OVERDESIGN sotto investigazione: usiamo la teoria deontologica o la teorica deontologia

L’Ospite di Autologia: Alessio Di Zoglio, esperto di design

Forse i nostri anni ’20 non saranno ricordati per una tendenza ma per un contraddittorio. Le domande giuste per non sbagliare risposta.

La carrozzeria nacque dopo l’automobile. Ebbe la funzione di proteggere la meccanica e i passeggeri; tanto valse la pena di darle anche una bella forma. Perché sì? Perché qualcuno avrebbe dovuto comprarla e qualcun altro convincerlo a farlo. E chi mai sarebbe stato attratto da quattro pezzi di latta mal sagomati e imbullonati? Dopo quel matrimonio di convenienza, la forma e la funzione purtroppo non vissero sempre insieme, tantomeno felici e contente.

La deontologia dello stile indica che la forma segua la funzione (form follows function) e sia il caso di togliere invece di aggiungere (less is more). L’over-design è invece il sovra-disegno, cioè l’eccesso numerico di forme rispetto alle funzioni: vuol dire che da qualche parte ci siano dei disegni che non servano a niente. Ma quali sono le funzioni che giustificano l’esistenza di una forma? Principalmente, si può teorizzare quelle di protezione descritte in incipit, rinominabili “di copertura”: coprire abitacolo, motore, bagagli, ruote e sospensioni, parare i sassi e l’acqua… Virtuosamente, anche quelle “di mascheramento”: integrare paraurti, nascondere maniglie, far scomparire tergicristalli… In tal caso si fa il primo passo verso la citata sottrazione, perché una sola forma integra più funzioni (es: la plastica esterna di un montante che copra il telaio porta, più incorpori la maniglia). Ancora, quelle “di aerodinamica”, sottoinsieme dei mascheramenti se nascoste, gruppo a parte in caso contrario: si tratta di ali, prese d’aria, scivoli, estrattori, spoiler… Meglio se mascherate, in teoria (c.d. aerodinamica integrata). Poi, quelle “di struttura”: alcune nervature sui pannelli possono rinforzarli, un certo numero di montanti interrompe il disegno ma assicura rigidezza al telaio… Infine, quelle “di identità”: specifici segni grafici che rendano inconfondibile un’auto rispetto alle concorrenti; anche qui, visto che ci sono, meglio se integrino altre funzioni. Allora, durante l’invenzione delle grafiche di cui si comporrà lo stile della vettura, bisogna fare economia di linee, perché la controindicazione dell’eccesso non è tanto violare la teorica deontologia, quanto affaticare l’osservatore automobilista cliente, il quale né coglie tra la confusione il messaggio grafico intenzionale del disegnatore, né conserva un ricordo ordinato e confortevole dell’insieme.

Poi ? Altri disegni non servirebbero a niente? Non esistono altre funzioni all’infuori di queste? Ho scritto appositamente teorica deontologia e non teoria deontologica, forse peccando di presunzione nell’esautorare in parte le due regole auree con cui esordivo; in realtà volevo soltanto ritradurle. A ben riflettere, lo stile consta anche di una sesta classe di funzioni, quella definibile “di suggestione”: la grafica d’insieme o le singole grafiche di una carrozzeria o di un abitacolo possono suggerire proiezioni, ricordi, paragoni e potenzialità all’osservatore, cioè promettere esperienze ancor prima della guida e anche al di fuori di essa; questo tanto per volontà e calcolo del disegnatore, quanto invece in modo imprevedibile, soggettivo e diverso in ogni cliente. E se in ragione di ciò qualche overdesign passasse da inutile a utile? Se in pochi casi l’eccesso di linee non fosse senza funzione, ma perseguisse particolari suggestioni? Come nella nuova Peugeot 408, i molti tagli in più che sembrano dimenticati lì per sbaglio da qualche IA potrebbero stare invece a nutrire una fame di “sfregi” degli automobilisti d’oggi, già alla guida di vetture fintamente corazzate (protezioni in plastica nera), fintamente inarrestabili (suv) e fintamente elaborate (prese e sfoghi d’aria chiusi), quindi desiderosi di mostrare i segni di una finta battaglia, che magari non ha a che fare con l’auto reale, ma si combatte presso quelle proiezioni e quei ricordi, contro quei paragoni e con quelle potenzialità immaginari. Allora la deontologia resterebbe confinata alla teoria, perciò teorica, a causa della soggettività o comunque bassa ponderabilità delle suggestioni.

Ma resta un modo deontologico per trattare le funzioni di suggestione in maniera professionale, non maldestra? Forse sì. Invece di leggere “form follows function” “disegna solo quello che serve”, lo si potrebbe interpretare “fai funzionare tutto ciò che disegni”. Dunque l’overdesign diventerebbe lecito, a patto di perseguire l’economia di linee, come a dire “sperpera ma non sprecare”. Sperperare, infatti, può essere di cattivo gusto, ma sprecare è non controllare; il che significa il rischio di confondere l’osservatore, distrarlo, non accompagnarlo alle suggestioni che interessano il Costruttore e lasciare che magari si perda in altre avverse. L’obiettivo del disegno è la comunicazione, quindi risiede nella sicurezza cognitiva del destinatario, non nella libertà espressiva del mittente.

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