La predica del vescovo di Melfi sul tema del lavoro domenicale nel rinato stabilimento lucano di FCA è fuori luogo

A mettere i bastoni tra le ruote, seppur solo con le parole, a Sergio Marchionne, ci sta provando anche la Chiesa.
La predica del vescovo di Melfi sul tema del lavoro domenicale nel rinato stabilimento lucano di FCA è fuori luogo. Anche monsignor Gianfranco Todisco conosce la difficile situazione occupazionale del Paese, soprattutto per quanto riguarda i giovani  e il fenomeno degli scoraggiati.
A Melfi il gruppo FCA ha compiuto una sorta di miracolo  con la felice intuizione dell’ad Marchionne di destinarvi la produzione dei due modelli, la Jeep Renegade e la Fiat 500X, che stanno incontrando i favori del pubblico internazionale. E non è cosa da poco.
Per soddisfare la domande è dunque necessario anche il lavoro domenicale. Gli accordi tra FCA e i sindacati (Fiom esclusa) vanno in questa direzione. E i lavoratori di Melfi, fino a poco tempo fa a casa in preda alla frustrazione, ne sono felici.
Anche le famiglie degli operai apprezzano, caro monsignore.
Il discorso vale in particolare per i nuovi assunti, invogliati in questo modo a dare il meglio di sé. C’è già la Fiom che cerca di mettere i bastoni tra le ruote al progetto industriale italiano di Marchionne.
Non ci si metta anche la Chiesa a entrare a gamba tesa, come sta facendo, sui problemi che affliggono il Paese. Il fondo del direttore Alessandro Sallusti sul “Giornale” del 19 agosto parla chiaro. Lo ha letto, Monsignore?

1 commento
  1. Bastiancontrario
    Bastiancontrario dice:

    Mi permetto di dissentire dall’opinione espressa dall’autore dell’articolo. Ultimamente la domenica, intesa come il giorno di riposo per i lavoratori ma anche il giorno di preghiera per i fedele, sta venendo calpestata da catene alimentari e aziende di ogni tipo, nel nome della produttività e guadagno. Per evitare le aperture e il lavoro domenicale basterebbe assumere più personale e aumentare le i turni in settimana. Dove sta scritto che per produrre di più i lavoratori devono perdere i propri diritti? In nome di un (misero) stipendio, solo perché ora c’è la crisi e quindi bisogna accettare ogni tipo di sopruso pur di lavorare? Infine, mi saprebbe spiegare l’autore dall’articolo, quali sono le colpe della FIOM e in che modo mette i bastoni tra le ruote al ‘povero’ Marchionne? Chiedendo che i lavoratori abbiano dei diritti?

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