Salone dell’auto a Milano o a Torino, la disputa c’era già nel 1900!

L’idea di organizzare un Salone dell’automobile a Milano, nell’anno dell’Expo, si materializzò quasi subito, per essere però eclissata da un triennio di (chiamiamole così) discussioni del duo Moratti/Formigoni – e di chi stava dietro di loro – su terreni dove ubicare l’Expo medesima. Per dire che i ritardi nell’allestimento dell’Expo non furono opera del destino cinico e baro: e figuriamoci se ci fosse stato da collocare anche un Salone dell’automobile.

L’idea tuttavia sopravvisse: sdegnata come il fantasma di Canterville dagli sberleffi dei gemelli Stars e Stripes, trovò consolazione momentanea con Alfredo Cazzola e il suo progetto, materializzato nel 2014. E per ora soltanto librato, come un ectoplasma minaccioso (?), sulla quarantesima edizione del Motor Show di Bologna, a dicembre: e magari sulla prima del Salone & Gran Premio a Torino, a giugno. Insomma, la guerra continua e cercarne le origini lontane non è confortante. Tanto per dire, se l’idea si fosse realizzata, il primo problema sarebbe stato quello di numerarlo, il Salone ritornato a Milano. Dove la prima edizione fu celebrata nel 1901, dopo la prima assoluta del 1900, a Torino, che se lo tenne dal 1902 al 1913, salvo le edizioni del 1906 e 1907, quando per non sbagliare (?) il Salone venne organizzato in entrambe le città. Mentre nel 1903 e nel 1912- sempre per non sbagliare? – saloni non ce ne furono proprio.

In definitiva si tennero, distribuiti in dodici anni quattordici Saloni tre dei quali a Milano, che però dopo la Grande Guerra ripartì per prima, nonostante l’opposizione dell’Unione Italiana Fabbriche Automobili che riteneva il momento economico ancora complicato (lo diceva da Torino…). E la faccenda della numerazione prese una piega leggermente ridicola perchè nel 1920, alla Fiera Campionaria si organizzò per la quarta volta a Milano, quello che con olimpica indifferenza fu chiamato… il primo Salone dell’Automobile tout court. Per la cronaca gli espositori erano solo due. Ma già l’anno seguente si passò a cento, stars assolute Isotta Fraschini 8 e Fiat 501, sulla quale D’Annunzio era entrato a Fiume, guarda i casi della vita.

Dal 1920 al 1937 il Salone restò a Milano, salvo la parentesi romana del 1929, quella in cui gli stands cominciarono a chiamarsi “stalli” in ossequio alle idiozie linguistiche del regime. L’anno prima il Salone, che era il ventitreesimo, contando dal 1900, ed il dodicesimo a Milano, si era fregiato del titolo di … Primo Salone Internazionale dell’Automobile, essendo entrato nel calendario internazionale. Però ci si accorse che contando solo dal 1928, il Salone divenuto internazionale si collocava agli ultimi posti della classifica mondiale. E furono Biscaretti di Ruffia e “l’Auto Italiana” a ottenere che si cominciasse da capo: il Salone del 1937 divenne gloriosamente il trentesimo Salone Internazionale dell’Automobile, perdendo per strada i due Saloni milanesi del 1906 e 1907 che ne avrebbero fatto in realtà il trentaduesimo. Ed ebbe anche pochi visitatori, trentasettemila, nonostante l’Impero appena proclamato. Sarà per questo che traslocò definitivamente a Torino, arrivando là fino alla sessantottesima edizione (cioè la settantesima), ma insidiato sempre più pesantemente dal Motor Show di Bologna, finchè scelte delle Case prima e crollo del mercato poi segnarono la fine del primo e la crisi del secondo.

Chissà se ritornare a Milano avrebbe fatto bene al Salone: e poi, sarebbe stato il sessantanovesimo secondo la numerazione ufficiale? O il settantesimo secondo quella effettiva? O più modestamente il ventunesimo “milanese”? Sulla sostanza del problema ci sembra veder chiaro l’analisi del destino dei Saloni italiani, apparsa nel numero di aprile di Interauto News, a partire dal concetto (divenuto metodo) di contaminazione. Concetto che ha travolto i Saloni tradizionali e non solo, con una declinazione specifica delle dinamiche della società dello spettacolo, genialmente pre-vista da Guy Debord. E quanto alla numerazione, decida chi può o ne ha voglia…

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