Specialisti, non solo robot: così in fabbrica vincerà il talento

Anche nell’automobile prevarrà il modello USA

Potrà sembrare strano, ma nel 2030 le principali economie del mondo avranno più lavoro da offrire che lavoratori a cui offrirlo. Tra 5 anni in Italia ci sarà ancora una maggiore offerta di manodopera rispetto alla richiesta del mercato (8%), ma – inesorabilmente – entro il 2030 anche da noi sarà necessario “importare” forza lavoro per sopperire al deficit del 4% stimato. La Germania da sola potrebbe necessitare di 8 milioni di lavoratori nel 2030.
Queste le risultanze dalle analisi di Rainer Strack, Senior Partner e Managing Director del The Boston Consulting Group, partendo dai dati già oggi disponibili sulla distribuzione demografica nei singoli Paesi presi in esame. Stimando costante il trend del prodotto interno lordo, tutti e quindici i principali mercati del mondo saranno presto a corto di manodopera. E questo anche considerando crescenti flussi migratori ed un un ulteriore apporto alla produttività dalle tecnologie applicate. Il problema è ancor più grave in prospettiva se si considera che le figure professionali più richieste saranno anche quelle maggiormente qualificate e, inevitabilmente, più difficili da reperire.
L’industria dell’auto è già fortemente dipendente dall’automazione (il 40% del prodotto è realizzato da robot), ma se si considera che negli anni ’50 soltanto il 10% del costo produttivo di una vettura nuova derivava da componenti elettroniche, mentre oggi questo valore ha già raggiunto il 30% e nel 2030 supererà il 50%, si dovrebbe immaginare che questo importante comparto impieghi meno persone di sessanta anni fa. Non è così. L’elettronica ha creato tanti nuovi posti di lavoro e figure professionali (come l’ingegnere dei sistemi cognitivi deputato all’ottimizzazione del rapporto uomo-macchina) che non erano nemmeno lontanamente immaginabili negli anni ’80. In effetti, il numero di lavoratori coinvolti nella produzione di automobili è variato di poco negli ultimi decenni.
L’evoluzione tecnologica, i robot, l’intelligenza artificiale, i Big Data causeranno certamente la perdita di posti di lavoro, ma ne creeranno anche di nuovi e più qualificati. Drammaticamente, questo non farà che peggiorare la situazione del mondo del lavoro perché, se è vero che l’offerta di lavoro supererà la domanda, è anche vero che la richiesta di manodopera sarà sempre più indirizzata verso figure altamente qualificate. Resta ancora da capire quando questo avverrà, con quale velocità e fino a che punto le nuove tecnologie sottrarranno lavoro. Una sfida posta a governanti e aziende che devono preparare oggi i lavoratori del futuro: talenti specializzati, giovani donne e uomini disposti a lasciare il proprio Paese per trovare un lavoro di soddisfazione.
La migrazione è infatti una soluzione, almeno nel breve-medio periodo. Dall’indagine svolta da Strack presso 200.000 lavoratori di 189 Paesi nel mondo emerge come oltre il 60% siano disposti a trasferirsi all’estero (70% dei giovani tra 21 e 30 anni a livello mondiale, 63% se riferito ai nostri connazionali). Tra le mete aspirazionali, gli Stati Uniti sono il Paese d’elezione per il 42% degli intervistati, seguiti da Inghilterra (37%), Canada (35%), Germania (33%), Svizzera e Francia (29%) e Australia (28%). Contrariamente a quanto si possa pensare, le principali motivazioni di emigrazione non sono legate al salario (soltanto 8° in classifica), ma riguardano maggiormente gli aspetti aspirazionali: 1° apprezzamento per il proprio lavoro; 2° buone relazioni con i colleghi; 3° qualità della vita; 4° buon rapporto con la dirigenza.
Mantenendo l’attuale trend di crescita del PIL, la manodopera disponibile negli Stati Uniti supererà del 10% quella necessaria nel 2020, ma soltanto del 4% nel 2030. Nell’arco dei prossimi 15 anni quello nordamericano sarà l’unico dei quindici principali mercati mondiali a vantare un surplus, seppur esiguo, in termini di forza lavoro. Nonostante Asia, Russia, India e Sudamerica possano sembrare oggi l’Eldorado dell’industria, la scelta di produrre automobili negli USA potrebbe rivelarsi davvero vincente nel medio-lungo periodo. Con buona pace dei nostri sindacati.

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