L’Italia è un Paese eufemistico…
Il mio primo incontro con un giornale risale al 1975: avevo 20 anni e mi trovai di fronte a Vincenzo Cecchini, direttore del Giornale di Brescia, testata con cui poi avrei lavorato per tutta la vita.
Cecchini era uomo molto esperto. Veniva dai palazzi romani, aveva lavorato con De Gasperi e Segni. “Giovanotto – mi disse – se farà questo lavoro si accorgerà che l’Italia è un Paese eufemistico. Nel senso che conta come le dici le cose, non come e se le farai… la gente ha la memoria cortissima”.
Ogni qual volta osservo la nostra classe dirigente affrontare le “emergenze” ripenso a quella frase ed, amaramente, la trovo fondata.
La, noiosa, premessa può essere applicata alla gestione dei trasporti, pubblici e privati, anche in una città come Brescia, che è sempre stata citata come esempio di efficienza.
Di fronte all’emergenza smog di fine 2015-inizio 2016 i bresciani hanno assistito a scelte tardive (la speranza che piova è sempre l’ultima morire) quanto di scarsissima utilità, tanto da far pensare che siano state prese per far vedere che qualcosa si faceva (anche se, va detto, non è che i Comuni abbiano in mano chissà quali risorse o strumenti legislativi).
Esempio eclatante: riduzione a 90 km/h nel tratto a tre corsie della Tangenziale Sud (pochi km), ultimato da pochi mesi. Peccato che, a meno di duecento metri in linea d’aria, scorra parallela l’autostrada A4 su cui il limite è rimasto ovviamente di 130 km/h. Peccato che ci sia ancora un tratto di due o tre km interessato da grandi lavori (nuovi svincoli, ponti, passaggio a tre corsie, ecc., lavori in corso da anni) in cui ogni giorno (da anni, man mano che il cantiere procede) si formano code di centinaia di veicoli che procedono stop&go, con emissioni solo immaginabili.
Peccato che la chiusura quasi in contemporanea di una serie di vie in entrata ed uscita dalla città (per i grandi lavori che dovranno permettere il passaggio della Tav ferroviaria) sovraccarichi da oltre un anno le altre arterie, causando le ennesime code.
Peccato che l’unico intervento immediato sia stato l’adeguamento degli Autovelox della Polizia Provinciale da 110 a 90 km/h. Così i pendolari da e per Brescia, che, dopo un lustro di cantieri, agognavano di poter impiegare dieci minuti in meno per andare al lavoro, si sono beccati oltre mille ‘multe’ in pochi giorni. Peccato che, col limite a 90 e la “riduzione del riscaldamento” di due gradi (ma chi ha controllato? Sono stato al Teatro Grande, il principale della città, a Capodanno, e si stava in maniche di camicia…) le polveri sottili siano aumentate.
Peccato che poi siano arrivati il vento e la pioggia ed il limite sia stato riportato, dopo neppure due settimane, a 110 km/h, con buona pace dei “trasgressori” dei 90.
Brescia è una delle poche città italiane a contare sul Teleriscaldamento: ovvero un’unica centrale che riscalda le abitazioni di 165mila cittadini (su 198mila). Grande cosa, perché così si sono eliminate 30mila caldaie private, con grande vantaggio per sicurezza ed inquinamento: ma anche qui il senso eufemistico riaffiora. Le centrali del teleriscaldamento sono tre: una dovrebbe andare a metano, ma è policombustibile e funziona spesso a polverino di carbone (ma la bolletta te la fanno pagare come se bruciassero sempre metano e come la mettiamo col Pm10?); un’altra utilizza turbine navali (va bene, le emissioni saranno anche controllate, ma sono cospicue); un’altra è un “termovalorizzatore” e brucia centinaia di tonnellate di rifiuti al giorno: ammettiamo anche che sia vero che le emissioni di questa ciminierona (è quella bella color cielo che vedete tra i caselli di Brescia Ovest e Brescia Centro sulla A4) siano “accettabili” e controllate. Ma come la mettiamo con le centinaia di autocarri che ogni giorno portano lì i rifiuti: quelli non fanno polveri?
Però i privati bresciani non possono usare stufe a pellet o a legna se abitano al di sotto dei 300m di quota (cioè quasi tutti, visto che il centro città è a 150 metri e per arrivare a 300 bisogna andare sulle colline).
Ed i trasporti pubblici? Quelli bresciani sono efficienti (se paragonati a quelli di città come Roma o Milano). Le fermate sono integrate nella rete di telerilevazione e su ogni tabellone vengono riportati a scalare i minuti di attesa per ogni passaggio. Inoltre quasi tutti i bus vanno a metano, da anni.
Benissimo. Però, la memoria cortissima della gente ha rimosso il fatto che fino ai primi Anni Ottanta la città aveva una bella rete di filobus elettrici (tanto che quelli della mia generazione chiamo ancora ‘filovie’ i bus urbani): fu eliminata perché, si disse, i bus a motore termico erano più agili e potevamo cambiare percorso facilmente. Peccato che, nel corso dei decenni, si sia puntato poi ad un’ampia pedonalizzazione (o limitazione al traffico) nel centro storico e, quindi, i filobus sarebbero andati ancora benissimo, anzi, meglio (specie intorno al ring, dove sono state realizzate ampie corsie preferenziali per i bus).
Ah, già, ma da qualche anno c’è una modernissima metropolitana leggera: un gioiello tecnologico, realizzato in gran parte a ben 40 metri sotto terra. Diciassette fermate in direzione Nord-Sud-Nord, decisamente comoda per gli studenti che dalla Stazione FS vanno all’Università e per chi sempre dalla Stazione deve raggiungere l’Ospedale Civile.
Peccato che a gran parte dei bresciani (a cominciare da quelli che stanno ad Est ed Ovest) serva a poco, anche perché la città non è grande: si attraversa a piedi in meno di mezz’ora e poi le stazioni della Metro sono talmente sotto terra che per raggiungerle ed uscirne occorrono parecchi minuti. Biciclette e ciclomotori sono immensamente più rapidi.
Peccato anche che questo gioiellino sia costato l’equivalente di oltre duemila miliardi delle vecchie lire (avete letto bene, duemila), oltre ad aver ribaltato la città per anni causa lavori (e con qualche morto nei cantieri) e peccato che abbia creato una voragine nei conti del Comune: ancora oggi l’utenza è assai inferiore alle attese ed il costo d’esercizio è coperto dagli introiti dei viaggiatori si e no per il 10%. Qualche genio, poi, pensò bene di non installare tornelli agli ingressi! Si sono adottati in seguito alcuni sistemi di controllo, ma più che altro palliativi.
Immaginate quanti parcheggi, anche sotterranei (i progetti c’erano) si sarebbero potuti realizzare con duemila miliardi attorno al centro storico, in cui fa muovere poi bus elettrici (o filobus), sempre da acquistare con gli stessi fondi. E pensare che un referendum popolare bocciò nettamente la scelta del Metrobus: ma andarono a votare poco meno del 50% dei bresciani e la consultazione perse valore. E pensare, ancora, che lo stesso Comune, che vuole scoraggiare l’afflusso in centro dei veicoli, continua ad organizzare decine e decine di manifestazioni ed eventi che attirano la gente proprio in centro (con buona pace dei residenti, che tornando a casa la sera si trovano i pochi posti auto disponibili occupati, salvo poi trovarli vuoti la mattina dopo…).
Certo, come detto, la situazione a Brescia non è poi male rispetto alla maggior parte delle altre città italiane (anche se, magari, un servizio costante di lavaggio delle strade migliorerebbe molto la situazione polveri…). Però, soprattutto in tema di mobilità, c’è questo “eufemismo” che continua a ronzarmi nella testa. È vero, è in primo luogo il Governo che fa poco a favore del mondo del trasporto privato. Ma l’accavallarsi di interventi nei decenni ha finito per peggiorare la situazione anche a livello locale: sono state ristrette strade larghissime, messi decine di dossi e decine di rotonde per rallentare la circolazione, ridotti centinaia di posti auto a favore dei dehors dei caffè e delle pizzerie. Pochissime le colonnine di ricarica per le auto elettriche installate, pochissimi i distributori con il metano (un po’ meglio il servizio Bicimia).
Come diceva il mio antico direttore, “le cose basta dirle… poi quanto a farle”… tanto prima o poi pioverà.
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