Gente del secolo scorso

Alle otto di mattina del 6 ottobre 1955, Parigi doveva essere bellissima, come le capita spesso – una Citroen Ds uscì per la prima volta nel traffico della città. Trasportava quattro irreprensibili personaggi, del tutto sconosciuti al passante che avesse incrociato i loro sguardi: e comunque sarebbe stato attratto piuttosto dall’aspetto della “cosa” silenziosa, dolcemente ondeggiante e vagamente insolente in cui, in giacca e cravatta come un travet qualunque, i quattro stavano seduti. L’uomo alla guida si diresse verso gli Champs Elysées: avrebbe ricordato poi i passanti, sempre più numerosi, che si voltavano incuriositi e “la giovane e bellissima donna che dai sedili posteriori di una lussuosa limousine aveva fatto un gesto di ammirazione verso la Ds 19”. Chissà chi era: l’uomo alla guida invece, questo lo sappiamo, si chiamava Paul Magés, al suo fianco sedeva un certo André Lefèbvre ed erano accompagnati da tali Cadiou e Prudhomme.

Per le nove raggiunsero il Salone, dove di sicuro già si aggirava quell’altro eccentrico collega, Flaminio Bertoni, scrutando con i suoi occhi spiritati le novità, di cui discuteva un po’ in italiano e un po’ in francese con – eccoli là – Becchia e Seinturat…Tutti quanti si mescolarono alla folla crescente che si pigiava sullo stand Citroen: strinsero mani di colleghi di altre case – come Alex Sarantes Tremulis (che scattò le sole foto a colori oggi disponibili delle Ds esposte) il progettista della Tucker Torpedo ’48, passato a Ford – qualche commento con i “commerciali”…interviste neanche parlarne. Il grande pubblico ignorava la loro stessa esistenza, nota a pochi giornalisti con i quali d’altronde Citroen aveva troncato i già rari rapporti proprio a causa delle anticipazioni apparse sulla Ds: la linea di condotta Michelin – che controllava Citroen da vent’anni – in materia di comunicazione era a dir poco austera. Perciò i nostri personaggi se ne tornarono a uffici e laboratori, mentre la “ cosa” si avviava al successo nel giro di poche ore.

Non a caso, due anni dopo, in un articolo su “Elle” – poi confluito nella raccolta “Miti d’ oggi”- Roland Barthes avrebbe scritto, nel suo stile dotto e brillante, della Ds come “segno” di un’epoca, paragonando en passant i costruttori di automobili ai maestri che edificarono le grandi cattedrali: per l’identico anonimato, all’epoca quasi assoluto e del quale Citroen era appunto un esempio da manuale, tanto che per il gruppo dei suoi progettisti e stilisti si può spendere il paragone con le “botteghe” rinascimentali.

Alla morte di Andrè Citroen nel ’35, il nuovo patron, Edouard Michelin – rimasto solo al vertice dell’impero che aveva creato con il fratello – aveva affidato la riorganizzazione dell’“affaire Citroen” al figlio Pierre, affiancandogli Pierre Boulanger, già brillante esecutore di altri incarichi per conto di Clermont-Ferrand. Si trattava questa volta di mettere mano a un’azienda in tutto o in massima parte creatura del fondatore, che l’aveva ricostruita da zero nel giro di un anno, il 1934, portando contemporaneamente alla luce quella Traction Avant dalla quale si attendeva la salvezza finanziaria.

Razionalizzare, accorpare servizi, crearne altri, migliorare ancora i processi di produzione e ridurne i tempi, elevando la qualità della Traction all’altezza della sua indiscutibile modernità. E naturalmente i programmi futuri: e gli uomini, da licenziare, spostare, sostituire, a partire dalle linee di montaggio su su fino al gruppo eterogeneo che proprio “quel” Lefèbvre aveva già in parte riunito per la Traction.

Boulanger era un dirigente autoritario ma pragmatico, esperto di uomini e del comando: comprese a suo modo il mutare dei tempi e della società e avviò immediatamente le ricerche di mercato e gli studi per un’utilitaria razionale, spartana, a basso costo per il produttore e per il cliente. Ipotesi che Citroen aveva esaminato e posposto agli auspicati margini maggiori della Traction: per la quale Boulanger, già nel ’38, divenuto nel frattempo presidente e direttore generale dopo la morte di Pierre Michelin, lanciò il programma VGD (Voiture Grande Diffusion), la sostituta della Traction, che si affiancò a quello TPV (Toute Petite Voiture), l’utilitaria.

Gli uomini li sapeva già tutti lì, a cominciare da Andrè Lefébvre, Paul Magès e Flaminio Bertoni, che furono il cuore della “bottega”, nata sotto i suoi occhi attenti e non sempre benevoli: il suo pragmatismo gli permise di tenere sotto controllo un gruppo di uomini competitivi e spesso geniali, che non a caso, dopo la sua morte, sarebbe vissuto di vita propria, assicurando un prestigio alla tecnica ed allo stile Citroen durato al di là dell’arco di vita dei suoi componenti. Ma questa è un’altra storia: mentre il ventesimo secolo si allontana sempre più, pare giusto ricordare almeno le opere e i giorni di Lefèbvre, Magés e Bertoni e per questa via i loro collaboratori – e i loro colleghi, spesso altrettanto sconosciuti, che lavorarono in altre aziende ad altre imprese, in un’epoca dai contorni sempre più sfumati.

André Lefèbvre, l’ingegnere

André Lefèbvre, in una delle rare fotografie disponibili guarda intensamente l’obiettivo, aggrottando le ciglia, mentre si infila i guanti, avvolto in un trench dal bavero rialzato: e pare uscito dal set di un film di Marcel Carné, che “girava” negli anni in cui Lefèbvre lavorava al quai di Javel. All’incontro con Citroen era arrivato nel pieno della maturità: era il 1933 e Lefèbvre era nato a Louvres nel 1894, liceo a Nantes, e poi Ecole superieure d’aeronautique, a Parigi. A Montmartre, per l’esattezza, perchè l’ Ecole stava lì nel quartiere degli artisti (e che artisti) che Lefèbvre frequentò, derivandone una sensibilità forse non estranea alla futura intesa professionale con Flaminio Bertoni. D’altronde il suo primo lavoro, dopo l’Ecole, lo trovò presso un architetto, Gabriel Voisin, che progettava ….aerei da combattimento e, a partire dal 1919, automobili. In questo passaggio, Lefèbvre, di cui il vulcanico Voisin, già socio di Bleriot, apprezzava la creatività fluviale ed il carattere esplosivo ma generoso, partecipò attivamente a una progettazione automobilistica che applicava idee ed esperienze provenienti dagli studi di aerodinamica, Un esempio, fra tanti, fu la creazione, negli Anni Venti, del prototipo Voisin Laboratoire, nel quale Lefèbvre poté sperimentare concetti come il rapporto peso-potenza, la riduzione dei pesi attraverso l’utilizzo di nuovi materiali (l’alluminio, in particolare), la ripartizione delle masse, il baricentro abbassato: il concetto stesso di aerodinamica, per così dire…trasportato a terra. Lefèbvre non fu solo un teorico: portò in pista le Voisin, dotate, grazie a quegli studi, di una tenuta di strada eccezionale e nel 1924 vinse il Gran premio di Tours, mentre nel 1929 batté il record mondiale di velocità delle 48 ore. Tra l’altro in coppia con César Marchand, sul circuito di Montlhéry, dove si sarebbero rivisti, ma ancora non lo sapevano, pochi anni dopo, all’epoca delle imprese delle “Rosalie” di Citroen, che abbiamo già raccontato in Autologia.

Le difficoltà di Voisin, connesse anche alla crisi del ’29, indussero Lefébvre, con la benedizione del “patron” stesso, a tentare la fortuna, nel 1931, da Renault, ma in capo a due anni il rapporto,mai veramente decollato, si ruppe.

L’effervescenza creativa di Lefébvre si scontrò con la gerarchia dell’ufficio studi e, alla fine, con Renault stesso che rifiutò il progetto di auto a trazione anteriore che Lefébvre aveva elaborato: il carattere esplosivo di entrambi a quanto pare fece il resto. E’ a questo punto che Voisin indirizza Lefébvre a Javel. Convinto dall’uomo e dal suo progetto, Citroen con una delle sue mosse tipiche colloca Lefébvre alle proprie dirette dipendenze – quindi al di fuori della gerarchia – e gli dà sostanzialmente la più ampia facoltà di azione. Ne nascerà – a tempi di record – un’automobile modernissima che aveva al centro la trazione anteriore, per la prima volta su una vettura di serie. Ma attorno ad essa ruotavano la carrozzeria in acciaio, la scocca autoportante, la linea aerodinamica, le sospensioni con barre di torsione su ruote indipendenti, gli ammortizzatori idraulici, l’avantreno su silent-bloc… Un risultato reso possibile dalla creazione contemporanea di un gruppo di tecnici e di stilisti (scelti spesso da Lefébvre stesso) che, arricchendosi nel corso degli anni di nuovi membri, traghetterà la progettazione dell’azienda dall’epoca di Citroen a quella di Michelin: Franchiset, Julien, Muratet, Sainturat, Forceau, Becchia e Paul Magés e,naturalmente, Flaminio Bertoni e tanti altri. Grande motivatore dei propri collaboratori, che divenivano i responsabili unici della parte di progetto che sceglievano di sviluppare, Lefébvre ne ottenne il massimo in realizzazioni molto diverse tra loro. Tutte però, dalla Traction in poi, ebbero in comune, appunto, la trazione anteriore e la sperimentazione di quanto di più innovativo la tecnica automobilistica offriva. O era possibile inventare.

Di Pierre Boulanger, che pure ebbe parte nella creazione della “bottega” di Lefébvre, si tramanda tra le tante, una raccomandazione ad un altro collaboratore: “devi fare attenzione con Lefébvre: ha duecento terrificanti idee al giorno, ma solo una di esse potrebbe essere quella buona, tutte le altre devi scartarle. Con le altre centonovantanove io andrei in rovina in tre mesi”. Ma una buona idea al giorno è perlomeno già segnale di genialità e Boulanger lo sapeva, tanto che affidò proprio a lui ed alla sua equipe il progetto VGD. Dall’ideazione dei prototipi TPV che portarono alle duecentocinquante pre-serie del 1939 – distrutte per sottrarle all’occupante nazista – Lefébvre si occupò coordinando il lavoro di Maurice Seinturat per il motore (aveva già progettato quello della Traction) Alphonse Forceau per le trasmissioni e Jean Muratet per lo stile. Bertoni fu escluso da Boulanger in persona, come vedremo: ma avrebbe avuto la sua rivincita a partire dal 1944, quando a Parigi liberata, gli studi per TPV e VGD, mai veramente interrotti, ripresero alla luce del sole. Lefébvre questa volta ebbe Bertoni allo stile, Paul Magés alle sospensioni e Walter Becchia al motore e fu la 2CV, che apparve al salone del 1948.

Gli studi aerodinamici e le esperienze aeronautiche costituiranno sempre l’orizzonte intellettuale del suo lavoro: la sperimentazione di nuovi materiali ed il contenimento dei pesi giocarono in modo centrale nell’austero progetto della 2CV come in quello della Ds. I lunghi studi che presiedettero alla nascita di quest’ultima lo videro progettare in prima persona soluzione per il telaio, per i pannelli smontabili della carrozzeria, in parallelo con il lavoro di Flaminio Bertoni. Alla sua equipe chiese di battere le strade più avanzate in tutti i campi, ottenendo undici brevetti esclusivi.

L’eccezionaltà della figura e del lavoro di Lefébvre (che si occupò anche dei veicoli commerciali Tub e Hy) il valore dei suoi collaboratori e l’importanza delle realizzazioni attuate, per la storia dell’automobile e della Marca, lasciò in eredità a Citroen un ruolo di rilievo assoluto per tecnici e stilisti che durò nel tempo. Lefébvre stesso, che sarà costretto per gravi motivi di salute a lasciare l’azienda nel 1957, continuerà a collaborare fino alla morte, nel 1964, disegnando, da quel “maestro” che era sempre stato, con la mano sinistra….

Flaminio Bertoni, l’italiano

In uno scritto di poco precedente la sua morte, nel 1964, Flaminio Bertoni dettò la sua idea di stilista dell’automobile: “è il mestiere più completo, più arduo, più appassionante. Si estende dalla filosofia all’impastare gesso, passando per quasi tutti i settori dell’attività umana”. E’ più o meno la descrizione di un maestro rinascimentale e in effetti Bertoni – designer ma anche scultore, pittore, architetto ed inventore – volle avere ed ebbe, a suo modo, molti tratti in comune con le figure di quell’ epoca d’oro. Nè si può negare che il “mestiere” di stilista dell’automobile conservasse, in quegli anni, punti di contatto più con i metodi di lavoro delle “botteghe” che con quelli dell’artista solitario, sebbene Bertoni, individualista arrabbiato, lo ritenesse centrale nella progettazione di un’auto (“per 3/5 dell’insieme”).

Nato a Varese nel 1903, Bertoni dal 1918 già lavora, dopo le scuole tecniche, alla Carrozzeria Macchi e frequenta contemporaneamente lo studio di Giuseppe Talamoni, praticando disegno e scultura. Un rapporto che durerà negli anni, coltivato nei futuri soggiorni a Varese e arricchito dalle lezioni di tecnica scultorea di Ludovico Pogliaghi ed Enrico Butti, autore del famoso monumento al Guerriero di Legnano. Fino alla prima partenza per la Francia, nel 1923, su invito di tecnici francesi in visita, l’atelier di Bertoni “è ritrovo e luogo di incontro per artisti e uomini di cultura varesini”. Durante quel primo soggiorno parigino, Bertoni lavorerà in tre aziende, passando in Citroen nel gennaio ’25, per una breve collaborazione durata fino alla primavera di quell’anno.

A quai de Javel Bertoni ritornerà, definitivamente, nel luglio del 1932 per lavorare alla “rifinitura” dei modelli 8CV, 10CV e 15CV, la nuova gamma che verrà presentata al salone di quell’anno sotto il nome di “Rosalie”. E’ una gamma che, nonostante le innovazioni tecniche (carrozzeria tutta acciaio, monoscocca) appartiene ancora, per per linea e aerodinamica, all’epoca “eroica” dell’automobile. La crisi del ’29 accelerò il passaggio all’età moderna, con una ulteriore razionalizzazione dei metodi produttivi e del prodotto stesso, verso un’automobile chiusa, equipaggiata e confortevole. La “maquette” della Traction Avant che Bertoni, entrato a far parte della “bottega” di Lefébvre, presentò a Citroen (e alla moglie, che ne fu entusiasta) offriva una carrozzeria aerodinamica e ribassata, piena espressione delle caratteristiche tecniche dell’auto – prestazioni, tenuta di strada, confort – e segnava una svolta nel design pari a quella della trazione anteriore nella tecnica.“Non vedo differenza tra scolpire e disegnare carrozzerie. Tutto ciò che è volume è scultura. La carrozzeria ha un volume.” La svolta é anche metodologica: Bertoni affianca al disegno la scultura e realizza modelli sui quali lavora come sulle opere del suo atelier artistico. E dipinge. A Parigi parteciperà a molte mostre, al Salone delle Tuileries, all’Esposizione di Belle Arti, al Salone d’Autunno e al Salone degli Indipendenti che lo vedrà esporre dal 1936 al 1964. Non mancheranno premi e riconoscimenti, anche se il Bertoni pittore e scultore (e architetto, con laurea nel 1943) non fu rivoluzionario come il designer – benchè tutto sommato più noto, in proporzione, del secondo- la ricerca di impronta classica sulla figura e sulla natura svolse piuttosto funzione ispiratrice del suo lavoro nell’ “antro”, l’atelier dove giacevano sparsi qua e là i mucchi di gesso delle maquettes distrutte.

Nel confronto con le esigenze della fabbrica e dei tecnici progettisti, Bertoni trovò spesso un punto di sintesi superiore, cosciente com’era, lo scrisse nel 1955, che “ non si può separare la tecnica dalla forma (…) bisogna che chi crea un modello sappia fin dove può andare (…) “. Sapeva che la Traction era potuta nascere grazie ad una nuova fabbrica che ospitava nuove macchine, capaci di produrre stampi per lamiera adatti all’aerodinamica della vettura. La progettazione doveva tenere conto delle ricadute sulla produzione, per esempio con una riduzione del numero delle parti che permettesse di utilizzare più efficacemente le presse. Con una punta di futurismo, Bertoni affermò anche che “lo stile europeo è arte che va verso la meccanica”, definendo lo styling automobilistico nel momento del passaggio al mercato di massa.

La storia della 2CV è il secondo grande snodo della carriera di Bertoni. Il progetto “TPV” ruotava attorno ad imputs quasi esasperati di economicità, praticità e razionalità dati da Boulanger a Lefébvre e ai suoi: i prototipi e le pre-serie del 1937-39 li interpreteranno fedelmente. Prima di “scomparire” travolti dalla guerra. Che si portò via, insieme alle soluzioni tecniche accantonate, anche la scarna rusticità pretesa da Boulanger, che perciò aveva limitato l’apporto di Bertoni al progetto. Secondo Robert Opron, suo discepolo e successore, l’”italiano” (come lo chiamava il terribile Boulanger, ricambiato da Bertoni che chiamava lui “tiranno immaginifico”) lavorò soprattutto al cofano monofaro dei prototipi: il capo temeva la (costosa) bellezza di una carrozzeria di Bertoni. Che ebbe però la sua rivincita dopo la guerra, quando il cambiamento dei gusti e delle aspettative del pubblico, insieme all’accantonamento di soluzioni tecniche rivelatesi inadatte, segnò la nascita della vera 2CV. Gli obiettivi di economicità e razionalità non erano cambiati: Bertoni riuscì a trasformare – come ci riuscirono Lefébvre ed i suoi tecnici – quegli indirizzi in opportunità, dando vita, nella ricerca di un’abitabilità comunque confortevole, ad una forma “a uovo” dall’originale compattezza (difesa….da Boulanger dalle critiche dei suoi “commerciali”).

Nacque un oggetto che progressivamente si spostò fuori dal tempo, in grado di “fare la moda e non subirla”, che era l’obiettivo dello stilista secondo Bertoni.

Il progetto VGD dalla fine degli anni ’30 al 1955 semplicemente divenne qualcos’altro: certo, la Ds “sostituì” la Traction, ma in realtà sostituì un’epoca e le sue idee dell’automobile, con, ancora, una sintesi tra forma e funzione, raggiunta da Bertoni, memorabile e in anticipo di decenni. La Triennale di Giò Ponti, a Milano nel 1957, esporrà e premierà la Ds. “Una scultura moderna dotata di vita meccanica” è stato scritto e potrebbero essere parole di Bertoni stesso. Che nel frattempo mise mano anche alla quasi totalità dei furgoni Citroen, sperimentando con successo la forma “a cubo” della serie H: senza contare una serie di invenzioni di ogni genere, alcune brevettate ed altre no:non certo quelle per Citroen (le alette parasole, per esempio). Fino all’ultima, discussa creazione, l’Ami 6, con la quale, pur tra curiosi barocchismi, sulla base della piattaforma 2CV riuscì a dare vita ad una berlina familiare di indubbia originalità. Nello stesso anno in cui l’Ami 6 apparve, Bertoni fu nominato Cavaliere delle Arti e delle Lettere da André Malraux, ministro della cultura. Tre anni dopo, la morte. In totale le vetture disegnate da Bertoni furono prodotte in oltre sette milioni di esemplari; a cui andrebbero aggiunti i veicoli commerciali, almeno mezzo milione. Ma al di là dei numeri la sintesi della sua opera la tracciò egli stesso: “Personalmente, io cerco le mie carrozzerie nella natura. Trent’anni fa per una di esse mi sono ispirato a un cigno, la Ds mi è stata ispirata da un pesce”.

Paul Magès, il professore

Il più sensazionale degli undici brevetti esclusivi della Ds fu senza dubbio il sistema idraulico che comandava freni, sterzo, cambio, frizione e sospensioni idropneumatiche. L’inventore stava alla guida, la mattina del sei ottobre, ed era sconosciuto almeno quanto i suoi compagni di viaggio: Paul Magès, detto il “Professore” dai colleghi dell’ufficio studi, due dei quali sedevano sui sedili posteriori (Prudhomme, e Jean Cadiou, che di quell’ufficio era il capo). Anche se, in realtà, Magès non poteva avere una formazione scolastica completa quando, nel 1925, a diciassette anni – veniva dalla Savoia – era entrato nella fabbrica di quai de Javel: però primo in disegno, geometria (e lavoro d’officina, per le sue grandi capacità manuali), oltre ad una spiccata propensione per la matematica. Cominciò al Servizio Metodi e Organizzazione, dove già alla fine degli anni ’20 fu notato per una proposta di riorganizzazione del reparto motori, che Citroen in persona accolse, nominandolo capo del progetto stesso. Con successo, tanto che seguirono analoghi incarichi per altri reparti, fino alla carica di vice-responsabile, tra il ’34 ed il ’38, del settore trasporti e poi, con un collega, la responsabilità del Servizio Controllo e Prove, la struttura che sovrintendeva a tutti i dipartimenti tecnici dell’azienda.

Incarichi importanti ma “invisibili” all’esterno, ai quali Magès accompagnava una altrettanto invisibile attività di ricerca e sperimentazione: notata però da Boulanger che, nel 1942, lo invitò a unirsi al gruppo di Lefèbvre. Già mentre si occupava del settore trasporti, Magès aveva infatti proposto un sistema di regolazione automatica della frenata in funzione del carico per il TUB, un furgone di moderna concezione: si trattava di un limitatore automatico di pressione governato dalle sospensioni, una piccolissima pompa ad alta pressione – un centimetro cubo di capacità – che, come avrebbe detto (molti) anni dopo in un’intervista (finalmente!) fu all’origine di tutta l’idraulica Citroen.

Lefèbvre lo incaricò di studiare una sospensione – innovativa, manco a dirlo – per la futura 2CV e Magès mise a punto l’embrione della sospensione idropneumatica, prevedendo quattro serbatoi per ruota, contenenti gas e liquido separati da una membrana di sughero. Ma serviva tempo per altri studi e sperimentazioni – il sughero, per esempio, non resisteva alla pressione – e Boulanger decise per l’altra proposta del gruppo Lefèbvre, “una sospensione a molle elicoidali e ammortizzatori a frizione, con interazione tra sospensione anteriore e posteriore”, che sarebbe stata montata per quarant’anni sulla 2CV e tutti i suoi derivati. Lefèbvre contenne però le analoghe pressioni del “tiranno” sui tempi della VGD e incoraggiò Magès e i suoi più stretti collaboratori (Forceau, Chinon e… Renault – Lèon, non Louis) a continuare: Pierre Bercot, succeduto a Boulanger, scomparso in un incidente stradale nel 1950, non fece caso più di tanto agli scoppi che, dal laboratorio di Magès, segnalavano le esperienze fallite. Si passò dal sughero al caucciù delle camere d’aria Michelin Airstop, alla ghisa per gli accumulatori di pressione, all’ alluminio ed al rame per le tubazioni….La storia passo per passo dell’ impianto idraulico è stata raccontata recentemente in “Ds, une histoire d’amour”, che abbiamo segnalato in “Autologia”. Le prove saranno infinite, compresi i collaudi invernali in Lapponia, fatti da Magès personalmente, che risolverà anche lo spinoso problema del liquido idraulico più adatto..

La novità del sistema idraulico era articolata: esso regolava le sospensioni, certo, ma anche lo sterzo, alleggerendone il comando, i freni (a disco, per la prima volta su un’auto di serie), per i quali Magès rispolverò il suo distributore di pressione e sostituì il pedale del freno con un pulsante che sbucava dal pavimento del posto di guida. E non ci si fermò lì: il Professore mise a punto il sistema di fari a comando idraulico (“che manteneva costante la portata dei proiettori principali indipendentemente dalle oscillazioni del corpo vettura”) collegando due corde da pianoforte alle barre antirollio. E quando la Ds ebbe un nuovo frontale con quattro fari (scolpito in una notte da Bertoni nel suo “antro”) Magès assicurò il comando dei fari interni con altre due corde da pianoforte, questa volta collegate alla scatola guida…

Il Professore non si fermò mai, in realtà, né prima né dopo la 2cv e la Ds: esistono suoi disegni per un controllo elettronico della sospensione e per l’utilizzo di motori idraulici per gli alzavetri e le ventole di raffreddamento. Inventò lo sterzo a sistema automatico ad assistenza totale già nel ’58 – apparirà solo nel ’70 sulla SM, perchè non si ritenne il pubblico pronto per l’innovazione – e lavorò fino al’74, l’anno del suo ritiro, ad una trasmissione idrostatica che abolisse cambio e trasmissione: apparirà nel 1988 sul prototipo Activa e così Magès, che sarebbe morto nel ’99, ebbe modo di vedere realizzato una volta di più il suo motto preferito: “tutti credevano che fosse impossibile, tranne un imbecille che non lo sapeva e lo ha fatto.”

brugnotti

2 commenti
  1. Renato Ronco
    Renato Ronco dice:

    Che bellissime ed appassionanti vicende! Alla scoperta di un’epoca che riusci’ a coniugare la modernità e l’innovazione con l’eleganza e la praticità. Grazie Walter

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