L’onirico delle pubblicità per le auto
Stavolta abbandono il mio amato cinema e le auto che lo popolano per scrivere di pubblicità automobilistica. A ben vedere non è un salto senza rete: anzi, il presentare per vendere (questo il fine primo di quella che un tempo era chiamata “reclame”) un oggetto è mestiere raffinato e difficile sia per tutti gli strumenti tecnici adottati sia per la genialità di cui necessita.
In più il presentare un prodotto, attraverso immagini in movimento, è uno dei processi più delicati di questo lavoro. Ci vuole, infatti, testa fina e tecnologia eccellente per confezionare il tutto. Un tutto legato a un rispetto dei tempi espositivi e comunicativi, preciso, non derogabile, né sbavabile su qualche secondo in più o meno. Insomma un lavoro impegnativo.
Non è mia intenzione giudicare quanto ogni giorno alla tv e, talvolta, anche nella sempre più rara pubblicità nelle sale cinematografiche, quanto è illustrato: piuttosto desidero constatare alcuni aspetti – il come e il perché e il senso del messaggio che si vuole dare – che oggi mi pare vada per la maggiore. Confido, dunque, che, lette queste righe, qualcuno aggiunga alle mie le sue considerazioni e opinioni.
In generale ho notato – e questo motiva l’onirico del titolo – che la pubblicità auto deborda volentieri nel sogno o in un altrove inusitato raro, lontano.
Basta vedere le pubblicità di diverse auto fuoristrada: agiscono da protagoniste in ambienti di solitudine e bellezza congiunte dove il protagonista, l’automobilista, in qualche modo può sfidare se stesso proprio e in forza del mezzo che guida. Può andare ovunque proprio perché ha a disposizione l’automobile che è promossa. In più queste storie brevi raccontano itinerari complessi che portano in alcuni casi a un lieto fine mieloso dove quasi sempre c’è una bella casa e una procace donna che attende.
Insomma una favola dove l’antico cavallo ha fatto posto all’auto. Viene da chiedersi il perché di questa scelta espositiva che ricalca il passato incuneandolo in un presente che, però, non è quello consuetudinario delle nostre città, con il loro traffico e semafori, e quello extraurbano dove al vuoto affascinante di quinte con cascate, montagne laghi e valli assolate o gelide della pubblicità, si contrappongono strade trafficate, edifici industriali e capannoni in disuso.
Se le cose stanno così, viene da pensare che i pubblicitari più che a pensare di promuovere un’auto per quello che è aspirino a vendere un’idea, un ambiente, una sensazione, un’aspirazione. E dunque, di fatto, organizzano in modo inappuntabile questa rappresentazione del para reale dove il solleticare un’aspirazione porta all’emozione e proprio questa magari è il grimaldello per condurre all’acquisto di quella vettura che può essere l’evoluzione di quel cavallo che per secoli ha condotto nel mondo dei sogni e delle fiabe.
Sarebbe interessante sapere se esistono dati relativi a quanto alla fine, al momento dell’acquisto di un’auto, conti davvero l’emozione, il guizzo di un desiderio, il voler far apparire se stessi in modo tale che l’auto che scegliamo sia riflesso su quattro ruote di quanto siamo, vorremmo essere o, perlomeno, apparire.
In questo periodo gira sugli schermi una pubblicità dove un ometto aggrappato al vertice di un campanile di un borgo guarda l’orizzonte: quando vede un’auto avvicinarsi grida il suo nome. E così tutti i suoi concittadini chissà per quale motivo scendono nelle strade a osannare la vettura. Perché tutto questo ? Si potrebbe dire che questa pubblicità ha colto nel segno: infatti, ne scrivo: Ma l’effettiva ricaduta sul prodotto venduto qual è o sarà?
E ancora: tante “reclame” sono capolavori di montaggio e immagini di mondi futuri in cui tutto si sovrappone, muta ed è cangiante: ma della gente, salvo chi guida e chi gli è a fianco, non se ne vede. Universi futuribili dunque ma vuoti, solitari, notturni, in cui forse si corre per andare alla ricerca di un altrove che mai si raggiunge.
E poi esiste altra pubblicità auto più incisiva ma che, in alcuni casi, vira al comico, alla battuta: e in tutto questo è inserita la promozione di vendita o la qualità dell’auto presentata. Sempre viva infine, è la presenza del testimonial che, come si dice, “tira” per il prodotto.
Talvolta per me funziona. Memorabile in questo senso la pubblicità di un tempo, tanto tempo fa, che vedeva scendere da una Lancia Delta una elegante signora, che guardando in macchina diceva “oui je sui Catherine Deneuve”. E il gioco, mirabile, era fatto con classe, garbo, stile, fascino.
In alcuni casi, infine, una pubblicità può diventare, se leggermente variata, anche sberleffo riuscito. A mia memoria la più riuscita fu questa. Alcuni decenni orsono apparve una campagna sulla Fiat 131 riprodotta su giornali e manifesti stradali. Insieme alla semplice foto della vettura e a didascalie che ne definivano prestazioni, optional e qualità, il messaggio si chiudeva con quest’affermazione a caratteri di scatola: “9 avvocati (oppure: medici, veterinari, professori, farmacisti etc.) su 10 scelgono Fiat 131”. Tutto qui. A Torino fu un attimo. La locale, sagace, ironica tifoseria granata, all’unisono, si produsse in un’operazione di cancella e scrivi. Cassate le definizioni dei professionisti, con pennarello spesso e nero, i tifosi scrissero in un carattere simile al testo originale solo una parola: “arbitri”.
Il tutto risultava dunque cosi: “ 9 arbitri su 10 scelgono Fiat 131”. Come a dire: uno sberleffo maligno sul discusso rapporto tra arbitri di calcio e i bianconeri. Devo ammettere che, seppur juventino, risi di cuore: pensai pure che fosse un gran bel messaggio pubblicitario fatto a spese, per dipiù, della padrona della Juve. Sono ancora oggi convinto che la brillante intuizione sia scaturita da un bravo pubblicitario di provata, eterna, fede granata.
Ma proprio in questi giorni la cronaca incombe e quindi non posso finire questo pezzo senza ricordare l’affermazione dura, incontestabile, definitiva che ormai da tempo usa Volkswagen per firmare in pubblicità tutti i suoi prodotti: “Das Auto”…senza parole!
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