60 anni di Alpine

Grandi festeggiamenti a Goodwood per il compleanno del marchio sportivo transalpino, rappresentato splendidamente dall’epopea della A 110, modello della berlinetta famosa per prestazioni e successi in gara, vera icona dei tempi.

«Le Alpine sorprenderanno il mondo» dichiarò Amedeo Gordini con una profezia diventata realtà. Sessant’anni fa nasceva un marchio che ha segnato la storia dei rally, e non solo.

Una leggenda iniziata nel 1955 per la passione di Jean Rédélém, concessionario Renault e pilota: la prima nata è la A 106, sportiva disegnata da Michelotti attorno alla R4. Azzardo seguito dalla A 108 e quindi dalla mitica A 110, evoluzione proseguita con altre vetture, poi sopita per diversi anni e in vista di un rilancio da parte di Renault, che finalmente si rende conto del potenziale del marchio Alpine, cominciando a realizzare concept car per un grande ritorno.

Una lunga storia di passioni, di gare e di successi, che richiederebbe opere complete: meglio concentrarci sulla più nota e ambita dai collezionisti, la A 110. O, meglio usare il plurale, “le” A 110. Vetture da corsa in evoluzione permanente, adottano – sembra incredibile – una quindicina di motori in altrettanti anni di carriera, dal 1963 al 1977.

Alpine A 110 è una vettura che a più di cinquant’anni dall’apparizione affascina per molti aspetti. L’eleganza: è bella senza compromessi, con linea più unica che particolare, seduce per un fascino della postura felina, che sprizza agilità, acquattata sul posteriore, con l’anteriore fiero e pronto al balzo. Alpine A110 dispone di un forte potenziale evocativo in grado di scatenare ricordi ed emozioni. Chiedendo a chiunque abbia vissuto quegli anni (anche se solo da bambino) di immaginare una A110, la indicherà nel classico colore bluette, mentre invitando a pensare la posa dell’auto che gli si costruisca nella mente, sarà facilmente visualizzata in un controsterzo, moderato ed efficace. Perché A110 appartiene alla storia delle corse.

Presentata al Salone di Parigi del 1962 come derivazione della sgraziata A108 con motore Dauphine, A110 è progettata da Jean Rédélé che crede molto nella nuova creatura. Leggera per ospitare il motore della Renault R8, un quattro cilindri da 956 cc con soli 44 CV sistemato in posizione posteriore trasversale a sbalzo, chiarisce subito la destinazione sportiva e la grande cura stilistica dell’insieme come dei raffinati dettagli. Rispetto alla 108 si costruisce una personalità più strutturata, cominciando dal cofano motore più piatto, dalle superfici vetrate più ampie e dai gruppi ottici posteriori adottati dalla R8 ma che si inseriscono perfettamente. Sempre in coda le necessarie aperture per ventilare il motore (i radiatori sono posteriori), quelle prese d’aria con quattro listelli cromati sopra i parafanghi si trasformano in un elemento caratterizzante del modello. Se nell’insieme l’immagine di Alpine A110 si fonda sull’eleganza e sull’equilibrio della linea nel suo complesso, innegabilmente l’aspetto saliente si concentra nel frontale con le luci carenate e nel posteriore rastremato.

Bassa e filante, nasce per correre, e vincere: nell’abitacolo non si entra, si scivola sul sedile di finta pelle nera (peraltro con seduta e schienale regolabile). Poi, una volta al posto di guida, sembra di esserci sempre stati: volante in pelle nera, cruscotto con tachimetro e contagiri ben in vista e altri strumenti come termometro acqua, amperometro (sempre caro ai francesi), manometro dell’olio e persino un orologio, secondo versioni e allestimenti: uno dei quali comprende una maniglia per l’appiglio del passeggero. Dotazioni integrate dalle opzioni aggiuntive: dai fari di profondità al serbatoio maggiorato, dai sedili sportivi ai cerchi in lega leggera. Raffinatezza essenziale, pensata comunque per una clientela più corsaiola che non semplicemente sportiva.

Perché una volta al volante di un’Alpine A110, accendendo il motore ci si scorda la provenienza dalla paciosa R8, e il rumorino che accelerando pare ruggire, indica subito – specie nelle cilindrate maggiori – la provenienza non solo dall’atelier Alpine ma dalle mani del mago Amedeo Gordini; ricordiamo come, con un misto tra orgoglio italiano e grandeur francese, al lancio avesse predetto: «Le Alpine sorprenderanno il mondo».

Intendiamoci, non una vettura perfetta: difficile e con un carattere personale, al punto che poco dopo la presentazione qualcuno disse come fosse più semplice guidarla in curva che in rettilineo. Ma l’entusiasmo dei piloti e la facilità di raggiungere buoni risultati prevalsero nei giudizi. Perché la ricchezza di A110 consiste nella leggerezza e nell’equilibrio delle prestazioni, tali da offrire grande motricità (grazie alla posizione del motore) unita a notevole maneggevolezza, permettendo un controllo combinato dei sovrasterzi mediante l’azione sul volante e sull’acceleratore. Azioni che in gara entusiasmano il pubblico, e le vittorie arrivano nel corso del 1963, primo anno di produzione, in un crescendo culminato – dopo l’omologazione nel Gruppo 4 della 1600 S nel 1970 – con la storica tripletta al Monte-Carlo del 1971: Ove Andersson, Jean-Luc Thérier e Jean-Claude Andruet sono i protagonisti di un podio tutto Alpine Renault. E in Italia, lo stesso anno, le berlinette francesi precedono un’infinità di Lancia e Fiat.

Le gare richiedono costante evoluzione, i propulsori in casa Renault non mancano, come la capacità dei preparatori del livello di Marc Mignotet e Amedeo Gordini, al pari delle officine di Dieppe – dove si concentra la produzione francese di A110 – di adattare propulsori nati per altre vetture. Un esempio su tutti: Gordini arriva a ottenere ben 93 CV dal motore della R8 modificandolo con carburatore doppio corpo.

Ecco i tratti principali dello sviluppo motoristico della sportiva francese, con indicati il nome del modello e tra parentesi cilindrata, cavalli, anno di modifica e vettura di provenienza: A110 956, (956 cc, 44 CV, 1963, R8), 70 (1.108 cc, 58 CV,1964, R8 Major), 100 (1.108 cc, 77 CV, 1965, R8 Gordini), 1.150 (1.149 cc, 93 CV,1965, R8 Gordini), 1300G (1.255 cc, 88 CV, 1966, R8 Gordini), 1300S (1.296 cc, 102 CV, 1967, R8 Gordini), 1500 (1.470 cc, 75 CV, 1967, Renault 16), 1600 (1.565 cc, 92 CV, 1968, R16 TS), 1600S (1.565 cc, 122 CV, 1969, R16 TS), V85 (1.289 cc, 72 CV, 1970, Renault 12), 1600 SC/SI (1.605 cc 122 CV, 1973, R12 Gordini), 1600 SX (1.647 cc, 95 CV, 1976, R16 TX). Ci sono tutti? Non proprio, perché il buon progetto della A110 avrebbe accolto anche il 1.605 cc della coupé Renault 17 e nel 1972 (solo versioni da corsa) il 1.800 cc e anche un 1.600 in variante turbo.

Eppure, nonostante la sarabanda di propulsori, la produzione complessiva di Alpine A110 non è stata di nicchia: 6.892 esemplari (con il boom dei quasi 2mila del 1970) costruiti a Dieppe da Alpine, un paio di centinaia in Bulgaria, circa 300 in Messico e 1.500 in Spagna. Non poche, per una vettura che, oltre agli allori francesi ed europei, conquista il titolo mondiale nel 1973, consolidando nel tempo l’immagine unica, suggestiva e seducente: non solo bella, anche veloce e vincente. E con un marchio che merita di tornare, speriamo davvero presto.

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