Quando Sergio Bettoja inventò l’inferno dell’Elba

L’Ospite di Autologia: Beppe Donazzan, giornalista.

Una pazzia, una delle tante della sua vita, ma questa era stata la più grossa: un rally all’Isola d’Elba.

Quando nel giro si sparse la voce, che là sarebbe stata organizzata una corsa, la battuta pronta fu: “Un rally? Quanto lungo, 30 chilometri?”. I commenti di stupore si sprecarono tanto impossibile pareva l’impresa. E l’incredulità arrivò al massimo livello quando si seppe che la lunghezza complessiva sarebbe stata la bellezza di 1240 chilometri, come il Sanremo, come il San Martino di Castrozza.

“E dove corrono, in mare?…”, l’ironia che serpeggiò. Anche chi conosceva l’isola, 30 km per 12, le dimensioni da costa a costa, non si rese conto di come si sarebbe potuto mettere insieme un percorso di 620 km da ripetere due volte.

Sergio Bettoja, romano, pilota di spicco da una decina d’anni, soprattutto nelle gare di velocità, erede di un impero alberghiero, aveva compiuto un vero e proprio capolavoro organizzativo. Innamorato dell’isola napoleonica, durante l’estate del 1967, si era trasformato in una specie di Indiana Jones stradale. Aveva battuto palmo a palmo l’Elba scovando dei percorsi sconosciuti perfino agli stessi abitanti dell’isola. Eufemistico parlare di strade, perché altre non erano che viottoli, mulattiere o peggio ancora tratturi che, alla vista, potevano essere superati soltanto da mezzi cingolati. Sergio, con esperienze di piste in Africa, nella quali aveva fatto dei raid pilotando Mercedes, non si perse d’animo e decise che sarebbe stata una bella avventura. Più difficile del Sanremo, più impegnativo delle stesso San Martino, ritenuto da tutti i piloti il più massacrante. Il suo rally sarebbe stata ancora più duro. “Disumano…”, si lasciò scappare. Non amava le mezze misure, Sergio. Una gara per ricordare il padre Ettore scomparso una quindicina di anni prima. Quello del rally, del trofeo Ettore Bettoja, gli apparve come il punto d’arrivo dopo cinque manifestazioni velocistiche che avevano avuto rilevanza nazionale.

Il cambio di palcoscenico lo volle dopo aver partecipato ad alcuni rally tra i quali le prime due edizioni del San Martino di Castrozza (https://autologia.net/san-martino-magia-un-rallye/) nel 1964 e 1965 alla guida di un’imponente Mercedes 220 SE. Non certamente la macchina per poter affrontare quelle stradine tanto dissestate. Fu costretto al ritiro. Il 5 giugno 1966 conquistò la vittoria a pari merito con Arnaldo Cavallari (Alfa Romeo GTA), Giovanni Vacca (R8 Gordini) e Alberto Girardini (HF) nel 2° rally Puglia e Lucania con la Porsche 911. Quattro a pari merito, ne sorrideva sempre: “Che regolamenti c’erano allora…”, soleva ripetere. Proprio in quell’occasione i vincitori offrirono il bellissimo Trofeo Mobil alla signora Renata Angiolini, in ricordo del grande Mario, patron del Jolly Club, scomparso da poco.

All’Elba fu colpito dalle mulattiere che salivano sui colli Reciso, Segagnana, Perone, Volterraio, Monumento… nomi che sarebbero entrati nella leggenda dei rally. Un percorso che si ripeteva e si sviluppava sulle stesse strade. Sarebbe stato un vero e proprio paradiso per gli appassionati che, nello stesso posto, avrebbero assistito ai passaggi delle macchine in continuazione. Un’anticipazione di quanto sarebbe accaduto trent’anni dopo. Lavorò per mesi accanto agli uomini dell’Automobile Club di Livorno.

La gara venne inserita subito nel campionato italiano e il gran giorno arrivò. Alla corsa erano iscritte 40 macchine con i migliori piloti di allora. Un successo per una gara che i più avevano dato per fallita perché improponibile. Ventotto le prove speciali in programma, con classifica scratch, vera e propria velocità. Anche i trasferimenti, quasi inesistenti, erano talmente tirati che i concorrenti furono costretti a tirare come in prova speciale.

Era preoccupato prima del via, Sergio. Aveva giocato un grande azzardo e se ne rendeva conto. Proprio la sua passione sfrenata per le automobili e per le corse lo avrebbero, successivamente, portato al disastro finanziario. Aveva investito molto su quel rally, ci credeva, era un modello diverso.

Iniziò a gareggiare giovanissimo, nel 1956. Su strada e in pista con vetture Turismo e Gran Turismo. Non mancarono le partecipazioni perfino con monoposto di Formula 3. I risultati arrivarono molto presto perché aveva grinta e talento. E una resistenza fuori dal comune. Non si fece mancare proprio nulla: corse con la Ferrari GTO e con la Le Mans. Era più conosciuto per gli pseudonimi che usava, “Fantomas” oppure “Pegaso”, il cavallo alato.

Un sognatore Sergio, con un amore sviscerato per la guida.

E ora era là, a Portoferraio, alla mezzanotte di giovedì 15 febbraio 1968 a vedere partire i concorrenti che andavano ad affrontare il suo rally.

Dalla piazzetta si vedevano le lame di luce dei fari e si sentivano i rumori dei motori. L’inferno era iniziato. Vinse il “maestro” Arnaldo Cavallari con la Fulvia HF del Jolly Club (https://autologia.net/ca-vegna-del-ben/) , secondi Amilcare Ballestrieri con Daniele Audetto con una Renault Gordini 1300 di serie. Per Amilcare, il primo rally e l’inizio di una carriera straordinaria. (https://autologia.net/amilcare-ballestrieri-belin-che-artista/)

Dieci, sole dieci macchine all’arrivo. Le polemiche per la troppa durezza vennero spazzate via dai commenti di coloro che invece avevano considerato la prova come una grande avventura, una sfida da portare a termine. Qualsiasi risultato sarebbe stato come una vittoria. Esibirono i calli alle mani, dovuti alle vibrazioni prodotte dal terreno sul volante, come dei trofei.

Sergio Bettoja ne fu felice, quella dell’Elba fu forse la vittoria più bella della carriera. Anche se l’unica senza essere all’interno di una macchina da corsa.

L’avventura era appena iniziata e si sarebbe trasformata in un must per tutti. Lo sciamare dai traghetti di giovani, con gli zaini in spalla, a cavalcioni di Vespe e motorette di ogni tipo è ancora immagine nitida, mai ingiallita. Successivamente il rally ebbe il suo massimo splendore sotto la guida di un altro grande personaggio, Dado Andreini.

Sergio Bettoja, una vita con le corse e per le corse. Anche quando appese il casco al chiodo e chiuse le esperienze di pilota prima e di organizzatore poi, fece di tutto per restare nell’ambiente. Per oltre dieci anni fece parte della squadra Lancia, inserito nel settore delle Pubbliche Relazioni. Gli anni del dominio delle Delta in ogni parte del mondo. Non era uomo da sala stampa, con la macchina era solito andare alla fine di ogni prova speciale per raccogliere dai piloti notizie, aneddoti e indiscrezioni, che poi riportava ai giornalisti. Instancabile, era dappertutto. Fu lui, al Montecarlo 1987, a comunicare a Miki Biasion che aveva vinto la prova speciale del Turini, quella della famosa sfida con Juha Kankkunen che valeva il successo nel rally più famoso. “Miki, hai vinto, hai vinto. Juha ha fatto 20’33”, tu 20,16”, gli gridò.

Una fonte inesauribile di tutto ciò che gravitava attorno al mondo delle corse. Conosceva strade, alberghi, ristoranti, una vera e propria enciclopedia viaggiante.

Una volta andato in pensione tornò a Roma. Un infarto lo ha colto mentre stava giocando a tennis, sua altra passione. Era il 2007, aveva 76 anni. (Tratto da “Sotto il segno dei Rally Vol. 1” di Beppe Donazzan – Giorgio Nada Editore)

SB

2 commenti
  1. Autologia
    Autologia dice:

    Con Sergio abbiamo vissuto in Lancia, come “compagni di banco”, diversi anni veramente felici. Lui è sempre stato un magnifico Peter Pan con la rara capacità di rendere tutto lieve. Di una generosità non comune, non parlava mai di se e di quello che aveva fatto, tanto che questa storia ho poi dovuto conoscerla da altri. Ho voluto bene a Sergio e, come poche altre persone con cui abbiamo fatto un pezzo di strada insieme, mi manca molto.
    Alfio

  2. Luca Pazielli
    Luca Pazielli dice:

    Grazie alla sensibilità di Beppe Donazzan, per questi reperti di storia dei rally e per il sincero omaggio al grande Bettoia.

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