PSA + Opel, perché ?

Molti si sono chiesti in questi giorni cosa ci sia dietro l’acquisto di Opel da parte di PSA. Effettivamente non è facile capire i motivi di questa operazione, tenuta segreta durante le trattative in modo molto abile e conclusa in un batter di ciglia. Riportiamo un articolo apparso sul Il Sole 24 ore dove  il professor Pier Luigi del Viscovo del Centro Studi Fleet&Mobility in modo molto chiaro ci aiuta a capire qualcosa di più.

 

“Meglio una fine con terrore che un terrore senza fine”. GM deve aver deciso che basta, dopo 15 anni di perdite andava messa la parola fine alla sua avventura europea, cominciata nel 1929. La decisione di GM non necessita particolari riflessioni. Hanno staccato la spina e turato una grossa falla da cui uscivano soldi. Avevano provato a farlo già alcuni anni fa, ma poi il progetto era abortito. Adesso GM è più forte e può giocare sullo scacchiere mondiale più o meno alla pari delle altre big. Come ha detto la numero uno di GM, Mary Barra, “L’accordo è una vittoria per tutti gli azionisti, un successo di lungo termine. Insieme saremo più forti, i risultati finanziari sono molto migliorati negli ultimi anni. Ed è chiaro che si tornerà agli utili”. Però non sarà più un suo problema (questo era un omissis).
Se la mossa di GM appare comprensibile e anche attesa, quella di PSA qualche interrogativo lo pone. Il Gruppo si stava riprendendo bene, dopo anni molto, molto difficili, anche grazie all’ingresso del socio cinese col 14,1% (stessa quota della famiglia Peugeot e dello Stato Francese).Ma prima di addentrarci in ipotesi e valutazioni, meglio mettere nero su bianco alcuni fatti.
Il Gruppo PSA produce, tra automobili e commerciali leggeri, circa 3 milioni di veicoli, di cui 2 milioni in Europa (1 milione in Francia, mezzo milione in Spagna, 300.000 in Slovacchia, 127.000 nella Repubblica Ceca, 108.000 in Italia) e 700.000 in Cina.
GM produce in Europa circa 1 milione di veicoli, di cui 360mila in Spagna, 260mila in Germania, 170mila in Polonia e 146.000 in UK).
Poiché il gioco, nell’industria dell’auto, è riuscire a fare soldi vendendo le macchine che si producono, vediamo quale capacità di vendere hanno mostrato i due attori recentemente.
PSA in Europa vende 1,45 milioni di auto, che con i commerciali leggeri portano a superare il milione e mezzo. La Francia assorbe circa il 40% delle vendite, seguita da UK (13%), Italia e Spagna (entrambe il 10%) e Germania (7%). Opel supera il milione tra auto (979.000 unità) e commerciali leggeri. Il primo mercato non è la Germania, che assorbe un quarto delle vendite, ma UK con quasi il 30%. Seguono Italia (10% delle vendite), Spagna (8%) e Francia (7%). GM non è riuscita, dall’inizio del secolo, a portare al pareggio la Opel/Vauxhall, bruciando circa 15 miliardi di dollari. A cui andrebbero aggiunti quelli relativi all’operazione Chevrolet, ritirata dal mercato europeo dopo appena dieci anni, per lasciare spazio a Opel e provare a riportarla in utile. Chi conosce gli americani sa quanto considerino strategici i global brand, quelli che hanno una presenza in tutti i mercati, rispetto ai local brand, per quanto bene facciano nei loro mercati (e non è il caso di Opel). Deve essere stata una decisione difficile, quella di ritirare Chevrolet e puntare su Opel/Vauxhall.
Adesso, spazio a qualche considerazione.
Uno. È un affare europeo, dunque la strategia va ricercata in Europa. Guardando al villaggio globale, non si comprende bene perché portarsi dentro un brand e una capacità produttiva (probabilmente eccessiva) che stanno a poche ore di macchina, verso est. Non ha molto senso visto che l’Europa è il mercato più difficile del Mondo, saturo e affollatissimo, dunque altamente competitivo, dove ogni mese devi fare a sportellate per assicurare alle fabbriche (troppe e troppo costose) la produzione per il mese successivo. Guardando al villaggio globale. Allora proviamo a ‘non’ guardare al villaggio globale. Guardiamo al villaggio locale, alla nostra vecchia Europa. Può essere una visione accettabile quella di puntare a una posizione di forza nel vecchio continente? Ha un senso considerare l’industria dell’auto regionale, puntando sulla vicinanza tra fabbrica e mercato e sulla forza dei volumi in una regione?
Due (ma forse Uno bis). È un affare che ha una cifra politica non trascurabile. Le socialdemocrazie europee non ci stanno a lasciare un settore come quello dell’auto in balia dei mercati. Troppi lavoratori coinvolti e troppe aziende dell’indotto dipendenti dalle scelte dei costruttori. Troppo forti i sindacati. Inoltre quei settori innovativi, che dovrebbero in teoria assorbire i lavoratori espulsi dalle industrie mature, stanno crescendo, ma fuori dal vecchio mondo. Forse anche per lo stesso motivo per cui non conviene fabbricare in Europa occidentale. Allora, tanto vale restare a giocare in casa, aumentando ancora il peso produttivo e sociale, in modo da contare di più ai vari tavoli che dovessero formarsi negli anni, per gestire i problemi di sovraccapacità produttiva. Gli avversari del mercato, se non puoi batterli, fatteli amici.
Tre. Detto incidentalmente, la storia Opel dovrà essere ben analizzata, perché potremmo scoprire che in essa ci sono tutti i limiti del modello industriale tedesco, che viene sbandierato come vincente quando si tratta di vendere i prodotti premium in Cina o quando il volume di produzione è talmente elevato da perdonare tutto. Opel è anche una storia di relazioni industriali.
Quattro. Veniamo al mercato. I tre brand sono abbastanza sovrapponibili, tutti posizionati come generalisti nelle automobili piccole, medie e medio-grandi. Questo da una certa cultura automobilistica viene visto come un limite, perché l’idea è sempre quella di coprire l’alto di gamma, dove sta la vera gloria. Ma c’è un altro modo di guardare a questa apparente concentrazione, ed è il tempo. I modelli hanno un ciclo di vita. Poter vendere lo stesso modello con tre brand diversi consente eventualmente di giocare con i cicli in modo da avere un volume di vendite che non scenda mai sotto la soglia del pareggio, oltre a poter distribuire gli investimenti su tre marchi e non su due (ma questo lo si capisce con qualsiasi cultura). Anche il numero uno di Psa Carlos Tavares ha fatto riferimento alla “progressiva convergenza delle piattaforme e dei motori”.
Cinque. Le reti dei concessionari. Attualmente, sia nelle reti PSA sia in quelle Opel/Vauxhall, le dimensioni delle vendite erano scese spesso sotto il livello di sostenibilità. Una fusione, con espulsione dei dealer deboli e concentrazione su quelli forti, in modo da renderli competitivi con la concorrenza, non pare uno scenario improbabile, né cattivo. In aggiunta, anche per loro varrebbe il discorso dei cicli di vendita da alternare, con tre brand e non con due.
Sei. Questo è anche un affare fleet. Sia Opel sia Peugeot-Citroen lavorano molto nel mercato delle aziende, ma con qualche affanno (soprattutto Opel) dovuto al fatto di non avere una gamma ampia in grado di accontentare vari segmenti e preferenze delle imprese e dei loro driver. La tendenza dei buyer è sempre più di lavorare con uno o due costruttori, che siano in grado di soddisfare un po’ tutte le esigenze. Presentarsi con le gamme dei tre brand mette certamente i venditori in un posizione più forte. Se poi aggiungiamo che Opel porta in dote la finanziaria, dietro cui c’è nientemeno che BNP-Paribas, con i due bracci armati Findomestic e Arval, non sfugge che è proprio dalle flotte che PSA si aspetta i risultati migliori.
In conclusione, PSA ha fatto la sua scelta, puntando sull’Europa e sulle flotte, attraverso l’ottimizzazione dei costi di produzione e degli investimenti in ricerca e sviluppo.
Il sole 24 ore,Pier Luigi del Viscovo – Centro Studi Fleet&Mobility

1 commento
  1. Francesco Paolo Firrao
    Francesco Paolo Firrao dice:

    Ottima analisi, soprattutto relativa ai punti quattro (rotazione delle vendite su tre marchi) e cinque (integrazione delle reti di vendita).

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