Com’è triste Ginevra soltanto un anno dopo

A passeggio tra gli stand dei vari Saloni dell’Auto la domanda più classica che ti senti rivolgere è: “Che cosa ha visto di bello?” seguita dall’immancabile “Che cosa ti è piaciuto di più?”.

A Ginevra quest’anno si è invece inserita una variante inusuale: “Non ti pare un’edizione un po’ moscia?” dove la minor affluenza di addetti ai lavori si è combinata con lo scarso numero di vetture nuove in esposizione.

E’ il segno dei tempi, mi sono detto. Sei anni di crisi economica lasciano sempre una cicatrice che i segnali di piccola ripresa non possono cancellare. Tre anni fa ci si chiedeva come mai, con tutta l’Europa in difficoltà, i costruttori continuassero a proporre modelli su modelli, non tenendo conto che quelli che arrivavano erano figli di piani nati prima della recessione, mentre in quelli successivi c’erano comunque le auto messe in cantiere quando si pensava che la crisi fosse solo un fatto passeggero.

Poi la grande paura si è materializzata e pochi hanno fatto spallucce, preferendo avviare tagli dolorosi sul personale, sulla produzione, arrivando alla chiusura di molti stabilimenti perché il vero spettro con cui fare i conti era diventata la sovrapproduzione, le automobili stoccate al riparo degli occhi della gente, la necessita di far arrivare quelle vetture sul mercato attraverso tutti i canali possibili, molti dei quali in perdita.

Ma il vero leitmotiv dell’ultimo Salone di Ginevra è stato il sentire molti addetti stampa anticipare i nuovi modelli precisando che li avremmo visti presto, a New York o a Shanghai, a Los Angeles o al più tardi a Detroit. Qualcuno anche a Francoforte, va da sé, ma non tutti come accadeva un tempo. La globalizzazione, di cui ci si riempie la bocca da anni, comincia adesso a presentare il conto. C’è e pretende altre vetrine, quelle che un tempo tutti noi, vecchi frequentatori di passerelle blasonate, consideravamo marginali, quasi bomboniere per le loro ridotte dimensioni e la loro caratterizzazione esclusivamente locale.

Certo nell’immaginario Ginevra rimane il Salone per eccellenza, quello più ricco di presenze, quello dove vanno ancora tutti quelli che contano. Ma lo fanno per esserci e incontrarsi, ma sempre meno per dire qualcosa. Così gli svizzeri sono destinati a rimanere un’esposizione ricchissima di fascino e carica di storia, ma con tante anteprime europee e solo poche novità mondiali se si escludono le supercar estreme che hanno un senso ovunque le proponi. Se poi i costi continueranno a salire, complice un Franco ormai in parità con l’Euro, anche il pubblico se ne accorgerà, e la domanda “Non ti pare un’edizione un po’ moscia?” diventerà un torvo ritornello. Da Salone salotto a Salone soletto. Il rischio è dietro l’angolo.

3 commenti
  1. gianni_to
    gianni_to dice:

    Per me ci son troppe fiere internazionali e nazionali. Ovvio che le case non possono avere ogni anno novità significative…

  2. Rino Drogo
    Rino Drogo dice:

    Ho avuto la stessa impressione, peraltro già sentita allo scorso salone di Parigi, ormai Ginevra è diventato un posto dove bisogna esserci per stare in contato, ma di novità significative per il mercato degli “umani” se ne vedranno sempre meno. Lancio una provocazione: non è forse il modello di business del salone classico ad essere ormai obsoleto?

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