Qualche ragione per andare a Bilbao
Varrebbe la pena di trovare il tempo per (ri)percorrere lo spazio fino al Guggenheim di Bilbao e lì, di nuovo, attraversare il tempo del ‘900, visitando la mostra “Motion.Auto, arte, architettura” ?
Probabilmente sì: ne leggiamo che curatore è Norman Foster, architetto e designer, come si dice, di fama internazionale- e collezionista di auto: alcune di quelle esposte sono sue. Foster pensa infatti che “non c’è un manufatto creato dall’uomo che abbia trasformato il paesaggio urbano ed extraurbano più dell’automobile (…) la quale non ha solo influenzato la vita culturale del ‘900, ma ne ha plasmato ogni aspetto, fisico e metafisico.
Ogni parte della nostra vita, da sempre, viene toccata dalle conseguenze della mobilità, che definisce tutti i nostri comportamenti.” E poiché pochi oggetti “hanno saputo concentrare altrettanta qualità estetica, funzionalità ed evoluzione tecnologica”, nella mostra si esplora il dialogo novecentesco tra auto e pittura, scultura, architettura, fotografia, cinema, attraverso dieci gallerie, da “Beginnings” a “Sculptures”, da “Popularising” a “Sporting”, a “Visionaires”, temi tutti modulati su registri molteplici .
Si vedranno accanto alla Phaeton del 1900, a Bugatti Atlantic, a Hispano Suiza Dubonnet, Citroen Ds, Ferrari, Alfa Romeo, prototipi come Dymaxion, Pegaso Z-102, i tre Firebirds di GM e oggetti di grande diffusione come Ford T, Fiat 500, Maggiolino, 2CV…disposti nelle sale accanto alle opere di Moore, Calder, Warhol, Brancusi, Boccioni, Balla, Adam, Indiana.. Certo, Foster conosce perfettamente le opportunità e i limiti ai quali il ‘900 ha dato vita, a partire da quella seconda rivoluzione industriale che aveva al centro trasporti e comunicazione. Come esponente dell’architettura high-tech, è progettista di boulevard, ponti, aeroporti e stazioni ferroviarie, insomma di molti dei necessari e disperanti “non-luoghi” dei quali ha scritto Marc Augè: ci siamo mossi dall’uno all’altro di essi per tutto il secolo, a velocità crescente, riducendo sempre più i tempi dello spostamento, fisico e mentale, in un continuum che Foster sottolinea osservando che “le stazioni ferroviarie del XIX° secolo sono più vicine di quanto si pensi ai nostri aeroporti ed agli spazioporti del futuro”…
Un secolo fa, d’altronde, Marcel Proust non dichiarava già la stazione “un antro per cui si accede al mistero, dentro una grande officina vetrata come quella di Saint-Lazaire, che dispiegava sopra la città sventrata un cielo immenso e crudele, gravido di accatastate minacce di dramma, simili a certi cieli, d’una modernità quasi parigina, di Mantegna o del Veronese, sotto il quale non poteva compiersi che un qualche atto terribile e solenne come una partenza in treno o l’erezione della Croce”?? Dove, con la sua ironia addolorata Proust coglie, insieme alla drammatica convivenza di vacuità e pienezza nella modernità, la sostanza del cambiamento in atto davanti ai suoi occhi, quello i cui sviluppi occupano le sale del Guggenheim.
Come ha dimostrato Marie-Agnés Barathieu (“Les mobiles de Marcel Proust “) il Narratore/Scrittore della “Recherche” vive momenti capitali in carrozza, in auto, in treno, “gli spostamenti hanno un posto importante almeno quanto i ricordi” (G.Poulet) ma “sono anche metafore, svolgono la funzione di indicatori sociali di appartenenza ad una classe (ed ad un sesso)” ed entrano nell’analisi della trasformazione sociale in atto dal 1880 -l’infanzia di Proust- al momento in cui comincerà a scrivere, trent’ anni dopo. Non a caso quindi, già nel 1907 un suo articolo apparso sul “Figaro” – poi raccolto sotto il titolo “Giornate in automobile”- raccontera’ di un viaggio verso la Normandia su un’auto presa a noleggio e guidata da Alfred Agostinelli (Proust non guido’ mai, per ragioni di salute) ora autista, in futuro segretario e amante (e destinato a morire in un incidente aviatorio…).
A leggerlo vi si troveranno molti piaceri del viaggio in automobile, “la bella giornata di settembre” di là dai vetri, l’apparizione in sequenza dei campanili, la sosta per un guasto a Lisieux gia’ al buio e il fido Agostinelli che permette a Proust di vedere la facciata della Notre-Dame locale orientando i fari dell’auto. Il viaggio proseguirà nella notte, Agostinelli, avvolto “in un ampio mantello di gomma” e con un cappuccio che lo assomigliano “a una monaca della velocità”, azionerà con perizia la tastiera di quello strumento – il motore – cambiando registro con i cambi di velocità…Insomma Proust e Foster a distanza di un secolo parlano la stessa lingua e d’altronde- a proposito di spazio e tempo- nel 1905 Einstein (a cui Proust sarà paragonato) aveva formulato la relativita’ ristretta…Foster pero’ all’inizio del XXI° secolo non puo’ non registrare la traformazione dell’auto “nel villain delle nostre città” e dichiarare la necessità di re-immaginare la mobilità.
È questo l’oggetto dell’ultima sala della mostra, ci dicono le cronache: le proposte di sedici scuole internazionali di design e architettura, alle quali è stato chiesto di esplorare il futuro della mobilità, illustrato da audiovisivi, rendering, design e opere scritte. Secondo Foster “un cerchio si chiude”: forse si ritornerà alle origini, “al Phaeton del 1900 mosso da motori elettrici, o ai tre prototipi Firebirds in cui era già contemplata la guida autonoma”?
Foster ha ottantasei anni e si dichiara “convinto che il futuro sia sempre migliore del presente”: per quanto ci riguarda, ci piacerebbe anche solo poter coltivare la speranza di nuovi viaggi – con qualsiasi nuovo mezzo!- certi, con Proust, che “mi (ci) comprenderanno tutti coloro a cui il vento, passando, ha impresso il desiderio irresistibile di fuggire fino al mare.”
Che meravigliosa analisi di un fenomeno che ha cambiato la nostra storia! C’è la tecnologia, c’è la filosofia, c’è la poesia…di chi ama l’automobile. E si percepisce.
“Foster pero’ all’inizio del XXI° secolo non puo’ non registrare la traformazione dell’auto “nel villain delle nostre città”
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