Il tragico GP del Canada ’82 che si portò via Riccardo Paletti
L’Ospite di Autologia:
In quel tragico 1982, in 36 giorni, partirono per il Paradiso due ragazzi che correvano in auto, il mestiere della loro passione. L’8 maggio, a Zolder, toccò a Gilles Villeneuve, un campione amato e celebrato, un pilota ancor oggi inserito profondamente nel ricordo di milioni di appassionati. Il 13 giugno di 37 anni fa, a Montreal, cadde Riccardo Paletti, un giovane pilota milanese di 24 anni alla sua ottava esperienza in formula 1, oggi inserito nel cuore di pochi amici che lo ricordano con grande rimpianto e tantissimo affetto. Io sono uno di questi, legato a Riccardo Paletti da alcuni ricordi dolci e da un ricordo lacerante, quello della sua morte sulla pista di Montreal.
Non riusciva a qualificarsi, Riccardo, con la Osella. Era un neofita della F1, ma aveva volontà e un certo talento. Nel ritorno dal GP del Sudafrica avevamo i posti vicini sul Jumbo diretto a Roma, chiacchierando io gli davo qualche consiglio sul come rapportarsi con i giornalisti e verso i colleghi, soprattutto quelli importanti, quelli che avevano guidato lo sciopero dei piloti a Johannesburg. Sciopero indetto per protestare contro l’introduzione delle super licenze da parte della FIA.
Ad un certo punto, mentre stavamo quasi per atterrare a Nairobi, tappa intermedia, a pochi metri da terra il pilota “riattaccò” perché la comunicazione con la torre di controllo, sapemmo poi, non era stata molto chiara. Il rombo dei motori era assordante e la spinta potente. Dopo la sorpresa e un dopo un po’ di timore, Riccardo, mi guardò e sorrise: “Mi ci vorrebbe un motore così sulla mia macchina, non mi batterebbe nessuno!”.
Il percorso in formula 1 continuò, arrivammo a Zolder e Gilles morì. “Se fosse capitato a me – ebbe a dire Riccardo – sui giornali ci sarebbe stato al massimo un trafiletto”.
A Detroit finalmente si qualificò. Ma nelle prove ebbe un incidente, finì contro le barriere entrando in una chicane. Le barriere erano state protette da un consistente supplemento di pneumatici proprio qualche ora prima perché Jacques Laffite, che faceva parte del comitato piloti, era andato dal direttore di gara e aveva preteso quei lavori. Me lo raccontò proprio lui, Riccardo, e dalle sue parole traspariva l’ammirazione per il popolare pilota francese: “Laffite mi ha salvato la vita e mi dispiace di non poter correre il gran premio – disse, sapendo anche che non avrebbe corso perché la sua macchina non era riparabile e il “muletto” spettava al compagno di squadra Jean Pierre Jarier– . Ma senza quel supplemento di barriera mi sarei sfracellato.”. Un appuntamento rinviato di una settimana.
A Montreal, per tradizione, il giovedì si giocava una partita di calcio, piloti contro giornalisti. I piloti non avevano portiere, così in quel ruolo giocavo io perché avevo fatto parte dell’equipaggio ufficiale dell’Alfa Romeo alla Mille Miglia Storica. Il centrocampo composto da Corrado Fabi e lo spagnolo Emilio de Villota era la nostra forza ma avevamo paura degli attacchi di Eugenio Zigliotto, inviato di Autosprint, centravanti bravo nel dribbling, e di Adriano Costa, inviato di Tuttosport, forte nei contrasti. Dissi a Paletti: “Tu giocherai stopper”. E lui rispose: ” Nestore, io al calcio ho giocato poco”. Lo rassicurai mentendo: “Zigliotto è un brocco, non farai fatica a fermarlo”. Il suo sorriso dolce mi convinse che aveva intuito la bugia. Ma l’aveva accettata. Purtroppo, in partita dovetti dargli ragione: era fisicamente forte, ma tecnicamente Zigliotto lo era di più. Ad un certo punto lo dribblò due volte e mi fece un gol strepitoso. Però vincemmo 3 a 2 e Riccardo Paletti era tutto contento.
Si qualificò per la gara di Montreal ed era felice. Non era un asso ma si applicava con grande volontà, accettava consigli e cercava di metterli in pratica. La domenica, a vederlo c’era sua mamma, in compagnia di Maria Grazia Donato, capo della comunicazione Saima, altra donna molto stimata e amata nel circus. Insieme erano quasi dietro al traguardo, sulla linea della Ferrari di Didier Pironi. A cinque metri da loro c’ero anch’io e vicino a loro c’era Gianfranco Palazzoli, che allora era team manager dell’ Osella.
Pronti via, in due secondi la tragedia si consumò. Probabilmente non s’accorse che Pironi era fermo sul traguardo col motore spento. Riccardo, verosimilmente, teneva d’occhio la posizione di Jean Pierre Jarier, così non vide la Ferrari ferma. La urtò violentemente (l’indagine trovò inserita la terza marcia dell’ Osella) e scoppio l’incendio. La mamma di Riccardo si era subito resa conto della tragedia che aveva coinvolto il figlio, singhiozzava e invocava il nome del figlio: una scena straziante, mentre Maria Grazia Donato e Palazzoli cercavano di sostenerla. Riccardo fu portato all’ospedale, ma ormai aveva già cominciato il suo viaggio verso il Paradiso. Papà Paletti arrivò il giorno dopo con un jet privato e nel Duomo di Montreal si celebrarono le esequie di Riccardo. Da quel giorno, e fino a quando visse, Maria Grazia Donato alla vigilia del GP del Canada organizzò sempre una funzione religiosa per il nostro amico. Che ci è rimasto nel cuore e ogni tanto si fa vivo, senza clamore, col suo sorriso dolce, e con l’ultima frase che mi disse: “Nestore, io al calcio ho giocato poco”. Anche nella vita, Riccardo. Purtroppo. (ilcittadino.it)
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