Il Centenario di Bepi Koelliker

Non ho mai conosciuto Bepi Koelliker.
O meglio, non ho mai avuto l’occasione di parlargli ma per vederlo, l’ho visto.
Erano i tardi anni settanta quando, armati di bici e di voglia di vedere le Jaguar, io e qualche compagno di passione automobilistica lasciavamo la sicurezza dei giardinetti di fronte al Liceo Beccaria, transitavamo per Piazza Damiano Chiesa a tirar su qualche altro compagno di avventura all’oratorio di Sant’Ildefonso e via, verso le mitiche vetrine di Koelliker in Viale Certosa, incuranti dello spaventevole (per noi, all’epoca poco più che undicenni) incrocio di Piazza Firenze.
Una bella pedalata, certo. Però premiata dallo sbirciare le vetrine delle auto di lusso o strane, che vedevi raramente in strada e di cui però saper parlare creava quell’alone di “intenditore” durante l’intervallo di prima media.
Bepi Koelliker lo vedevo da lì fuori.
Supponendo che fosse lui quella figura che, in autosalone, ci mandava regolarmente a quel paese quando, scorgendolo, facevamo partire il coro “Bepi! Bepi!” perché il nome ci faceva ridere.
In un paio di occasioni mi son chiesto come fosse possibile mutuare un “Bepi” dal teutonico “Wolfram” che, avevo scoperto, era il suo nome di battesimo.
E poi ho avuto i ricordi delle Mini BK, delle Marche nuove importate da paesi lontani automobilisticamente (la Spagna delle SEAT, che tanto fecero arrabbiare la FIAT) o geograficamente (il Giappone della Mitsubishi, un nome che a noi sapeva di Pearl Harbour e aerei che distruggevano la flotta americana).
Ho avuto modo di apprezzarlo in anni più recenti, quando – già impegnato nel settore – mi rileggevo le sue trovate di comunicazione che, sulla scia o forse precedendo Lee Iacocca di Chrysler, accoppiavano alle promesse del messaggio una faccia, la sua.
Una faccia e un nome che erano noti, molto, e che gli permisero di uscire con un incredibile “35 anni di garanzia”, giocando intelligentemente sul significato della parola tra promessa di qualità e anni di credibilità aziendale.
Oggi, che lavoro nella sua Azienda, mi piace ascoltare i racconti dei colleghi che lo hanno conosciuto; delle difficoltà che hanno dovuto affrontare alle stecche di sigarette consumate con una meticolosità incredibile e inarrestabile, e di come la visione di Bepi Koelliker fosse comunque sempre presente, anche quando ha lasciato la conduzione aziendale al figlio Luigi.
Ancora oggi che siamo, fondamentalmente, una Management Company, dove l’Azionista di riferimento ha frequentazioni molto limitate, lo spirito del fondatore aleggia, e non solo nei ricordi.
E’ suo lo spirito con cui, da “underdog” del mercato, si lotta ogni giorno con risorse e potenzialità inferiori agli altri, ma senza mai perdere di vista l’obiettivo o farsi impaurire dalle difficoltà.
Un po’ come decidere, nell’Italia della ricostruzione, che si potevano importare ricercate e costose automobili inglesi…
E’ suo lo spirito quando facciamo comunicazione e marketing, sempre spinti a cercare quell’istante di attenzione in più non in virtù di prezzi o sconti ma per creatività e messaggio.
Ci mettiamo la faccia anche noi, insomma.
E, in fondo, è sempre suo il lavoro che facciamo con i nostri concessionari, perché, da importatori facciamo un lavoro molto simile al loro.
Ed è per questo motivo che sono abbastanza sicuro che, l’altro ieri quando, insieme con l’AD (vi giuro che è stato così, e con passione), abbiamo scritto a quattro mani il comunicato stampa che ricordava i 100 anni dalla nascita del nostro Fondatore, molti, tra coloro che l’hanno ripubblicato o soltanto letto, hanno avuto un momento di sorriso e di rispetto. Perché l’uomo meritava entrambi.
Non sto a fare divagazioni sull’acume imprenditoriale o sul ruolo nel movimentare il mercato automobilistico, son sotto gli occhi di tutti ancora oggi, dopo oltre 1.800.000 auto vendute in Italia dalla Koelliker.
Parlo del sorriso e del rispetto dovuti a chi sa creare e far crescere. E a chi, con serietà e senza demagogia, non possiamo che augurare 100 di questi giorni.

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