Metti, una sera a Torino…

Al (bel) Museo dell’Automobile di Torino, può capitare, una sera di ottobre, di passare dalle prime eredi della carrozza che deve il suo nome a Lord Brougham, alla DS 5 premiata come AutoEuropa dall’Unione dei Giornalisti dell’Automobile. Un bel salto, che questa sera (che si rivelerà nebbiosa al ritorno, come ai bei tempi) fa misurare la distanza ormai siderale tra le origini artigianali dell’auto e la sofisticata ma pur sempre seriale produzione di oggi. Che non a caso, e da ultimo proprio con la DS 5, guarda ai rari momenti della propria storia in cui artigianato e industria si sono congiunti a disegnare una costellazione favorevole, sotto la quale hanno collaborato personaggi dalle storie e le esperienze più diverse. Uno di questi momenti, per l’appunto, culminò nell’ottobre del 1955, con la presentazione al Salone di Parigi della DS 19. Una nascita preceduta da una lunga gestazione, durante la quale quella che mi è già capitato di definire una “bottega rinascimentale”, lavorò sotto la direzione di André Lefèbvre, allineando Flaminio Bertoni, Paul Magés, Walter Becchia e tanti altri ancora. Un gruppo di artisti-artigiani, anonimi come i costruttori delle cattedrali, avrebbe scritto Roland Barthes, ma dalle personalità spiccate e in competizione tra loro: infatti collaboravano, litigavano, se ne uscivano sbattendo la porta e poi tornavano per avere una rivincita..Competitori messi in competizione, crearono a velocità incredibile, si sbagliarono, a volte esitarono. E’ poco noto, ad esempio, che, a pochi mesi dal Salone, la DS non aveva ancora un cruscotto. Bertoni, che aveva definito la carrozzeria inventando quella che egli stesso chiamò una “scultura industriale” proprio per questo sapeva che il cruscotto era il cuore della fusione di forma e funzione che era stato il suo concetto-guida. Perciò, appunto, toccava a lui esitare, questa volta….
E perciò Pierre Bercot, direttore generale, decise, sapendo bene ciò che faceva, di chiedere un progetto ad uno stilista esterno, scegliendo Robert Michel, che insegnava design alla Scuola di Arti e Mestieri Boule di Parigi. Michel era, a detta degli storici Borgé e Viasnoff , l’opposto, in tutti i sensi, di Bertoni: alto, impeccabilmente elegante, come il suo design classico! Mentre “l’italiano” era sgraziato, spesso furente e molto bohémien, sempre perso dietro al lavoro. Bercot – ancora, non a caso – scelse per la presentazione di Michel, l’atelier di Bertoni in rue du Theatre: e invitò André Lefèbvre, ma anche Jean Cadiou, il capo del centro studi, oltre a Bertoni, naturalmente, che assistette con gli altri alla classica presentazione del classico progetto di Michel: certamente “bello”, ma con linee molto simili a quelle che si vedevano su tante auto di quegli anni. Prima che cominciassero i commenti, Bertoni chiese la parola, posò sul tavolo senza sforzo apparente un grosso involucro e ne estrasse un oggetto incredibile, a cominciare dai colori, blu e prugna, distesi su linee curve e tese che riprendevano perfettamente quelle della carrozzeria DS. Ed anche il materiale di cui era fatto quell’oggetto – lungo un metro e mezzo, ma per meno di 750 grammi di peso, perchè era in nylon – riprendeva i concetti di plasticità e leggerezza che Bertoni (e Lefèbvre) avevano cercato fin dall’inizio. En passant, si trattava, in quel momento, del più grande oggetto esistente in nylon stampato in un solo pezzo: tra l’altro sicuro, perchè collassabile. Bertoni aveva vinto, anche se la storia si sarebbe complicata quasi subito: la produzione, pur affidata ad un’azienda specializzata in materie plastiche, richiese l’intervento diretto dei tecnici Citroen, e altro tempo, che era esattamente ciò che mancava. Alla fine l’oggetto apparve, con la sua strumentazione modernista, essenziale, con il comando idraulico del cambio affidato ad una levetta posta sopra il volante e azionabile con il dito…..Già, il volante, con il piantone “che usciva dalla plancia per curvarsi verso il basso a diventare l’unica razza, sostenendo una corona in filo di nylon bianco”….Ma il nylon verrà abbandonato nel ’61: qualche scricchiolio, qualche caso di deformazione, ma soprattutto i costi, portarono al comunque originale connubio di metallo e vinile. La stagione della “bottega” stava ormai per finire: il ’64 fu l’anno della morte di Lefèbvre e Bertoni a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, Becchia, il motorista, lasciò l’azienda nel ’68 e l’anno seguente la DS ebbe un nuovo cruscotto a strumenti circolari e con contagiri disegnato….da Robert Michel. Sarà l’ultimo, fino al termine della produzione, nel ’75, quando Citroen era già entrata a far parte del Gruppo PSA. Del prestigio di quel gruppo – grazie anche alla lunga presenza di Paul Magès, l’inventore della sospensione idropneumatica, e di vari “eredi”e prosecutori – resterà ancora una vera e propria aura, ancora avvertibile negli anni ’80. Ma la costellazione si era spenta insieme alle (poche) altre che altrove, per esempio a Torino, crearono oggetti iconici come la DS.

1 commento
  1. Renato Ronco
    renato ronco dice:

    Grazie Walter di averci raccontato questi retroscena di una splendida avventura quale fu la nascita della favolosa DS. Una vicenda che una volta di più afferma il valore della creatività dell’uomo: in questo caso di un artista come Bertoni. Forse siamo rimasti in pochi a gustare queste meravigliose imprese di un’epoca. Ma tanto peggio per chi non le sa apprezzare!

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