Da Togliattigrad a Detroit

All’ultimo Torino Film Festival è stata presentata una bellissima pellicola di Federico Schiavi e Gian Piero Palombini che, in forma documentaristica, racconta la storia di Togliattigrad. Che poi vuol dire, per quanti ricordano o hanno letto, la storia di quando nel 1966, per intenderci sei anni dopo la costruzione del Muro di Berlino, la Fiat di Vittorio Valletta sbarcò nell’Unione Sovietica per mettere in piedi uno stabilimento automobilistico da 2 mila vetture al giorno nella città di Stavropol, nell’Oblast di Samara, un migliaio di chilometri a sud est di Mosca, poi ribattezzata appunto Togliatti(Grad). Uno guarda quel film, intenso nell’accostamento delle immagini e delle voci che contribuiscono alla narrazione di un evento storico, e si chiede che cosa può accadere in poco meno di mezzo secolo, esattamente quarantotto anni, tanti quanti sono passati dalla firma di quell’accordo a oggi.

Ed ecco l’Italia del primo centro sinistra e l’Unione Sovietica del dopo-Krusciov, due mondi che non esistono più, allora lontanissimi tra loro, come lo erano gli attori di quell’operazione di  realpolitik che pure andò in porto e che, anche per la suggestione del film, induce a pensare alla Fiat di oggi e alle sue strategie lette da Torino e dall’Italia. Intanto va detto subito che, nel portare la tecnologia di Torino in Urss, la Fiat dell’epoca s’impose su avversari come Renault e Volkswagen che avevano fatto di tutto per contendere il passo ai torinesi. Non è poco, anzi. La lungimiranza di Valletta e la diplomazia di Piero Savoretti ebbero la meglio sugli avversari stranieri e su quelli di casa per dire i comunisti che popolavano le linee di montaggio di Mirafiori e che, senza essere al potere politicamente, avevano un enorme peso in Italia, trattandosi del più grande partito comunista a ovest della Cortina di Ferro ancora legato a Mosca dieci anni dopo i fatti di Ungheria.

La Fiat andò a in Urss a portare la tecnologia della sua 124 che sarebbe diventata Zigulì, ma Mirafiori rimase al suo posto con i suoi circa sessantamila operai attivi come api in quel ventre di balena industriale che oggi è un carapace semivuoto in attesa di sapere quale sarà il suo destino. E  rimasero al loro posto tutte le fabbriche sussidiarie di Mirafiori, quelle che c’erano già e quelle che sarebbero state create da lì a poco. Perché l’idea era quella di esportare tecnologia e non altro. E così fu. Ora si può obiettare che trent’anni prima della globalizzazione si poteva fare quello e non altro, essendo quasi sconosciuto il fenomeno della delocalizzazione selvaggia o meno. Ma anche così Togliattigrad resta un unicum che rimanda al più recente accordo che ha fatto della Fiat, il sesto gruppo automobilistico del mondo, dopo avere assunto il pieno controllo della Chrysler. Che, detta così, ha tutte le caratteristiche di una mossa vincente. E per molti aspetti lo è, anche se resta da capire per chi.

Andando per ordine la si può raccontare in questi termini. La Fiat di Sergio Marchionne, dopo essere uscita dalla peggiore crisi della sua storia, a partire dal 2008 si guarda intorno perché il Ceo che l’ha tirata fuori dall’inferno riportandola all’onore del mondo, si è accorta che il suo mondo, quello nel quale è rimasta rinchiusa, è piccolo e il futuro è fatto per gruppi da almeno cinque-sei milioni di vetture. In quel periodo un’altra ex grande dell’auto, la Chrysler è in difficoltà e cerca una ciambella di salvataggio. Marchionne, che ha un certa esperienza di America, coglie la palla al balzo e si candida per questo salvataggio per il quale si è mosso nientemeno che Barack Obama. In estrema sintesi il piano di intervento prevede che la Fiat paghi in tecnologia il suo ingresso in Chrysler e soprattutto l’acquisizione di un mercato più vasto di quello di cui dispone, compreso quello americano dal quale è andata via ingloriosamente da una ventina di anni.

Si parte così nel 2009 ma quattro anni dopo il punto di arrivo è una Fiat padrona della Chrysler. Che non starebbe per niente male. Ma questa Fiat non è più di casa a Torino. E’ una Fiat che ha cambiato acronimo: da Fabbrica italiana automobili Torino è diventata Fiat Chrysler Automobiles, la sua sede finanziaria è a Londra e la sua sede fiscale ad Amsterdam, il ponte di comando, checchè se ne dica, a Detroit. Ecco, da Togliattigrad a Detroit. In fondo si è trattato di due sortite in campo internazionale, due trasferte, due business. Due episodi in due momenti diversi dalla storia. Con finale diverso.

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