Sabelt, l’artigianato hi-tech alla conquista del mondo

L’Italia che non si piange addosso sa esprimere eccellenze che spesso colpevolmente dimentichiamo e che sono le “bandiere” nel mondo della nostra tecnologia e di un invidiabile know-how.
Realtà a volte piccole, ma agili e capaci di innovare. Che danno lavoro e ne daranno di più perché progettano espansioni, non evocano la crisi come alibi per tirare i remi in barca. La Sabelt è una di queste. E visitare i due stabilimenti di Moncalieri (primo hinterland torinese) è un’iniezione di entusiasmo. Scopri che componenti come cinture di sicurezza e sedili racing sono molto più sofisticati di quanto si possa immaginare.
Grazie a questi prodotti frutto di un esclusivo patrimonio genetico, Sabelt (safety-belt) ha scalato le classifiche globali “salendo” su 8 team di Formula 1 e sulle più prestigiose vetture sportive: da Ferrari a McLaren, Dallara, l’Alfa 4C e le Abarth, fino alla neo-rinata Alpine Renault.
L’azienda nacque nel 1972, per una felice intuizione: le cinture di sicurezza non erano ancora obbligatorie in Italia, tuttavia Giorgio Marsiaj (fondatore col fratello Piero) ottenne una licenza dell’inglese Britax e cominciò a produrre in un capannone non casualmente collocato di fronte alla Fiat Mirafiori.
“Dopo pochi anni – racconta – le cinture diventarono una necessità, il business lievitò. La prima auto a cui le fornimmo di serie fu la Fiat Uno.”
Una storia di successo, tra alterne vicende. Sabelt, che oggi ha un presidio anche a Detroit per le forniture della Viper, ebbe una rapida espansione. Comparvero i primi sedili sportivi, nel 1985 il fatturato arrivò a superare i 33 miliardi di lire e l’azienda ”copriva” il 60% delle ordinazioni di Fiat, Alfa e Lancia.
“Però non avevamo la tecnologia degli airbag – ricorda Marsiaj – e ci serviva un partner forte, così aprimmo a metà anni Ottanta agli americani di Trw”.
Rimasto comunque al comando, e spinto dalla passione, Marsiaj riacquistò la sua Sabelt a fine anni Novanta. Nel 2008 fu il gruppo Brembo dell’amico Bombassei a diventare grande azionista.
Parentesi breve: “Nel 2015 abbiamo riportato a casa la nostra storia, con il controllo totale. È stato come riconquistare un figlio. Ora dobbiamo crescere con intelligenza, possiamo fare quattro volte tanto: bisogna innovare, intercettare le esigenze dei nuovi player dell’automotive, guardare ai mercati del futuro e alla mobilità del domani, compresa l’elettrica, sempre tenendo sotto controllo i costi. L’alleanza con i francesi di Faurecia che sono leader al mondo nei meccanismi dei sedili, in prospettiva si rivelerà importantissima”.
Sabelt vola alto. Lo ha fatto sposando anche una realtà tecnologicamente avanzata come quella aerospaziale.
“Sono nostre le cinture a bordo del modulo Cygnus realizzato da Thales Alenia per rifornire la stazione spaziale Nasa” spiega Massimiliano Marsiaj, il figlio del presidente, responsabile del business development. “E in Formula 1 siamo leader – aggiunge – anche perché per primi ci siamo adeguati al nuovo regolamento, più severo, imposto dalla Fia sulle cinture che ora devono resistere il doppio. L’agilità in questi casi è la chiave del successo”.
Lo stabilimento funziona come un raffinato atelier, tutto è realizzato a mano con cura certosina. Ci sono linee dedicate a ogni marchio: “Con le Case studiamo il progetto, poi lo realizziamo su misura: la qualità è prioritaria. A noi chiedono la perfezione ed è questo che ci qualifica nel mondo”.
C’è la sezione prototipi, quella dei test dinamici con la slitta per valutare la resistenza ai crash. E ci sono artigiani che accarezzano con amore le pelli dei sedili, testano gli attacchi in alluminio e titanio delle cinture stradali e di quelle da gara, leggere come piume grazie a materiali tecnici come zylon e kevlar.

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