Sette domande ad Alberto Barbera, Direttore della Mostra del Cinema di Venezia e Direttore del Museo Nazionale del Cinema di Torino
1) Macchina o macchina da presa? Con che cosa è più a suo agio?
Automobile, sicuramente. Per la macchina da presa ci vuole talento, che temo di non possedere. Ci sono troppi pessimi registi in attività, e non è il caso di contribuire all’inquinamento audiovisivo, già di per sé molto elevato. In compenso, di motori non capisco nulla, mentre mi trovo perfettamente a mio agio nel guardare e giudicare i film, che sono uno dei piaceri della vita.
2) Un ricordo personale legato all’auto
La prima macchina di mio padre, una Topolino tutta nera. Avevo cinque anni, e quella piccola utilitaria mi sembrava un automobile meravigliosa, occasione di gite domenicali indimenticabili, di cui conservo ancora qualche istantanea: il Sestrière sotto la neve, la visita al Colosso di Carlo Borromeo di Arona, Orta San Giulio…
3) Auto nel cinema. Star o comparse?
Quasi sempre comparse, anche se di lusso. Qualche volta, star di primo piano, quando l’auto diventa protagonista assoluta, e a guidarla sono magari attori destinati a finire nel dimenticatoio. Difficile invece che ci si dimentichi di un auto che assurge a simbolo di un epoca, come la Rolls Royce tutta gialla del film omonimo, o la Mini Cooper di The Italian Job.
4) L’auto del cinema che vorrebbe esporre al Museo Nazionale del Cinema.
La DeLorean di Ritorno al futuro. Perché è anche una macchina del tempo, e per questo motivo la miglior metafora del cinema stesso.
5) Meglio l’Alfa Duetto del Laureato o l’ Aston Martin di James Bond?
Come si fa a rispondere? Sarebbe come dover scegliere fra i fratelli Lumière e Georges Meliès. O, se preferite una metafora culinaria, un piatto di spaghetti al pomodoro e un aragosta. Entrambe!
6) Un film con un’auto, protagonista o comprimaria, che ricorda con piacere ?
Punto Zero di Richard C. Sarafian, un road movie del 1971, il cui protagonista attraversa metà degli Stati Uniti su una Dodge Challenger R/T bianca, con motore 440 da 375 HP, inseguito dalla polizia di tutti gli stati che attraversa, sino al tragico epilogo.
7) Perché’ …
La storia di Kowalski (Barry Newman), un ex-poliziotto reduce dal Vietnam, incaricato di riportare un auto da Denver a San Francisco, assurge a simbolo della rivolta contro ogni forma di insulso controllo sociale. La sua fuga rocambolesca, sostenuta e “guidata” da un disc-jockey cieco di una radio privata che confonde la polizia con false informazioni, divenne in poco tempo un film culto per la generazione post-sessantottina di cui facevo parte anch’io.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!