Si chiamava Carlo

L’Ospite di Autologia, Giulia Marrone, giornalista

Si chiamava Carlo. Io non ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona, ma ho il privilegio di ascoltare la voce di chi interpretava il suo pensiero e generava le sue folli campagne pubblicitarie, frutto di quella testa visionaria e irriverente, Stefano Narra. È così che scopro aneddoti e storie di un genio e metto tutto insieme a ciò che già sapevo. Il quadro si compone ed ha la stessa potenza rivoluzionaria di una pala di Giotto, che nel martirio di San Paolo, al quale viene tagliata la testa, inserisce un fazzoletto affinché si copra gli occhi.
Ecco, nel settore della moto, e in parte dell’auto, Carlo Talamo, questo il cognome, ha portato la stessa folle leggerezza.
Quella totale inesistenza di schemi che oggi sarebbe necessaria per dare vita, luce, forza all’intero comprato. Con un solo fine: vendere più macchine e vendere più moto. Il coraggio al servizio del business. Perché questa è stato in sintesi Carlo Talamo.
E questa azione dirompente, oggi, manca nel modo di comunicare. Agenzie blasonate mandano in scena il festival delle banalità, la virilità dei cavalli, il sacro rispetto dell’ambiente, la semplicità della connessione di tutti i mondi possibili. Ma è totalmente assente quell’unico elemento che ti fa fermare, sussultare, sorridere e che ti manda in concessionaria: la libertà di essere diversi.
L’Uomo con la Visione, appunto all’anagrafe Carlo Talamo, compra dalla famiglia Castiglioni l’Harley Davidson, nel 1984 e fonda la Numero Uno, a Milano. È consapevole che quelle motociclette non le vuole nessuno, ma che dal 1903 il costruttore americano è fedele alla stessa linea, perché non propone “motociclette di giornata”, ma prodotti che continuano a migliorare, senza tradire sé stessi. Anche Carlo è leale solo al suo amore per i motori.
Quando nel 1985 la casa di Milwaukee presenta una gamma completamente rinnovata, è un gran colpo di fortuna. L’estetica migliora e si può iniziare a raccontare una storia. Ma si sa, le storie funzionano se c’è il colpo di teatro. E lui ha una fantasia irrefrenabile: le campagne pubblicitarie di Harley-Davidson sono come nessuno le avrebbe mai immaginate. Parlano di moto senza cadere nel tranello della “novità proposta sul mercato”. Parlano di essenza, di cuore. Lasciano stare la scheda tecnica. Evitano la virilità che sta in cima all’acquisto, per sostituirla con il fascino. Un po’ la differenza tra un tronista tutto palestra e cose al posto giusto, e il sorriso ironico di un sempreverde Marcello Mastroianni. E se ne vendono di moto, si trasformano, si customizzano, si fanno diventare bellissime. La Numero Uno, in via Niccolini, è la mecca, la famiglia che accoglie anche il figliol prodigo che ha smarrito la passione.
Della Fat Boy, in uno dei suoi scritti, Talamo dice una cosa semplice e vera: “Nera. Mammamia quanto mi piaci”.
E via così, la Numero Uno arriva a Roma, a Firenze, in tutta Italia. Intanto nasce la Giallo Quaranta, la concessionaria nella quale l’Uomo Senza Regole vende Bentley e Rolls Royce. È rimasta nella storia, all’epoca di Mani Pulite e Tangentopoli, la pubblicità che campeggia sull’Unità (si, avete letto bene, quel giornale di sinistra) e per promuovere la Bentley urla: “La ricchezza non è mica peccato”. L’avevo anticipato che è questione di coraggio.
Lo stesso coraggio che gli fa vendere le Triumph, subito dopo la rinascita del marchio. All’epoca è consolidata la convinzione che le motociclette inglesi abbiamo un difetto: perdono olio. Bene, non è più vero quindi è necessario dirlo a chiare lettere offrire la prova provata. Carlo Talamo prende un tappeto persiano, originale e costosissimo, e gli piazza su due esemplari che arrivano da Hinckley. Il cartello dice: “VI RICORDATE LE MOTO INGLESI, BENE DIMENTICATELE”
E tutti quelli che oggi smanettano, modificano, elaborano, abbelliscono, infighettisconc le moto, dovrebbero rivolgere un personale ringraziamento a Carlo. Un pensiero autentico. Perché quando le Trident erano brutte, ma veramente brutte, è lui ad aprire le danze e la strada alla customizzazione. Elimina, alleggerisce, trasforma e il l’anatroccolo diventa cigno.
E potrei andare avanti con un fiume di parole e di storie, mentre sfoglio il suo libro “Mi piacciono molto le pecore. Ma anche le galline”, ma preferisco che siano gli art director, i pubblicitari, gli amministratori delegati delle case a immergersi un quel pezzetto di passato per dare una svolta. Siate coraggiosi allo stesso modo. Dite e proponete cose folli. Questo potrebbe salvare il settore. Questo potrebbe salvarci.
Il cuore di Carlo Talamo ha smesso di battere il 29 ottobre 2002. Incidente stradale. Morto sul colpo. Con un affare tra le mani che è tra le cose che, forse, ha amato di più.

7 commenti
  1. Luca M. Apollonj Ghetti
    luca dice:

    Grazie Giulia! Io ho avuto la fortuna di conoscerlo e quando ci incontreremo ti darò uno spunto per un altro pezzo su di lui. Ed il titolo potrà essere “Il coraggio di dire “ma come si fa?””

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