C’era una volta il Monaco Grand Prix

Quando sulla piazza del Casinò, di fronte all’Hotel de Paris, le Rolls e le Bentley lasciano il posto alle Ferrari  ed alle Lamborghini significa che il Grand Prix è imminente.

Ma se un tempo le auto sportive sulla piazza erano i piloti a parcheggiarle, oggi sono i personaggi del Jet-set a farne sfoggio. Ma anche molti “parvenu”, come vengono definiti dai francesi i classici industrialotti arricchiti. Tanto che porto e dintorni sono invasi da imbarcazioni di ogni stazza. E solo i privilegiati ormeggiano sulle banchine che vengono sfilate dai bolidi lanciati al massimo.

L’AMBIENTE

Si, perché  a Montecarlo tutto è cambiato. Verrebbe da dire che Monaco è stata capovolta dalla modernità e dalla mondanità.

Già il panorama è sconvolto: le macchine non corrono più tra le palazzine liberty ma tra i grattaceli che si sovrastano l’un l’altro.

IL TRACCIATO

Poi il tracciato. Poco più di tre chilometri con una serie di curve e di passaggi che gli appassionati conoscono a memoria: S.te Devote, salita del Beaurivage, curva Massenet, Casinò, curva Mirabeau, tornante della stazione ( poi sparita è diventato tornante Loews ), curva del Portier, il Tunnel, la Chicane, la curva dei Tabacchi, fino al tornante del Gasometro per tornare sul rettilineo del traguardo. Da sempre uguale o quasi. E’ vero che le uniche modifiche importanti sono ormai datate: quella delle due curve delle piscine e quella doppia della Rascasse, che ha sostituito il tornante del gasometro. Ma è proprio il nastro d’asfalto che è diverso. Fino alla fine degli anni ’60 le auto correvano sfiorando i marciapiedi, non c’erano i guard-rails, e quindi la striscia d’asfalto era più larga. Le lame metalliche – indispensabili per la sicurezza – con i loro sostegni restringono la strada di oltre un metro per ogni lato. Ma nel frattempo le Formula 1 si sono allargate parecchio. Ecco perché a Monaco non si sorpassa! Il tunnel poi, merita una precisazione: per anni è stato buio, oscuro. Addirittura Jackie Stewart raccontava che entrando nel tunnel chiudeva un occhio che riapriva all’uscita per non subire l’accecamento della luce improvvisa! Oggi è molto più largo e veloce, ed illuminato a giorno; e subito precipita la macchina alla massima velocità della pista verso la chicane.

C’ERA UNA VOLTA

C’era una volta! Nelle giornate che precedevano il Gran Premio ritrovavi i piloti al Cafè de Paris a prendersi un aperitivo  chiacchierando sorridenti fra di loro, insieme alle bellezze di turno. Intanto nessuno dava loro fastidio. Poi attraversavano la piazza ed entravano all’Hotel de Paris o all’Hermitage per cambiarsi d’abito ed infilare la tuta ( che era praticamente uguale a quella dei meccanici).

I meccanici, guidandole, portavano le macchine sulla zona di partenza sistemandole negli spazi che fungevano da box, all’aperto, sotto gli oleandri profumati. Il pilota arrivava, si infilava il casco ed incominciava la caccia al tempo di qualifica. Si girava per tre ore al giovedì, altrettanto al sabato, e lo schieramento di partenza si componeva con i tempi delle due sessioni .

Poi alla domenica partenza alle 15,30 per 100 giri della pista, massacranti. Mancando i palazzoni di oggi da qualunque punto della pista vedevi buona parte della gara. Il pubblico era vicinissimo alla pista e le sensazioni che si provavano erano davvero uniche. Unica protezione erano le balle di paglia, che non protessero Ascari da finire nel mare del porto nel 1955, e che contribuirono ad incrementare il fuoco nell’incidente mortale di Bandini nel 1967. Spesso pioveva, ma di solito faceva caldo e nel 1961 Stirling Moss gareggiò e vinse con la Lotus- Climax, privata della parte bassa delle fiancate per cui potevi vedere al passaggio ( io ero al tornante della stazione, molto lento ) i movimenti su pedaliera e  cambio. Fantastico! Era come se guidassi con lui. Altroché le  sofisticazioni aerodinamiche di oggi!

L’ABBRACCIO DEL PUBBLICO

A fine gara le sirene degli Yacht nel porto salutavano il vincitore che, lui solo, saliva sul palco dei Principi per essere premiato. Poi vincitore e vinti spesso si riportavano la loro macchina al paddock ( si fa per dire ) che era dalla parte opposta di Monaco, sotto la zona dei tennis. E guidavano facendo lo slalom tra la gente che era scesa sul tracciato dopo la gara. Ti sentivi sfiorare dalla borbottante Lotus di Jim Clark o dalla BRM di Graham Hill e ti scansavi ( esperienza diretta ) e ti avvicinavi a qualche pilota che, ritardatario, chiacchierava con un amico nel dopo-gara, mentre i meccanici raccoglievano i ferri e gli attrezzi dai box. Era un rituale che si ripeteva ogni anno e noi appassionati, e poi giornalisti, aspettavamo quei giorni con ansia ed entusiasmo, anche se la sala stampa era era spesso in un sotterraneo un po’ angosciante

LA MONDANITÀ

La sera della gara nessun pilota poteva mancare al “Galà” della premiazione, alla presenza dei Principi. I piloti erano tutti in abito da cerimonia e la “soirée” era l’occasione per esibire la bella compagna ingioiellata o l’ultima conquista. La vita dei piloti era molto mondana. Passavano da una gara all’altra come da un’avventura all’altra. Attrici ed attori di grido e la nobiltà di mezza Europa si intrecciavano fra ostriche champagne per poi terminare la nottata al Casinò.

iI piloti di quell’epoca si chiamavano Fangio, Moss, il Principe siamese Bira, Castellotti,  Phil Hill, Graham Hill, Trintignant, Masten Gregory, Hawthorn, McLaren, Clark, Brabham, Siffert, Rodriguez, Musso, Von Trips………

MONACO OGGI

Il paddock sulla spianata del porto è come un Sancta Sanctorum inviolabile. I piloti non li vedi mai e sono inavvicinabili, anche per i giornalisti. Gli autografi agli appassionati son centellinati come merce preziosa: l’unico spazio a disposizione del pubblico per vedere “passare” i piloti quando vanno dalla pit-lane al paddock costringe la gente ad ammassarsi e si vedono scene quasi apocalittiche con gli addetti che spintonano perfino i bambini. La visione del percorso poi, fra strutture, griglie, saliscendi, camminamenti obbligati che ti fanno fare chilometri a piedi e grattaceli che ormai si ergono dappertutto, è ben compromessa. Come se non bastasse quest’anno è stato eretta una specie di palazzotto davanti alla curva della Rascasse per ospitare il “Paddock Club”, e se già gli spazi erano esigui adesso son quasi nulli.

Però è Monaco, è Montecarlo! Un Gran Premio unico al mondo: per il suo percorso, per la sua storia, per il suo fascino, per il suo richiamo. Anche se resta difficile innestare il carrozzone della Formula 1 degli anni 2000 in un contesto che nasce nel 1929.

E che resta il simbolo della Formula 1 romantica.

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