Mobilità, sicurezza, ipocrisie: riflessioni

Esistono due modelli di città: quelle spot (o basate sull’ideologia) tanto care a certi amministratori pubblici; quelle di tutti i giorni. E proprio queste ultime rispecchiano la quotidianità – fatta di spostamenti per motivi di lavoro, di studio o di salute – e la vita nelle zone periferiche con tutti i disagi che comportano. Dunque, le città reali, del giorno d’oggi  nelle quali sono emersi, a causa della pandemia, tutti i problemi e le contraddizioni legate alla mobilità, nonché l’importanza del mezzo privato e le tante debolezze del sistema di trasporto pubblico.

Quando si parla di smog, poi, ecco apparire nei servizi televisivi solo immagini di traffico, dimenticando le tante altre fonti di inquinamento a partire da riscaldamenti, allevamenti intensivi, industrie, sprechi e discariche abusive. Il traffico automobilistico è da anni l’imputato numero 1 in quanto più comodo da colpire, tassare e accusare. Insomma, un bancomat sempre in funzione e privo di Pin.

Intanto, il fatto di guardare sempre avanti – agli anni 2030, 2040, 2050 – fa perdere il senso del presente con tutti i suoi problemi e i mancati investimenti nella sicurezza stradale, nelle infrastrutture e nel trasporto pubblico. Tutti nodi venuti drammaticamente al pettine in questo periodo di crisi. E poi si vogliano creare le cosiddette “smart city” limitandosi a restringere le carreggiate, togliere i posti auto, dimezzare il traffico e dipingere senza criterio piste ciclabili e per monopattini che risultano poi pericolose per gli stessi utenti. Mezzi, i monopattini, utilizzati spesso a dispetto delle principali regole comportamentali.

E poi c’è un Codice stradale che da troppi anni deve essere aggiornato in funzione dei problemi reali da affrontare con maggiore rigore: la distrazione, la guida sotto effetto di droghe e alcolici, la non osservanza dell’obbligo di assicurazione e, soprattutto, che non tiene ancora conto delle nuove tecnologie legate alla sicurezza a bordo delle macchine più recenti (frenata di emergenza, angolo cieco, mantenimento della corsia, sistema di alert se il guidatore tende ad addormentarsi e tanto altro). Per non parlare dei motori: le scuole guida, finora hanno sempre impostato le loro lezioni sugli stessi propulsori, quelli endotermici, oggi messi in croce.

Ecco allora che sul presente c’è parecchio da lavorare, parallelamente allo sviluppo di quello che sarà il futuro. Teniamo inoltre presente che la pandemia da Covid-19 lascerà a tutti un’eredità pesante, quella della diffidenza a salire sui mezzi pubblici più comuni nelle città e quelli destinati ai pendolari, almeno fino a quando non saremo tutti vaccinati. Il mezzo privato, dunque, continuerà a essere considerato il più sicuro in quanto meno o per nulla condiviso con sconosciuti.

Il 95% del parco circolante italiano, inoltre, è ancora costituito da milioni di vetture ante Euro 4, quindi, sì inquinanti e sì per nulla sicure. Si pensi ad accelerarne il ricambio con incentivi, come quelli che interesseranno il 2021, ma di lunga durata e parte di un piano strategico nazionale a beneficio della stessa transizione energetica, utilizzando i fondi che l’Ue metterà a disposizione del Paese. E si mettano da parte tutte le dannose ideologie legate ai “grillini” e a una certa sinistra, che tende ad agevolare sempre più i “radical chic” e meno – come invece per vocazione dovrebbe fare – chi vive nelle periferie o in condizioni problematiche e con difficoltà a spostarsi.

Ben venga, a questo punto, la “smart city” ma quella vera, magari sul modello dell’americana Shipyard alle porte di San Francisco, purtroppo però dai prezzi inavvicinabili ai più, ma soprattutto quella che riguarda le aree di nuova costruzione fuori dal perimetro di metropoli come Milano o Roma. E dove tutto funzionerà all’insegna di connettività, intelligenza artificiali, App, guida autonoma e a zero emissioni, robot taxi e quant’altro.

Un’ultima considerazione. Quando si parla di mobilità “green” il discorso cade sempre e comunque sui veicoli elettrificati, mai sull’impegno dell’industria petrolifera in direzione della decarbonizzazione attraverso le nuove raffinazioni, i carburanti sintetici, i biocarburanti e i futuri prodotti che renderanno questo settore ancora più amico dell’ambiente. E’ come se tutto questo non esistesse. Uno sbianchettamento calcolato che continua a passare inosservato.

E ancora: mettiamo che dal prossimo anno tutta la mobilità diventi elettrificata. E i 40 miliardi in accise e tasse varie, assicurati da benzina e diesel, dove li prenderà lo Stato? E’ solo un esempio. Meno sogni e voli pindarici, dunque. Più concretezza e attenzione al presente e all’immediato domani. (motori.ilgiornale.it)

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