Motorshow!!

Ma che senso ha, al giorno d’oggi, il salone automobilistico?

Me lo chiedo mentre guardo (attraverso internet, sia chiaro) le foto in bianco e nero dei vari saloni degli anni cinquanta e sessanta: Torino, Parigi, Ginevra.

Non appena il Presidente della Repubblica, la Regina, il Capo dello Stato o anche solo il sotto vice segretario aggiunto si fossero dileguati con il loro codazzo di imprenditori, armigeri, monsignori benedicenti e bonari gendarmi, folle estatiche di appassionati si ammassavano a vedere e – magari! – toccare carrozzerie lustre e interni sontuosi.

Foss’anche stata solo l’utilitaria che vagheggiavano nei loro sogni, il rito del salone (tutte le vetture esposte, lì, per noi!) elevava al rango di diva anche la comparsetta, automobilisticamente (e molto poco democraticamente) parlando.

Occhi lucidi, vestiti curati come neanche alla domenica di paese, i visitatori (che per gli organi di stampa dell’epoca erano sempre “appassionati”, mai “curiosi”) si snocciolavano tra pedanine in finto legno rialzate e baretti tipo stazione di Piovarolo, per rifocillarsi a suon di crodini e toast.

Poi, più tardi, l’emozione dei primi vagiti di “show”!
Ricordo il primo salone (Torino, io Papà e fratello, ‘che erano cose da maschi) in cui uno stand (credo la FIAT) ospitava una pedana girevole con la vettura che si “apriva” e si richiudeva ritmicamente, mostrando cosa c’era sotto la carrozzeria.

E gli sguardi abbacinati dei visitatori più anziani, alla “dove andremo a finire?”.

Quelli erano saloni che valeva la pena visitare!

Anche perché, se non lì, dovei potevi vedere, dal vivo, le vetture esposte? In strada? Seee… tra la prova su strada pubblicata dalle riviste e la prima visione dal vivo passavano mesi.
E poi, mica potevi toccarla e, volesse il cielo, magari anche salirci, sotto sguardi severi di attenti e preparati venditori (quasi tutti con le tempie grigie o la memoria mi fa qualche scherzo?)

Ma oggi? Che significato ha un salone automobilistico?

Le Case costruttrici?

Penso che la presenza sia ormai diventata una dolorosa incombenza, un male necessario. In cui, in qualche caso, sia più semplice applicarsi a costosi esercizi di stile e di emozione, piuttosto che chiedersi un bel “ma che ci andiamo a fare?”

Da questo punto di vista ricorda molto l’annuale riunione che il papà di Ricky Cunningham faceva con i suoi sodali, quelli dal fez leopardato. Siamo lì, tra di noi, a scambiarci saluti e chiacchiere, a sparare battute, conoscere qualche nuovo collega e commentare su quelli che non sono presenti (si spera per motivi temporanei, non eterni…)

Il pubblico?

Mah si, vengono. Sono più o meno sempre quelli, con molte meno cravatte e qualche gonna in più. Forse attratti dalla kermesse e dall’occasionale biglietto gratuito

Vengono, girano, si fermano, chiedono e, alle volte, cercano di farti capire che la sanno più lunga di te (e, per quanto riguarda me, si accomodino pure.)

Forse ancora appassionati, sicuramente curiosi, molto poco clienti.

Perché il punto è un po’ questo.

Oggi l’informazione viaggia su altri binari, con altri treni e – soprattutto – ad altre velocità. Soprattutto se finalizzata all’acquisto, o al desiderio, che è altrettanto importante.

Forse il salone ha solo un senso come polo di illustrazione e informazione agli addetti; ruolo che esplica nelle giornate “stampa”. Quelle sacre, senza la canaglia del mondo là, fuori.

Salvo poi trovare il figlio del macellaio del carrozziere del concessionario di zona, regolarmente munito di biglietto, a bivaccare tra le hostess e le modelle, o la responsabile HR del mercato ospitante che, mentre trangugia la quinta oliva ascolana al banco del catering, giura sulla testa dei suoi figli che è lì per fare dei colloqui, utili all’Azienda. E cito vita vissuta.

Quindi a chi servono?

Mi pare che, sempre più, servano agli organizzatori che, non contenti dei tanti esempi di mancato business, continuano imperterriti a ideare dei “nuovi” saloni.

Le formule sono le più avanzate ed innovative, la comunicazione collegata all’ “evento” (quanto odio questa parola!) è sempre più importante, più differenziata. L’integrazione con altre “realtà” (si legge “facciamo pure il sito web”) sempre più dettagliata e avveniristica.

L’unica cosa che non cambia è il costo al metro quadro, che qualcuno deve pagare.

E un sistema per valorizzare (ergo renderli “taggabili”, così per far vedere che sono moderno) i visitatori.

Visitatori che, sempre più, cercano uno “show”, non la mera esibizione di auto.

Che cercano contatti con le case che non si esauriscano al portone di uscita del padiglione.

Che cercano di divertirsi, magari grazie alla loro passione.

Ma, forse, non sto più parlando di saloni automobilistici…

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