Sulle Aziende la Borsa non dice tutto

Ha fatto un grande rumore il sorpasso della Tesla sulla Ford quanto a
valore di Borsa: con le sue 76 mila macchine vendute nel 2016 (saranno
 poco più di 100 mila quest’anno), la regina delle auto elettriche
 viene valutata più dello storico colosso di Deaborn, che l’anno scorso 
di auto ne ha vendute 6,651 milioni, per di più guadagnando un pacco
 di soldi, mentre la Tesla ancora ci rimette.
È chiaro che si tratta di una scommessa sul futuro, sul fatto che il visionario 
multimiliardario Elon Musk riesca a fare del veicolo a emissioni zero
un clamoroso successo popolare, dal modello di élite che è oggi.
 Ma presto potremmo assistere dalle nostre parti a un sorpasso 
altrettanto clamoroso, che ci dice come sta cambiando oggi l’industria
 dell’auto: in Borsa la Ferrari vale circa 13 miliardi e mezzo di euro
 e tallona il titolo dell’ex mammina FCA, che veleggia non molto sopra 
i 14. Anche qui le proporzioni fanno impressione: l’azienda di
 Maranello vende poco più di 8 mila macchine all’anno, mentre la
 cuginona italo-americana (e di nazionalità olandese) ne ha piazzato
 nel 2016 quattro milioni e mezzo. È vero che le macchine del
 Cavallino si vendono molto care, ma nei fatturati e anche nei profitti
 non c’è comunque gara. 
C’è una morale in tutto questo?
Attenzione, sulle aziende la Borsa dice qualcosa, ma non dice tutto. Quel che si può capire è che 
l’essere grandi di per sé non basta, se non è accompagnato da un’idea 
di futuro (e anche di presente) in grado di sedurre chi deve investire
 i miliardi che girano per il mondo. Il gigantismo va bene se in ballo
 ci sono le famose economie di scala, non se serve a esibire i muscoli 
nelle gare di bellezza che mettono in palio i primi posti nella sfida 
tra i maggiori produttori mondiali. In fin dei conti la scelta di
 vendere la Opel da parte di General Motors ci dice proprio questo: al
 diavolo l’immagine della regina delle corporation americane, meglio
 disfarsi della costola europea che negli anni ha solo drenato cassa,
 frenando gli utili della casa madre. Che se la vedano Volkswagen e
 Toyota nella corsa a chi vende di più.
 E inoltre sotto sotto c’è, in Borsa, l’idea che la progressiva uscita
 dai motori termici (diesel in primis) sarà un bel rompicapo per i
 produttori storici, soprattutto con i regolatori sempre più severi in
 Europa e in Cina.
A meno che Donald Trump non riesca a convincere 
tutto il mondo a fottersene dell’ambiente.

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