Propulsori alternativi? Regna l’anarchia

La svolta si avvicina. La strada è tracciata. E la destinazione è impostata. Ma manca il mezzo.
Quasi tutti i Paesi del mondo sono ormai pronti a fare largo ai veicoli con i cosiddetti propulsori alternativi. Ma qual è, veramente, l’auto di questo imminente futuro? Quella elettrica? Quella a idrogeno? Quella ibrida? O quella a chissà che cosa?
In effetti se ci fermiamo un attimo a osservare cosa sta succedendo appare chiara la volontà comune, addirittura immediata, di una mobilità più ecologicamente corretta. O quantomeno è evidente un impegno collettivo per accelerare il pensionamento degli ormai vecchi e anacronistici motori nati nella preistoria dell’auto. La verità, però, è che una vera, unica e valida alternativa, altrettanto immediata e sulla quale puntare tutti gli sforzi, stenta ad essere individuata.
Colpa delle autonomie spesso non entusiasmanti e delle tecnologie troppo complicate dei propulsori che si stanno studiando. Di alcune sperimentazioni rimaste incomplete. E, soprattutto, della scarsa volontà della maggioranza delle case produttrici (qualcuno dice perché spinte dalla lobby del petrolio) a fare gruppo su un’unica scelta condivisa.
Per quanto riguarda l’auto di domani, infatti, le aziende, nonostante l’indifferenza generale, per ora sembrano concordare solo su un punto: quello di propinarci presto delle automobili a guida autonoma (chissà che noia!!!). Lo dimostrano anche le notizie dei giorni scorsi che annunciano un accordo, in tal senso, tra Fca e Google.
Ecco, quindi, che, anche se si conosce la rotta ed essa è stata fissata, resta l’incognita di sapere, fin da subito, cosa ci sarà sotto al cofano dell’auto sulla quale viaggeremo.
Ora il pericolo è che gli sforzi e gli impegni che si stanno facendo nei vari Paesi risultino presto inutili e vani. In poche parole, chi oggi sbaglia il mezzo su cui puntare, domani potrebbe ritrovarsi a piedi. O, comunque, in forte difficoltà rispetto agli altri.
Vediamo alcuni esempi dalle cronache più recenti cominciando dall’Olanda che si è spinta a ipotizzare un divieto alla vendita di tutti i mezzi con motori a combustibili fossili già dal 2025 senza, però, annunciare un piano concreto volto a favorire un’alternativa.
Passiamo poi all’Italia, ferma al palo da troppo tempo, che dal canto suo ha invece promesso che proprio di quel palo farà presto virtù. Ovvero – sono le parole, ribadite più volte, del ministro alle Infrastrutture Del Rio – moltiplicherà da subito le colonnine di ricarica per i veicoli elettrici lungo tutto lo Stivale fino a seminarne almeno 20mila entro il 2020.
Nello stesso anno, però, il Giappone promette che sarà invece l’auto a idrogeno ad essere favorita nel suo territorio nonostante la principale casa produttrice del Paese (e tra le prime al mondo), Toyota, continui a spingere l’acceleratore solo sui motori ibridi. Di idrogeno si parla insistentemente anche in Svezia che negli ultimi decenni, però, aveva concentrato tutti i suoi sforzi per favorire la diffusione dei combustibili di derivazione agricola. Poi c’è la Germania che, dopo il dieselgate, vorrebbe riscattarsi con la produzione di auto elettriche.
La confusione, insomma, è tanta. E, a questo punto, le vie d’uscita possono essere solo due: o arriva un’indicazione univoca dall’alto (ovvero dalla maggioranza dei governi dei vari Paesi); o le case produttrici devono accordarsi su una strategia comune in merito alla tecnologia da sviluppare.
Delle due ipotesi, la seconda è sicuramente la meno probabile.
Peccato che nessuno si renda conto che il domani non può più attendere…

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