Car of the Year 2017. L’auto-celebrazione si fa in 7

Il 6 marzo l’elezione dell’Auto dell’Anno. Tra Alfa Romeo Giulia, Citroen C3, Mercedes Classe E, Nissan Micra, Peugeot 3008, Toyota C-HR e Volvo S90/V90 proviamo a capire chi può vincere
In questo mondo obeso di celebrazioni, l’auto-celebrazione è uno degli sport preferiti. In più, malgrado il livello medio generale sia ormai davvero alto (vetture scarse non esistono più, al limite qualcuna è bruttina ma è sempre una questione di gusto personale), l’impressione è che esistano ormai più premi per buone auto che buone auto. Un riconoscimento non si nega a nessuna: garantisce citazioni da parte delle Case costruttrici per chi lo elargisce, e consente a quasi ogni vettura di primeggiare in qualche cosa. Miglior interno, miglior motore, miglior aereodinamica. Non esiste presentazione senza che la stampa di settore sia debitamente informata che un nuovo modello (tutti) sia “best in class” per qualcosa, o “da record nel segmento di riferimento”.
Detto questo, esistono premi più prestigiosi di altri. E “L’Auto dell’anno”, traduzione nostrana per “Car of the Year” probabilmente lo è, almeno per l’enfasi che lo precede. E per quanto i costruttori tengano a conquistare il bel bollino multicolore che regala un certo prestigio. Vincerlo, per l’auto prescelta non significa essere migliore di altre, ma che una giuria di cosiddetti esperti l’ha giudicata tale. In questo caso, il premio ha 54 anni: abbastanza per garantirsi autorevolezza e una preziosa primogenitura. I giudici invece sono 58, provengono da 22 Paesi europei diversi (6 sono italiani), e sono tutti giornalisti di settore: dunque dovrebbero avere sufficiente competenza in materia. Nella stragrande maggioranza dei casi siamo certi che sia così, anche se il sistema con cui si accede alla “casta” farebbe pensare il contrario. Come pure la considerazione che i “baroni” del premio guadagnano presso i marchi che poi sono chiamati a giudicare, ovviamente senza condizionamento alcuno. Ma questi sono dettagli. Chi vota firma pubblicamente la propria scelta e se ne rende responsabile, circostanza questa che fa onore al “Car of the Year”.
Come tradizione dunque il 6 marzo a Ginevra, in occasione dell’apertura del Salone, verrà scelta l’Auto dell’anno 2017. Le candidate iniziali erano 30, e i requisiti per essere ammesse nella lista delle votabili sono precisi. Possono ambire al premio solo le vetture presentate nel corso del 2016, a patto che siano nuovi modelli (non restyling dunque). Dopo la prima scrematura, le finaliste sono rimaste 7: Alfa Romeo Giulia, Citroen C3, Mercedes Classe E, Nissan Micra, Peugeot 3008, Toyota C-HR e Volvo S90/V90.
Prima ancora delle prescelte, fanno rumore le escluse: non può passare inosservato il fatto che non ci sia nessuna vettura del Gruppo Volkswagen, che pure aveva candidabili per la finale auto del valore di Audi Q2 e A5, l’interessantissima Skoda Kodiaq e la bella Volkswagen Tiguan. Inevitabile pensare che lo scandalo dieselgate abbia creato qualche imbarazzo ai selezionatori e il fatto di essere risultato comunque il Gruppo numero uno al mondo per vendite nel 2016 sia stato considerato già un premio sufficiente. Seconda considerazione: malgrado l’elettrico sia tanto di moda, non c’è traccia di vetture a batteria tra le finaliste. Di ibride poi ce n’è una sola, la Toyota CH-R, in un panorama di mercato che non parla d’altro.
L’albo d’oro. Tutto sbagliato? Ovviamente no. Perché gli scivoloni del passato (Opel Ampera, elettrica, che vinse nel 2012 senza lasciare poi traccia alcuna sulle strade) hanno insegnato che essere auto dell’anno significa prima di tutto “essere”, appunto. Cioè esistere, fare mercato, piacere. E magari anche rispondere alle precise caratteristiche imposte ai giudici come discriminanti per la scelta: che si tratti cioè di vetture che primeggiano per doti di guidabilità, contenuti tecnologici, dotazioni di sicurezza e un buon rapporto qualità/prezzo. Questo spiega perché da anni non vince un’auto di lusso e perché nelle ultime 20 edizioni per 18 volte siano stati premiati solo marchi che (una volta almeno) si chiamavano “generalisti”: tre volte Fiat (con la Bravo nel 1996, la Panda nel 2004 e la 500 nel 2008), tre volte Renault (Scenic nel 1997, Mègane nel 2003, Clio nel 2006), due volte Ford (Focus nel 1999, S-Max nel 2007), due volte Toyota (Yaris nel 2000, Prius nel 2005), due volte Peugeot (307 nel 2002, 308 nel 2014), tre volte Opel (oltre all’Ampera, vinse Insignia nel 2009 e Astra nel 2016), tre volte Volkswagen (Polo nel 2010, Golf nel 2013 e Passat nel 2015) e una volta Nissan (Leaf nel 2011).
Il ritorno di Alfa Romeo. Ha vinto solo due volte, con la 156 nel 1998 e 147 nel 2001, e da allora è sparita dalle candidabili. Per l’edizione 2017 ritorna con grandi speranze grazie alla Giulia, unica italiana (si può dire?) in finale, modello che Fca ha fatto attendere tanto (troppo) per non avere ora una dote di aspettative da far valere. Indiscrezioni raccolte nell’aria la segnalano come certamente sul podio: vincere sarà più difficile, ma non impossibile. I contenuti tecnici ci sono tutti, la guidabilità è da (gran) premio, il marchio ha un nome talmente importante che non lascerà indifferenti i giudici stranieri. Forse l’estetica complessiva – un mix di linee già viste – non colpisce più di tanto, ma la nuova Giulia è già un punto di riferimento assoluto per le berline medie di lusso.
La Peugeot dell’anno. Opinione personale, la 3008 è la novità in assoluto più valida del lotto. Non solo perché Peugeot ha preso il vecchio modello e lo tra trasformato al punto da renderlo irriconoscibile rispetto al precedente, ma per la filosofia di guida che esprime. La 3008 è un Suv in tutto e per tutto ma con linee talmente aggraziate e meccanica orientata all’uso stradale da renderlo trasversale e apprezzabile anche a chi storce il naso di fronte a questo tipo di vetture. Elegante, raffinatamente essenziale negli interni, piacevole da guidare. In una parola: i giudici scelgano come credono, ma per noi è l’auto dell’anno.
Micra mica tanto. Ha fatto la fortuna della Nissan ed era l’utilitaria più amata dalle donne. Era Micra in tutti i sensi. Ora, con la quinta generazione, è diventata grande, tanto. Al punto (4 metri giusti) da essere al limite per considerarsi una city-car, ma abbastanza per riempirsi di contenuti tecnologici indispensabili. Prezioso, e inedito per la categoria, il sistema Trace Control che aiuta la direzionalità dell’auto limitando il sottosterzo tipico delle vetture a trazione anteriore. Disponibile solo a 5 porte, comoda, gradevole esteticamente. Sua… nonna, la Micra del 1993, ha già vinto una volta. Bis complicato, ma ci sta.
Io guido da sola. Stradista per tradizione e blasone, la Classe E è l’auto più costosa tra le sette in competizione, particolare che toglie a Mercedes quasi ogni speranza di successo in questo premio. E’ però anche il modello più tecnologicamente ricco del lotto e regala un’anticipazione reale di guida autonoma: oltre alla frenata automatica d’emergenza, il suo Drive Pilot consente di restare perfettamente in carreggiata in autostrada e, una volta in scia al mezzo che precede, superarlo e rientrare in corsia azionando semplicemente l’indicatore di direzione senza toccare il volante. Futuribile, pure troppo.
Svedese da accendere. Come marchio è l’eterno piazzato. Terzo nel 2013 con la V40; secondo l’anno scorso con la XC90. Volvo non ha mai vinto il Car of The Year. E questo non depone a favore di chi assegna il premio. Troppo serie (nel senso di ineccepibili) le sue auto per essere discusse, e forse anche capite. Ci riprova con una doppia candidatura che vale per una sola: l’eleganza minimalista della S90 (e della variante station wagon V90) potrebbe bastare per conquistare almeno il podio, ma anche di più. Dentro è un salotto, l’assistenza alla guida evolutissima, la pulizia delle linee senza pari. Svedese, potrebbe gelare tutti.
Telecamera con vista. La vecchia C3 ha venduto un botto, farne una nuova parecchio diversa poteva essere un rischio. Non lo sarà probabilmente, perché Citroen ha apparecchiato una vettura validissima, molto più giovanile e dinamica della precedente, meno tondeggiante, più grande (come detto, largheggiare va di moda) ma intelligentemente piccola nei motori, con il 1.2 benzina PureTech che gira bene assai con tutte e tre le varianti di cavalleria proposte (68, 82 o 110 Cv). Tinte sgargianti e versioni bicolore la rendono simpatica, la ConnectedCam che permette di girare video e fare foto dall’interno dell’abitacolo e di condividerle sui social continua a sembrarci del tutto evitabile. Ma, dicono, ai giovani piace. Ai giudici del premio, si vedrà.
Attenzione agli spigoli. Buon ultima, ma tutt’altro che ultima nelle speranze di vittoria, la Toyota C-HR. Prenderà molti voti nordici, gente che guarda prima di tutto all’eco-compatibilità. Essere l’unica ibrida è il suo valore aggiunto, mentre l’estetica del tutto singolare può essere il difetto. Di certo non lascia indifferenti questo crossover da città tutto angoli e sinuosità. Sotto il cofano batte un 1.8 benzina accoppiato a due motori elettrici per 122 Cv totali, che promette 26,3 km/litro. Ardita ma non estrema. Può piacere, anche molto. (da avvenire.it)

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