L’ultima vittoria di Villoresi e dell’Aurelia B20

L’Ospite di Autologia: Beppe Donazzan, giornalista.

Una storia lontana. La fine di una carriera e l’inizio di una leggenda. Protagonista Gigi Villoresi, pilota che con i rally centrava poco. Ma ad Atene, l’8 aprile 1958, fece parlare di se. Quella mattina sarebbe stato, infatti, premiato dal re di Grecia Paolo I° quale vincitore dell’Acropoli. Con la Lancia.
Si era sentito particolarmente emozionato nonostante cerimonie ed applausi non fossero mancati. Anzi. La sua carriera era stata tra le più luminose dell’automobilismo italiano. Dal 1931 all’inizio della guerra prima, dal 1946 poi.
Fiat, Ferrari, Osca e soprattutto l’amatissima Maserati. Il simbolo, la marca dei suoi trionfi. Su strada, nelle grandi classiche come la Mille Miglia, la Targa Florio, il Giro di Sicilia con le vetture Sport; Buenos Aires, Albi, Barcellona, Rio de Janeiro con le monoposto di Formula 1, erano alcune delle numerose fotografie che riempivano l’album sportivo del passato. Gli era mancato il successo con la F1 nelle tappe del mondiale, quello sì, anche se era andato molto vicino in parecchie occasioni, e ciò gli dispiaceva.
Ci aveva creduto alla fine del 1953 quando firmò per la Lancia. Assieme ad Alberto Ascari, campione del mondo con la Ferrari nel 1952-53, amico fraterno e compagno di scuderia, disse “no” all’ingaggio che gli propose il Drake per il prolungamento del contratto. Ascari aveva in tasca la carta Lancia da giocare. La Casa torinese avrebbe infatti partecipato al mondiale di Formula 1 con la D 50, monoposto rivoluzionaria firmata da Vittorio Jano. Alberto ne parlò a Gigi. Una situazione che suscitò curiosità ed emozione. Stimoli nuovi, una nuova scommessa, ecco cosa cercavano entrambi.
Andarono da Gianni Lancia e si misero d’accordo. Ma quel sogno, nonostante gli sforzi, non diede i risultati che speravano.
Per un attimo, nella sua stanza d’albergo ad Atene, rivisse quella straordinaria avventura. A 47 anni, capelli bianchi da tempo, si ritrovò ancora protagonista. Aveva vinto di nuovo, l’emozione era rimasta la stessa. Sempre la strada a rendere onore al suo talento. Non rifiutò mai gli inviti di Gianni Lancia a partecipare ai rally, con le macchine di serie Un intuito eccezionale quello del Capo. Un segno del destino per la Casa torinese.
Nel gennaio del 1958 “monsù”, il signor Gianni, gli propose di andare a fare il Montecarlo, il rally più famoso. La macchina era l’Aurelia B20, due litri e mezzo, motore sei cilindri a V di 60°. Stupenda. Per Villoresi sarebbe stato un ritorno alle gare dopo il drammatico incidente che gli era occorso il 21 ottobre 1956 nel Gran premio di Roma. Con una Maserati 200 SI Sport, era uscito di strada sul circuito di Castelfusano con conseguenze pesantissime: frattura di tutte e due le braccia, una lunga degenza e rieducazione in ospedale. La carriera sembrava finita. Un anno fuori dall’ambiente delle corse, alla sua età, le luci della ribalta che si spegnevano anche per le esibizioni minori. Lo sentiva . Ma la passione e la voglia non erano mai venute meno. Lui, grande pilota del passato, non pensò nemmeno per un istante che sarebbe rientrato a correre dalla porta secondaria. I rally non li aveva mai snobbati, anzi al Montecarlo partecipò prima della guerra, nel gennaio 1937. Gareggiò assieme al fratello Emilio con una Fiat 1500 berlina, 6 cilindri, 1500 di cilindrata. Partirono da Palermo, quattromila i chilometri percorsi, si piazzarono al tredicesimo posto assoluto, primi della categoria Turismo Vetturette. Una gara di regolarità, nulla di più, un divertimento per uno abituato ai 300 all’ora toccati sui rettilinei delle strade della Carrera Messicana.
Ma sempre strade erano, strette, sinuose, in salita e discesa. Un’altra esperienza c’era stata nel 1951, dal 23 al 26 gennaio, al rally del Sestriere. Assieme ad Alberto Ascari, coppia d’assi, su Aurelia B 10 berlina, sei cilindri a V, 1754 cc. La prima vittoria assoluta dell’Aurelia in una corsa. Anche il Sestriere aveva adottato la formula del “Monte”: percorso di avvicinamento da quindici città europee, una prova di velocità di quattro chilometri da Stupinigi ad Airasca e un altro settore di abilità. Erano bastate queste esigue “dimostrazioni” per far emergere la loro bravura e mettere in riga tutti. Stravinsero la classifica assoluta e quella del Turismo di classe. Furono invitati l’anno successivo. Ed eccoli al via con un’Aurelia B 21, due litri. Qui il ritiro al termine del percorso comune quando si trovavano al 32° posto in classifica. Un’altra esperienza, comunque.
Si allenò parecchio per recuperare la forma fisica prima di partire per quel Monte del 1958. Anche la Lancia preparò tutto a puntino. Il signor Gianni gli affidò Ciro Basadonna, monegasco, nel ruolo di navigatore. A quei tempi il migliore in assoluto. Nel 1954 era stato al fianco di Louis Chiron, nel trionfo al rally del Principato. Avevano portato al successo l’Aurelia B 24. Il primo sigillo importante della Lancia nella specialità.
Per la tappa di avvicinamento scelse di partire da Roma. Quelle strade Villoresi le conosceva bene, alcuni tratti infatti erano gli stessi sui quali si disputava la Mille Miglia. Oltre mille chilometri da percorrere ad una media di 60 km/h, non proprio una passeggiata nonostante l’etichetta di regolarità. A far aumentare le difficoltà fortissime nevicate sulle strade di mezza Europa. Un gennaio da ricordare, un vero e proprio rally. Anche Villoresi non fu immune dalle insidie del percorso. Nella discesa del Col de Turini, completamente ghiacciata, non riuscì a tenere in strada la pesante B20. Gli partì davanti e malgrado correzioni e controsterzi si schiantò contro la parete di roccia. Nessun danno particolare alla meccanica ma il parafango di destra si era così accartocciato da arrestare totalmente la ruota. Nonostante i tentativi di sboccarla a colpi di martello, non ci fu nulla da fare. Il Montecarlo 27a edizione finì là, anche se successivamente l’equipaggio Villoresi-Basadonna venne classificato al 39° posto assoluto. “Senza quella sciocchezza di guida, avremmo anche potuto vincere”, commentò all’arrivo.
Un mese più tardi di nuovo in macchina, con l’Aurelia B20 GT al Sestriere. Sempre con Basadonna firmò il settimo posto assoluto.
Fu quindi la volta dell’Acropoli, durissimo. Per il caldo che metteva a dura prova la resistenza dei piloti e per le mulattiere da affrontare che distruggevano la meccanica delle vetture. Ci teneva Gigi a quella gara, era tra le più famose, e voleva un riscatto. Far parlare ancora di se.
Sempre con Basadonna. Sotto un sole implacabile superarono oltre tremila chilometri di strade impossibili. L’Aurelia B20 numero 2 dimostrò una robustezza senza pari. Sulle prove di velocità, all’aerodromo di Tatoi e sulla prova in salita del monte Parnaso, si impose grazie alle sue notevoli doti velocistiche.
Un successo internazionale che ebbe vasta eco sulla stampa. Quello che Gianni Lancia, a Torino, si aspettava.
Durante la premiazione l’emozione creò un fuoriprogramma: Villoresi per un attimo di esitazione non prese in mano la coppa del vincitore che re Paolo I° gli porgeva. Cadde a terra tra l’imbarazzo generale. Un istante, qualche secondo, e la situazione venne risolta da una risata generale.
Il rally dell’Acropoli fu l’ultimo successo per Gigi Villoresi e l’ultima vittoria di una splendida macchina, l’Aurelia B 20.
L’inizio invece di una straordinaria epopea per la Lancia. Con altri piloti, con altre macchine.
Migliaia i trionfi. (tratto da “Sotto il segno dei Rally 1” di Beppe Donazzan, Giorgio Nada Editore)

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