Tanti auguri “Drago”

L’Ospite di Autologia: Beppe Donazzan, giornalista.

È la Stratos di Munari…”, la frase diventò un unico grido. Centinaia di persone l’avevano moltiplicata fino a trasformarla in un boato.
C’era un punto, sulla strada che portava al Manghen, dove si sentiva il rombo dei motori più a lungo. Arrivava dal fondovalle appena accennato, poi si avvicinava sempre più forte.
Aumentava, aumentava, aumentava…
In quei secondi si immaginava la guida del pilota, la sua tensione, le note dettate dal navigatore, le derapate… nell’attesa di vedere visivamente la macchina impegnata nella gara. Il rumore era l’inizio dell’emozione che raggiungeva l’apice quando i fari spuntavano dalla curva in mezzo al bosco. Una destra, l’ingresso sul ponticello di legno, una sinistra e via su per la salita che portava al passo.
Il monumento del rally di San Martino di Castrozza, la prova speciale che faceva la differenza. L’aveva sempre fatta.
Lunga, ostica, a tratti veloce, a tratti lenta, molto esposta nel finale. Da una parte la roccia, dall’altra il vuoto. Tutti la temevano. Bisognava aggredirla senza sbagliare per non essere ingoiati, per non lasciare ad ogni chilometro una voragine di secondi.
Ancora una volta ero salito fino a quello spazio di osservazione. Sembrava il loggione di un teatro.
L’inizio di settembre 1977. La quattordicesima edizione del rally aveva vissuto una vigilia tormentata.
“E’ la Stratos di Munari…”, le grida della gente vennero coperte da un tuono. Sempre più forte, tanto eccitante da dare una sferzata di adrenalina. A tutti.
Il pubblico, assiepato in ogni dove, ondeggiò quasi percorso da una scarica elettrica per non perdere la rappresentazione. Una scena che durava attimi. Che valeva viaggio e fatica.
Il sei cilindri della Stratos in accelerazione lacerava, entrava dentro, colpiva come una lama d’acciaio. Unico, inimitabile.
Dal massimo dei giri tornava giù e allora si intuiva la curva. Quel motore, anche nel borbottìo, aveva qualcosa di speciale. Poi tornava la tempesta, amplificata dalla valle stretta.
L’urlo e il sussurro, la Stratos del “Drago” sembrava che si annunciasse come un alfabeto Morse. Una linea, un punto, una linea, un punto… Così senza pause. Arrivarono i fari, lo squalo bianco-verde, con i colori Alitalia, il numero uno sulle portiere, passò rabbioso. La scia di luce disegnò il percorso che saliva. Accompagnata dalle vibrazioni del suono. Giù-su, giù-su.
In quel primo passaggio sul Manghen, dopo l’assaggio vincente a Desene, il “Drago” si impose davanti a Walter Rohrl, il “kaiser”, per la prima volta al volante della Fiat 131 Abarth. Terzo Mauro Pregliasco, con la seconda Stratos ufficiale. Continuò così fino al termine. Ancora un “assolo” di Sandro Munari, assieme a Piero Sodano, primi sul traguardo davanti a Pregliasco-Scabini.
L’ennesima dittatura della Stratos. L’imbattibile. E di Sandro Munari, il più grande interprete. Una giornata felice per il pilota di Cavarzere – al suo sesto successo sulle strade delle Dolomiti – che mise così le mani sulla Coppa Fia, il campionato del mondo piloti. Ma nello stesso tempo triste per la scomparsa, proprio alla vigilia della corsa, dell’amico Mike Parkes, ex pilota della Ferrari, ingegnere di grande esperienza, uomo sensibile, approdato da qualche tempo alla Lancia proprio per dare un ulteriore sviluppo alla macchina dal sound senza eguali.
Il filosofo francese D’Alembert scrisse: “Ogni musica che non dipinge nulla è rumore”.
Per la Stratos è stata solo musica. E il rally di San Martino di Castrozza chiuse con il suo grande concerto. Diretto da Sandro Munari, il più grande. Straordinario per me averlo ascoltato in prima fila.

 

1 commento
  1. Luca M. Apollonj Ghetti
    Luca M. Apollonj Ghetti dice:

    Beppe, gran pezzo pieno di tanti sentimenti: nostalgia, gioia, passione, stima, allegria, rimpianto ma anche tanta speranza che certe cose, certe emozioni non finiscano mai per lasciare spazio solo ai mostri dell’elettronica. Utili quanto si vuole, nella medicina e nella chirurgia ad esempio, nella sicurezza in auto tutti i giorni, nella corsa a conoscere sempre di più sulla nostra origine. Ma bisogna solo pregare, io il mio Dio, chi legge colui che sente il suo Dio, che l’uomo non dimentichi mai che dietro ai robot c’è sempre l’intelligenza umana. Altrimenti addio emozioni!!!!!!

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