La bellezza della velocità, tabù per le auto

È passato un secolo da quando Marinetti col suo manifesto sul Futurismo gridava che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova, la bellezza della velocità. Aveva ragione e ce ne rendiamo conto ogni giorno che passa.
Computer più veloci, processori più veloci, connessioni più veloci, comunicazioni più veloci, transazioni più veloci, scambi più veloci, consegne più veloci. Siamo ossessionati dalla velocità, il mondo che ci circonda vive e muore con la velocità, basta guardare al mondo della finanza dove titoli in borsa e destini di interi mercati viaggiano a ritmi insostenibili. Viviamo noi stessi interconnessi alla velocità della luce, e se il telefonino tarda ad aprire una pagina che cerchiamo o se il tablet in treno fatica ad aggiornarsi perdiamo subito le staffe.
Soltanto le automobili non debbono più dire che vanno veloci. Si sfornano continuamente versioni superpotenti di cui si annuncia tutto, ma si nasconde puntualmente il dato principe delle prestazioni: il “quanto acchiappa?” dei bambini di una volta davanti a una vettura sportiva.
Il politicamente corretto interviene soltanto su questo, non si preoccupa se i treni diventano tutti ad alta velocità, se gli aerei sono sempre più supersonici, se gli sci che noleggiano oggi viaggiano il doppio di quelli super raffinati di trent’anni fa. Dell’ultima versione AMG la Mercedes sussurra soltanto il suo limite, e l’Audi nemmeno cita le punte delle sue versioni RS. Se uno vuole le va a leggere nella tabella allegata alla cartella stampa, i 300 orari scritti nello stesso carattere della riduzione al ponte, della corsa per l’alesaggio.
La nuova auto deve essere sempre più leggera, avere un coefficiente di penetrazione da urlo (che poi nessuno quasi mai incasella con chiarezza), essere in tutto il benchmark della categoria, il punto di riferimento. Va anche forte? Va più di tutte le altre? Meglio tralasciare per non dover arrossire.
L’uomo si è spostato per millenni alla velocità delle sue gambe, poi ha scoperto il cavallo e si è evoluto come mai quando è arrivata la ferrovia. Anche le notizie sono circolate alla velocità dell’uomo, poi il treno e il telegrafo hanno accorciato i tempi cambiando tutto. L’auto nella velocità di spostamento ha trovato la sua ragion d’essere per almeno 70 anni, poi le strade intasate, le norme di sicurezza, il buonsenso hanno messo dei giusti limiti alla circolazione. Ma il peccato originale rimane, e rimane soltanto per le vetture. Nessuno si è mai vergognato se il caposquadra col cronometro controllava che la produzione in catena non rallentasse mai, e nessuno si preoccupa che più andiamo veloci nella vita più ci scopriamo indietro. Soltanto le automobili dovrebbero essere lente, e non le strade più sicure, gli incroci meglio segnalati, l’educazione di chi guida migliore.
C’è qualcosa nell’aria che mi sfugge, ma forse è soltanto colpa dell’età.

2 commenti
  1. Renato Ronco
    Renato Ronco dice:

    Evviva Marinetti! Che bel tema la velocità. Andrebbe affrontato sul piano filosofico. L’ho trattato diverse volte facendo qualche conferenza in cui i partecipanti si aspettavano che parlassi di Ferrari o di Formula 1. Ma una volta superato l’attimo in cui si sentivano spiazzati si appassionavano all’argomento.
    Peccato che ormai ce l’abbiano rapinata quella splendida sensazione. Non ci resta che andare qualche volta su una pista e sfogarci….

  2. Luca M. Apollonj Ghetti
    Luca M. Apollonj Ghetti dice:

    L’altro ieri su Italo da Roma a Torino con mia moglie. Alla partenza una distinta coppia coetanea si siede di fronte a noi salutando gentilmente. Dopo poco il signore vede che stavamo viaggiando a 250 km/h e lo dice alla moglie. Io intervengo dicendo che è l’unico modo ormai per andare a quelle velocità senza che le mogli protestino. Lei mi chiede se per caso ci conoscevamo. Rispondo di no ma che le mogli sono tutte uguali ed i tutor anche. Poi ho chiesto loro dove scendessero ed avuta la risposta che arrivavano a Firenze ho detto loro che si sarebbero persi l’eberezza dei 300 tra Bologna e Milano: mi sono reso conto solo allora che per lui era la prima volta e che aveva più paura della moglie. La mia, povera vittima da oltre 50 anni ridacchiava sorniona.

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