L’imperatore è nudo

Ci sono due fatti di stretta attualità che neppure la più perversa delle immaginazioni potrebbe provare ad accostare senza che ciò richiami alla memoria l’operato della neurodeliri: le delinquenziali imprese che rimandano alla nuova barbarie di quei tagliagole del califfato e lo scandalo delle emissioni che riporta allo scivolone storico del gruppo Volkswagen.
Ripetuto, a scanso di equivoci, che non si può e non si deve neppure lontanamente fare confusione, distintamente, essi si prestano a fare qualche considerazione che rimette al centro la “normalità” intesa come comportamento della vita di tutti i giorni.
In questa “normalità” è possibile includere un argomento che precede i due fatti e che, nonostante i tanti discorsi, le tante promesse, i tanti impegni annunciati, impossibile dire con quale e quanta convinzione, rimane ancora assai lontano da una qualche conclusione.
Parliamo del motore elettrico, ovvero di quel tipo di propulsione che potrebbe cancellare o comunque fortemente limitare la dipendenza dal petrolio e contribuire a ricondurre entro limiti accettabili l’inquinamento atmosferico.
Le immagini delle colonne di autocisterne in transito dai pozzi di petrolio sotto controllo dei tagliagole nei deserti mediorientali verso mercati apparentemente ignoti, ma poi identificabili anche in quelli dei paesi occidentali attaccati dal terrorismo del califfato sono la testimonianza plastica di quanto pericolosa sia già oggi e di quanto possa diventarlo in un futuro non lontano la dipendenza dal petrolio, quella che un tempo non esisteva e che noi ci illudevamo non potesse mai esistere.
Oggi quella dipendenza mostra il suo volto peggiore, qualcosa che va oltre il ricatto, la minaccia e il bisogno di alleanze o comunque accordi che prima o poi potrebbero rivelarsi drammaticamente perdenti. Il mondo è cambiato e gli oleodotti originano e attraversano spesso paesi in guerra con i quali non poche volte si è e non si può non essere in totale disaccordo.
Sull’altro fronte – insistiamo col dire diverso – i ripetuti annunci di richiami di milioni di autovetture ingigantiscono il caso VW e lambiscono altri grandi gruppi mondiali dell’automobile a riprova che il problema delle emissioni, al di là delle furbizie di qualcuno, resta ancora da risolvere.
Forse perché non è stato mai affrontato con la necessaria convinzione da parte delle autorità non soltanto europee ma mondiali viste le caratteristiche globali dell’industria dell’auto.
Ho avuto occasioni di seguire alcune di queste riunioni in sede Ue quando ancora l’urgenza del problema non aveva i contorni della drammaticità e ne ho tratto una sensazione di qualcosa di superficiale, poco convinto dove le cose taciute erano più di quelle dette da parte di aziende che mentivano, tanto o tanto poco, e di istituzioni che per qualche ragione le lasciavano mentire senza incalzarle come sarebbe stato opportuno fare.
Fino a quando non si è scoperto che l’imperatore era nudo e che il prezzo di tutte quelle reticenze e inadeguatezze sarebbe stato lo scandalo VW con quel che ne seguirà e che non resterà dentro il pur vasto perimetro del gruppo di Wolfsburg.
Si è appreso in questi giorni di un piano Enel che dovrebbe se non guarire almeno alleviare gli effetti della cosiddetta “sindrome dei cento chilometri”.  Esso prevede entro un anno l’entrata in funzione di 40 stazioni di ricarica a due euro e in venti minuti: sarebbero distribuiti sugli asse Roma- Milano e Torino-Venezia. Uno dice, meglio che niente. Ma ci sarebbero altre due domande da soddisfare:
1) quanti sono i distributori di carburante tradizionale su queste due distanze?
2) quante sono e da chi sono prodotte oggi le auto elettriche circolanti in Italia?
In assenza di risposte resta la ricaduta dei due fatti di cui dicevamo all’inizio.

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