Mattarella snobba l’auto e va in tram. Ma è sicuro che faccia bene?

La scelta del presidente della Repubblica Mattarella di muoversi privatamente a bordo della Panda della figlia o andare a casa, in Sicilia, con un volo di linea Alitalia Roma-Palermo, può suscitare qualche perplessità legata alla sicurezza (sua personale e di chi gli sta attorno) e ai costi fissi (manutenzione dell’aereo ed equipaggio continuano, comunque, a gravare sul bilancio statale), ma sostanzialmente è corretta: andare a casa per il weekend non è una missione ufficiale e ci può stare che il presidente provveda in altro modo. In qualche modo è comprensibile anche la scelta del treno in occasione della prima visita ufficiale fuori Roma, il 24 febbraio, a Firenze (l’alta velocità è competitiva sull’automobile, condizionata da limiti e traffico). E’ stata invece discutibile, a mio parere, la scelta di rinunciare all’auto blu in favore del tram per gli spostamenti tra la stazione di Santa Maria Novella e Scandicci. Una scelta fatta certamente in buona fede, con l’intenzione di ridurre le spese di Stato, contenere l’impatto ambientale e, soprattutto, costruire una immagine low profile del Quirinale, in sintonia con quanto fatto da Papa Francesco, che gira a bordo di una Ford Focus. Ma, come qualche attento osservatore ha già notato, alcune cose non quadrano. Vogliamo dirlo con rispetto, ma anche con convinzione.

Il low cost presidenziale comporta disagi per la sicurezza, ovvero per gli spostamenti della scorta, che comunque deve provvedere alla protezione del presidente. E le auto blu, per quanto lasciate in garage, continuano comunque (come l’aereo) a gravare sui costi del Quirinale, con spese di gestione e personale dedicato. A parte il risparmio di qualche litro di carburante, tenere ferme auto e autisti può rappresentare dunque uno spreco di risorse. Davvero non servono? Che vengano vendute, allora. E vengano licenziati, o destinati ad altro incarico, gli autisti.

Altro dettaglio, non secondario, il tram utilizzato a Firenze dal presidente non era un mezzo di linea ordinario occupato anche da altri passeggeri, ma un “tram speciale”, riservatissimo, con tanto di tricolore a bordo, destinato esclusivamente al percorso presidenziale e, naturalmente, senza obbligo di biglietto. Secondo “il Giornale”, la scelta del Capo dello Stato “è costata più del noleggio di una limousine”. Tenendo presente che il biglietto costa 1,20 euro e che il tram trasporta in media 164 passeggeri a tratta, il viaggio ecosostenibile del capo dello Stato è costato dunque 720 euro tra andata e ritorno”. Se non bastasse, un’auto blu (probabilmente arrivata da Roma) ha dovuto comunque farsi trovare pronta alla fermata del tram di Scandicci per accompagnare Mattarella alla Scuola Superiore della Magistratura, non troppo vicina. Insomma, l’”apparato” – com’era logico prevedere – si è dovuto per forza di cose attrezzare per trovare le soluzioni più idonee. E, alla fine, non si è potuto prescindere del tutto dalla demonizzata auto blu, né dalle oggettive valutazioni su vantaggi e svantaggi della scelta.

Ma, questione dei costi a parte, è proprio sul ruolo dell’auto che vorrei soffermarmi. Rinunciare all’auto di Stato, da parte della massima autorità del Paese, significa snobbare uno strumento legittimamente connesso al ruolo, identificandolo erroneamente come uno status symbol, un privilegio. E allora – mi sia consentita la provocazione – Mattarella dovrebbe rinunciare anche all’abito di stoffa pregiata e alla cravatta, e andare in giro in jeans sdruciti e camiciola.

Fin qui il merito. Ma vorrei aggiungere che la scelta di Mattarella dà un ulteriore colpo alla demonizzazione dell’automobile, già mortificata in mille altri modi (caro fisco, caro assicurazione, caro benzina, caro parcheggi, limitazioni alla circolazione, esclusione dai centri storici…). Un trattamento che l’auto non merita, né in Italia né in altri paesi. E ce ne sono, purtroppo, ancor più miopi del nostro, come la Francia, dove la municipalità di Parigi vorrebbe vietare la circolazione alle auto diesel, ignorando che consumano e inquinano meno di quelle a benzina…

L’industria del settore, diventata globale, meriterebbe invece rispetto e attenzione: spende miliardi in ricerca e sviluppo, proprio in nome della compatibilità ambientale e della sicurezza stradale, due “linee guida” fondamentali, ormai, nella progettazione delle automobili moderne. Noi italiani, poi, senza l’industria dell’auto non saremmo diventati, dal dopoguerra in poi, una delle prime otto potenze economiche del mondo. E se oggi la massima industria italiana produce anche all’estero (Serbia, Polonia, Turchia, Brasile, Argentina, Stati Uniti) lo si deve da una parte alle “leggi” della globalizzazione, dall’altra alla incapacità della politica di creare le condizioni migliori per attirare i produttori nel Belpaese (come hanno fatto gli inglesi con giapponesi e indiani).

Oggi, comunque, in questa fase cruciale a cavallo tra la Grande Crisi e l’alba della tanto attesa ripresa, dall’auto stanno arrivando, anche nel Sud, assunzioni e prospettive di lavoro e di crescita che aprono il cuore alla speranza. Grazie ai felici sviluppi dell’operazione FCA stiamo riconquistando prestigio e valore internazionale e possiamo riannodare il filo di una storia industriale straordinaria, di cui possiamo andare fieri. Presto scatterà il rilancio della gloriosa Alfa Romeo, mentre è già in atto la miracolosa ripresa della Maserati, la casa che per prima nel mondo ha realizzato un’ammiraglia sportiva a quattro porte. L’auto che utilizzava il presidente partigiano Sandro Pertini. Senza vergognarsene.

PS. In questo articolo dedicato al presidente Mattarella si è fatto cenno anche al Papa, che sulla sobrietà sta costruendo la nuova immagine del Vaticano, e per i suoi spostamenti ha scelto una Ford Focus. Per me che sono cresciuto in una scuola di Gesuiti, in cui uno dei sacerdoti/docenti guidava un’Alfa Giulietta TI, distaccandosi molto dallo stile francescano che obbligava al saio e ai sandali anche d’inverno, la cosa è stata sorprendente. Ma comprendo la scelta di Francesco, soprattutto alla luce degli scandali che hanno colpito la Chiesa negli ultimi anni e della crescente povertà che affligge il mondo. Sommessamente, però, mi domando: se il Papa si accontenta della Ford Focus, perché non mette in vendita l’eccezionale parco auto di cui sono pieni i garage del Vaticano? Le case automobilistiche più prestigiose hanno sempre fatto a gara nel disputarsi il privilegio di omaggiare una bella vettura alla massima autorità della Chiesa cattolica; credo proprio che nessuno si offenderebbe se il Papa organizzasse un’asta per destinare il ricavato in beneficenza.

3 commenti
  1. lucapaz
    lucapaz dice:

    Bravo Sergio, concordo assolutamente la tua analisi socio-economica-politica. Se poi gli uffici stampa della presidenza della Repubblica e del Vaticano lo leggeranno sarà tutta pubblicità per AUTOLOGIA.

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