SCENARIO – La grande illusione dei voli verdi

Il Sustainable Aviation Fuel (SAF) promette emissioni ridotte, peccato che i numeri reali siano più modesti di quanto affermi il marketing. Ma siccome nessuno vuole sentirlo, preferiamo raccontarci che bruciare olio da cucina ci salverà

Se c’è una sensazione che ci piace provare è credere di poter continuare a usare gli aerei senza avere sensi di colpa per quanto riguarda l’inquinamento. Ecco perché quando la cancelliera del Regno Unito, Rachel Reeves, ha definito il Sustainable Aviation Fuel (SAF) un “game changer”, molti inglesi hanno tirato un sospiro di sollievo. Secondo Reeves, questo carburante potrebbe ridurre le emissioni di carbonio dell’aviazione del 70%. Ma… è davvero così?

Parole, parole, parole…

La cifra del 70% è un dato che, sebbene tecnicamente possibile, richiede una condizione ben precisa: sostituire integralmente il carburante fossile con il SAF. La verità? Anche se il Regno Unito dovesse centrare i suoi obiettivi più ambiziosi, il risparmio annuo realistico al 2030 si fermerebbe a un più modesto 7%.

Il SAF è un carburante sintetico derivato da fonti non fossili. Può essere ottenuto da oli esausti, grassi animali (tallow), rifiuti solidi urbani, residui agricoli, fognature o persino dalla combinazione di idrogeno e carbonio catturato con energia rinnovabile. Tuttavia, la produzione su larga scala è ancora agli albori e le materie prime scarseggiano.

Emissioni zero? Un paradosso

Uno degli aspetti più controversi del SAF è che, una volta bruciato, emette quasi la stessa quantità di CO₂ del carburante tradizionale. La “sostenibilità” deriva da un calcolo che presuppone che i rifiuti utilizzati per produrlo avrebbero comunque rilasciato carbonio nell’atmosfera. In pratica, non è che il SAF non inquini, è solo che facciamo finta che il suo impatto sia già incluso nel ciclo del carbonio.

Secondo una revisione della Royal Society, l’efficacia del SAF varia enormemente: nei migliori scenari potrebbe portare a emissioni negative (-111%), nei peggiori potrebbe risultare più inquinante del cherosene fossile (+69%). Insomma, più che una soluzione magica, sembra una scommessa ad alto rischio.

Il costo del del SAF? Un vero problema

Il Regno Unito ha stabilito un obbligo progressivo per l’uso di SAF: 2% entro il 2025, 10% nel 2030 e 22% nel 2040. Tuttavia, al momento il Paese dipende per il 97% da olio da cucina esausto, di cui solo l’8% è prodotto localmente; il resto proviene principalmente da Cina e Malesia.

La produzione nazionale è limitata: l’unico impianto commerciale attivo è la raffineria Phillips 66 Humber, mentre i piani per altri cinque stabilimenti sono fermi. Nonostante siano stati stanziati 135 milioni di sterline per nove progetti, al momento nessun nuovo impianto è effettivamente in costruzione. Inoltre, il SAF costa molto più del carburante convenzionale, con aziende come Shell che hanno abbandonato il settore per mancanza di profittabilità.

Una soluzione parziale

Anche ipotizzando che il Regno Unito raggiunga il suo obiettivo del 10% di SAF entro il 2030, il risparmio netto sulle emissioni sarebbe di appena il 7%. E questo senza considerare la crescita del numero di passeggeri e l’espansione degli aeroporti, che potrebbero annullare i benefici ottenuti.

In definitiva, il SAF è una soluzione parziale che può avere un ruolo nella decarbonizzazione, ma non rappresenta la bacchetta magica per rendere sostenibile il volo. Forse, invece di sperare in un futuro in cui possiamo volare senza sensi di colpa, dovremmo iniziare a pensare a ridurre il numero di voli. O forse, a mettere in conto qualche viaggio in treno in più.

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