alla fine si lamentò dicendo che avrebbe fatto meglio se un cavallo imbizzarrito, scappato da una stalla, non gli avesse tagliato la strada nell’ultima parte del percorso…

Disputata il 19 aprile del 1953, la corsa, come detto, non fu mai più replicata. Ma è stato bello scoprire, a distanza di 60 anni, una Capri diversa, capace di sdoppiarsi dal ruolo di star del turismo e di luogo dell’anima caro a tanti scrittori e poeti, per rivelarsi in una veste insolita, sorprendente e insospettabile. Ora alcune associazioni di collezionisti si stanno dando da fare per organizzare un evento rievocativo, che riporti sull’isola lo spirito e le auto dell’epoca. Per motivi logistici non è cosa facile. E’ invece un progetto ben avviato il lancio di una linea d’abbigliamento griffata Capri Grand Prix. Se ne parlerà a primavera 2015.

2 commenti
  1. Luca M. Apollonj Ghetti
    Luca M. Apollonj Ghetti dice:

    Questa si che è bella davvero! Pensate poi che spettacolo sarà stato!
    Che nomi poi!

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