La maledetta “Strada dell’Asse”

La superstrada E45 è tornata nei primi giorni di questo ottobre 2019 agli onori delle cronache per la riapertura anche al traffico pesante del viadotto Puleto, chiuso per problemi strutturali, in provincia di Arezzo, ai confini dell’Umbria.

Viene così ripristinata la regolarità del transito su una delle principali arterie dell’Italia centrale, interrotta dal 16 gennaio 2019 a seguito dei controlli sulla stabilità di alcune infrastrutture di tutta Italia avviati dopo la tragedia del viadotto Morandi di Genova. Si torna, quindi, a viaggiare senza dover affrontare sgradite deviazioni. Ma anche se la sicurezza del viadotto Puleto è stata ripristinata grazie a dei lavori di manutenzione straordinaria, tutti gli altri problemi della E45 restano tuttavia irrisolti.

La E45 è una strada maledetta. Maledetta dalla storia, maledetta dagli automobilisti. E maledetta anche dal nome. Perché il 16 settembre 1950 – raccogliendo l’eredità del sogno di Mussolini e Hitler che volevano creare su questo tracciato la “Strada dell’Asse” – viene battezzata E7, ma nel 1975 è costretta a cambiare la denominazione in E45. Una sigla che, ancora oggi, la maggioranza degli italiani crede essere limitata a un solo tratto di tutta questa lunghissima striscia d’asfalto che in realtà ha origine addirittura al di là del Circolo Polare Artico e collega il mare di Barents con il Mediterraneo.
La E45, infatti, non è la Orte-Cesena. Tantomeno la Orte-Ravenna. E neppure la Orte-Mestre. Spesso sbagliano perfino le istituzioni italiane e i servizi di segnalazione del traffico, quando la indicano nei pronunciamenti ufficiali.

La E45, infatti, ha le sue estremità molto più lontane dal Centro e dal Nord Italia. Ha la prima pietra miliare, il suo chilometro 0, in Norvegia, alle porte della cittadina di Alta. E l’ultima, dopo 5.190 chilometri, a Gela, in Sicilia.

Non attraversa solo poche regioni dell’italico Stivale, ma ben 7 Paesi, molti dei quali li percorre perfino in tutta la loro lunghezza: Italia, Austria, Germania, Danimarca, Svezia, Finlandia e Norvegia.
In realtà è un tracciato europeo, composto da più tratti di varie strade e cresciuto nella sua parte più settentrionale anno dopo anno fino a diventare, oggi, tra i più lunghi di tutto il continente europeo.
Solo in Italia include l’A22 (dal Brennero a Modena); dell’A1 (da Modena a Bologna e da Orte a Napoli); l’A14 (da Bologna a Cesena); la Statale 3 Bis (tra Cesena e Terni); la Statale 675 (tra Terni e Orte); la A3 (tra Napoli e Villa San Giovanni – e ne potrebbe far parte anche l’ipotetico futuro Ponte di Messina); la A18 (tra Messina a Catania); la Tangenziale Ovest di Catania; la Statale 114 (Catania – Siracusa); e la Statale 115 (Siracusa – Gela).

Una strada, quindi, di grande importanza per la viabilità non solo italiana, ma di tutta l’Unione europea. E anche degli altri Paesi extra Ue del continente, visto che si interseca in più punti con altri tracciati europei.

Una lunghissima striscia d’asfalto, insomma, che, nelle intenzioni della Commissione economica per l’Europa (organismo delle Nazioni Unite) dovrebbe rivestire un ruolo strategico per lo sviluppo economico, e in particolare per gli scambi commerciali, delle nazioni che attraversa o che serve indirettamente.


Dei 7 Paesi in cui transita, però, finora solo l’Italia non ne ha sfruttato in pieno le potenzialità, tranne che con un interporto creato alle porte di Verona. Un porto a Gela che costituisca un trampolino per il Mediterraneo, un ponte che eviti il traghettamento tra Reggio Calabria e Catania, una bretella a quattro corsie tra Orte e Civitavecchia sono, invece, ancora lì. Nel limbo.

Il problema cronico della E45, quindi, è in Italia. E lo stato del tratto che va da Orte fino a Cesena ne costituisce la punta dell’iceberg. Proprio questa parte della E45 è martoriata dalle buche, da infrastrutture anacronistiche fin dalla loro realizzazione (il progetto di farne una quattro corsie, per essere ultimato, ha impiegato più di 40 anni di lavori) e da un traffico impietoso di mezzi pesanti che, ogni giorno, rendono pericoloso il viaggio con qualsiasi mezzo. Una via crucis quotidiana, periodicamente segnata da incidenti anche gravissimi, che a metà degli anni ’90 finì per spingere una concessionaria perugina della Toyota a promuovere perfino un slogan, per commercializzare, un nuovo fuoristrada: “Nuovo Rav 4: adatto a tutti i terreni impegnativi, anche alla E45”.

Di recente si era tornati a parlare della possibilità di farne un’autostrada. E di sottoporla, quindi, a una ristrutturazione generale. Ma gli ultimi governi – a parte il varo di un piano, ancora fermo, di farne una delle prime smart road del Paese (ovvero di sperimentarci una sorta di sistema “wi-fi on motion”) – hanno preferito relegare un’idea del genere ai progetti più remoti. Con il risultato che le buche e i problemi restano e continuano a rimanere inseparabili compagni di viaggio di chi transita su  questa strada.

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