Vetro e motori
Nell’ultimo decennio dell’ ‘800, mentre i primi grandi marchi automobilistici facevano la loro apparizione al centro della seconda rivoluzione industriale, negli ambienti intellettuali dilagava la critica alle pesanti trasformazioni che si andavano imponendo nella vita sociale e culturale. John Ruskin, per esempio, lamentava la scomparsa dell’artigianato, travolto dalla produzione di serie: e, a parte l’improbabile invito al ritorno alla tradizione medioevale, la polemica aprì la strada ad una arte nuova che l’Expo di Parigi del 1900 celebrò fissando uno dei nomi con cui è nota, appunto Art Nouveau (in Italia sarà piuttosto “stile floreale” o “Liberty”). Arte che affrontò la meccanizzazione industriale utilizzando i suoi materiali ed il modo di lavorarli, oltre ai prodotti ed alle nuove linee che ne nascevano.
Fu il caso, in architettura, del ferro e del vetro di stazioni e fabbriche, modellati secondo le linee dinamiche e ondulate che la pittura, per parte sua, cercava nella natura e nell’arte giapponese. L’artigianato artistico rinacque così con ornamenti e gioielli realizzati in chiave vegetale e floreale, ma volgendosi alla lavorazione dei metalli ed alle nuove tecniche di smaltatura: ed all’accostamento di pietre preziose tradizionali con “nuovi” materiali come avorio, corno e…vetro. Appaiono nomi ancor oggi famosissimi, come Tiffany, Daum… E René
Lalique, l’artista-artigiano che suggellerà un impensato ma sottile legame tra vetro e motori. Nato nel 1860, Lalique attraversò nel pieno della sua maturità il decennio finale dell’ ‘800 e gli Anni Dieci del ‘900, quando l’automobile era ancora il prodotto, eseguito praticamente su ordinazione, per un’elite ristretta; ed alla sommità della sua calandra cominciavano ad apparire quei tappi del radiatore, o “mascotte”,in forma di piccole statue in ottone, zinco, bronzo, qualche volta rivestite in nichel e argento, (molto) più raramente in oro.
Francois Bazin avrebbe posto una cicogna sul radiatore della maestosa Hispano Suiza: omaggio alla squadriglia delle Cicogne, i cui velivoli ne montavano l’altrettanto maestoso motore. E Rembrandt Bugatti avrebbe proposto l’elefante danzante per la Royale. Le biografie di Lalique ce lo raccontano orafo, vetraio e disegnatore, al lavoro per Cartier e creatore di gioielli esclusivi per Sarah Bernardt.
Dai primi del ‘900 si dedica soprattutto al vetro, restando legato ai soggetti naturali e animali, e ai nudi femminili, intrisi dal preziosismo e dall’esotismo che attraversavano l’Art Neuveau approdando all’Art Decò, dominante negli anni ’20 e ’30. Sempre a Parigi, nel 1925, è infatti l’Exposition Internationale des Arts Decoratifs et Industriels Modernes, in sintesi appunto Art Decò, a segnare la supremazia francese nell’ebanisteria, nei mobili modernistici, negli oggetti in metallo e lacche, nella gioielleria di Cartier e, ancora, nei lavori in vetro di Lalique. L’Art Decò è uno stile eclettico che si richiama alla stessa Art Nouveau, ma poi anche alle arti “primitive”, al gusto dei Balletti Russi di Diaghilev, al neoclassicismo ed al fauvismo, aggiungendo ai materiali già recuperati, l’alluminio, l’acciaio e la lacca: e mantenendo, come dicevamo, forme animali e vegetali e forme femminili agili e atletiche, con uno stile sintetico e “aerodinamico” che andava nello stesso senso – o così pareva – dell’industria, della tecnologia, insomma della modernità.
Lalique, forse non a caso, decora i wagons-restaurants e i wagons-lits dell’Orient Express e del Train Bleu. Due veri e propri simboli di quegli anni, gli stessi in cui a Parigi produce auto André Citroen. Il quale, proprio nel 1925, chiede a Lalique una “mascotte” per la sua nuova 5CV. Nascono così i cinque cavalli in vetro che aprono la serie delle sue creazioni automobilistiche. Entro il 1932 ne avrebbe proposte ventisette, per Hispano Suiza, Isotta Fraschini, Bugatti, Bentley… La più famosa è forse lo “Spirito del vento”, apparso sulla Minerva AK al Salone di Parigi del 1928. Uno splendido zoo di vetro, anche, popolato da volpi e civette, teste di pavone e d’ariete. E teste d’aquila per le auto degli ufficiali tedeschi quando la fabbrica, in Alsazia, finì in mano agli occupanti, Lalique morì nel ’45, pochi giorni dopo aver appreso che la fabbrica era stata liberata e gli stampi recuperati: ciò avrebbe permesso la ripresa e un nuovo successo che dura ancor oggi. E le mascotte? Nel 1966 prima in Gran Bretagna e poi via via in tutti i paesi, furono messe fuorilegge perchè pericolose in caso di incidente: e così anche Ruskin, in un certo senso, finì per avere ragione.
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