In ricordo della “Volpe Argentata”

L’Ospite di Autologia Prisca Taruffi.

In occasione del trentennale della scomparsa di suo padre, il mitico Piero Taruffi, oggi è L’Ospite di Autologia, con questo emozionante articolo.

In ricordo della “Volpe Argentata”

Quest’anno ricorre il Trentennale della scomparsa di mio padre Piero Taruffi (1906-1988), indimenticato pilota-ingegnere, recordman, progettista e vincitore dell’ultima Mille Miglia della storia dell’automobilismo datata 1957.

Quella fu la sua ultima gara, anzi direi vittoria, indubbiamente la più ambita e sofferta, terminata con la solenne promessa fatta a mia madre: “Smetterò di correre solo quando avrò vinto la Mille Miglia”. E così il bacio della vittoria di Donna Isabella, come amava definirla il Drake, fece il giro del mondo.

Ai tempi della Carrera Panamericana, i messicani lo chiamavano simpaticamente  “El Zorro plateado” ovvero “Volpe argentata”, non solo per i suoi folti e precoci capelli bianchi ma soprattutto per la sua astuta tattica di gara che gli permise di vincere quella massacrante gara nel 1951 con una Ferrari 212 Inter 2500, oltre ad un secondo posto nel 1953 con la Lancia D24 3300.

Perfino l’amico rivale Tazio Nuvolari, con il quale si cimentò prima con le moto e poi con le auto, lo aveva definito “lo stradista più forte del mondo”. Come la maggior parte dei piloti di quei tempi, mio padre iniziò la sua carriera di pilota con la moto con la quale bisognava dimostrare di andare altrettanto forte che con l’auto da corsa. Ferrari si accorse di lui in occasione del GP di Monza del 1931 quando, in sella alla sua fedele Norton, il giovane Taruffi siglò non solo il giro più veloce a 170 di media ma riuscì a battere i piloti della scuderia Alfa Romeo con motociclette decisamente più potenti. Difatti quando i capelli bianchi erano ancora ben lontani, il giovincello romano, fresco di laurea in ingegneria meccanica e industriale, stava già sperimentando sulle moto i principi dell’aereodinamica. Allora la velocità era la misura del coraggio dei piloti, definiti dei propri e veri eroi. Il più veloce era considerato anche il più temerario e per molti, la velocità era una sfida alla morte e per il pubblico una forma di eroismo. Ma non per mio padre, il quale, a differenza di piloti famosi  come Varzi, Ascari e Nuvolari pronti a gesta plateali, rifuggiva i bagni di folla preferendo ritirarsi con le sue formule matematiche alla ricerca di nuovi limiti per correre sempre più forte con mezzi meccanici fantascientifici per quei tempi come la Rondine Gilera e il Bisiluro con i quali ottenne svariati primati del mondo!

 “Nella mia vita sportiva, le imprese più importanti le ho conseguite con la motocicletta” soleva instancabilmente ripetere ai giornalisti che lo intervistavano ovunque. Aggiungendo: “Rischiando spesso la vita”.

Ogni sua impresa sportiva, anche la più temeraria, come quella con la Rondine Gilera carenata con la quale stabili 34 records mondiali, tra cui quello assoluto di velocità del 1937, dove sulla Bergamo-Brescia raggiunse i 274 km/h, oppure il primato del chilometro lanciato sulla Fettuccia di Terracina al volante (che in verità non esisteva ) del Bisiluro Tarf 2 motorizzato Maserati, con il quale toccò i 313 Km/h, era frutto di calcoli, studio approfondito dei principi dell’aerodinamica, inventiva di soluzioni innovative tese alla ricerca del limite estremo. Difatti, quando nel dopoguerra mio padre iniziò a pensare ad una automobile da record, la sua idea primaria era quella che a parità di potenza, un mezzo a due ruote sarebbe stato sicuramente più veloce di una automobile a causa soprattutto della maggior sezione maestra di una vettura da corsa. Nasce così l’idea del Bisiluro, in pratica due siluri, uno per il pilota e l’altro per il motore, collegati tra loro da traverse carenate. Questa strana creatura, chiamata da mio padre Tarf, acronimo del suo cognome, venne da molti giornalisti definita al femminile ma ora, una volta per tutte, posso affermare che il Bisiluro era e rimane di sesso maschile. Quando i giornalisti intervistavano Donna Isabella, mia madre, onnipresente a tutti i tentativi di record di mio padre, chiedendole se era gelosa di questa macchina super veloce, lei ancora ci scherza su, mentre mio padre rispondeva seriamente: “Questa macchina l’ho battezzata Bisiluro ed è di genere maschile; l’ho ideata e creata io, l’amore che le porto è quello di un padre per un figlio”

Mi piace pensare che questa sua creatura sia nata nel garage di famiglia, lo stesso dove oggi parcheggio la mia amata Vespa e la mia piccola utilitaria. Ma il successo del Bisiluro e la scalata dei record di velocità (ben 92 di cui 53 in moto e 39 in automobile) non era solo passione per la velocità, ma soprattutto competenza meccanica, ricerca, sviluppo dei principi dell’aerodinamica nella galleria del vento, come oggi si fa in F1, il tutto condito da un pizzico di genialità ma soprattutto tanto coraggio. Ricordo che mio padre anche prima di morire, mi ripeteva spesso che infondo si riteneva un uomo molto fortunato: nella vita aveva perseguito le sue passioni e tranne un paio di brutti incidenti tra cui quello avvenuto sul circuito di Tripoli a causa della rottura dei freni per il quale rischiò di morire, aveva vinto tutto quello che per lui era importante, compresa l’ultima Mille Miglia del 1957, che pose termine alla sua longeva carriera da pilota.

Quest’anno per onorare il trentennale della sua scomparsa, ho voluto ricordarlo organizzando la “Volpe Argentata Event”, che si svolgerà il 14 luglio 2018 nel prestigioso Golf della Montecchia a pochi passi da Padova. La Special Edition di quest’anno, è un connubio tra il mondo delle autostoriche con un Concorso di Eleganza a lui intitolato, e quello del golf con una prestigiosa ProAm, dove insieme ai professionisti, parteciperanno Celebrities del mondo automobilistico e sportivo appassionati di questo bellissimo sport. E grazie al patrocinio del Coni e di Aci storico, tra le tante autostoriche che parteciperanno al Concorso di Eleganza, verrà esposto il famoso Bisiluro (motorizzato Gilera), che mio padre alla fine della sua carriera sportiva, donò al Museo dell’Automobile di Torino.

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