Sette domande a Bernard Darniche (Puntata 2)

Bernard Darniche, a suo dire il meno francese dei piloti francesi:

“Ho il sentimento che sono molto amato in Italia e più apprezzato che in Francia a livello sportivo.

In Francia mi hanno accusato di correre senza grinta, ma in Italia conta soprattutto vincere, chi vince è il migliore.

Ho anche vinto tanto in Italia: il 4 Regioni, la Targa Florio, il San Martino di Castrozza, ecco non ho vinto Sanremo perché non l’ho mai fatto con una macchina competitiva…

In Francia dei piloti come Andruet, che faceva una stupidaggine ogni due, o Ragnotti, che non ha il mio palmares, e che alla vettura facevano di tutto, godono di una migliore considerazioni di me”

Ma c’è un perché.

Scopriamolo in questa seconda puntata, e insieme a questo anche il perché di tante altre scelte professionali.

Parola di Nana’!

(Ps. Bernard detto Nanard, Nana’ per gli amici -ndr)

 

1 – Rischio o prudenza. Cosa ha contraddistinto di più la sua vita professionale?

La prudenza.

Nel ‘76 Chardonnet mi dice che possiamo fare una equipe come Lancia Francia, ma solo per un anno… dico a Mahe ma come fa poi a fermare la squadra se vinciamo 10 o 12 corse ?

Come fa con l’opinione pubblica? Così abbiamo vinto 10 o 12 corse il primo anno e il team ha continuato per il secondo anno.

Chardonnet mi ha sempre detto che se rompevo fermava tutto, dunque sapevo di essere solo nell’equipe senza poter fare errori e non avevo il diritto di rompere una macchina.

Così facevo le corse in maniera tecnica e strategica, aspettavo che gli altri facessero errori, aspettavo sempre l’ultimo momento per passare in testa e vincere.

E ha funzionato!

 

2 – Oggi, con la giusta distanza, quali sono state le scelte più importanti della sua vita professionale?

Non ho mai avuto dubbi quando era il momento di cambiare squadra.

Ero un operaio che lavorava in una fabbrica, e quella prima delle corse era una vita non da sogno, e non volevo tornare a quella vita.

Questo mi ha reso estremamente serio, non ho mai corso per divertirmi, l’ho fatto come un mestiere per vincere delle gare e meritare ciò che il mio datore di lavoro si aspettava da me.

Quando sento i piloti dire mi sono divertito non lo comprendo, non mi sono mai divertito, era un mestiere che mi garantiva una vita che non avrei mai potuto sognare

 

3 – Ci parli delle gare…Quali sensazioni prima delle gare?

Alla partenza di ogni rally avevo l’impressione che fossero tutti più veloci di me.

Avevo l’impressione di non essere abbastanza pronto e quindi dovevo essere serio e ascoltare la mia squadra.

La persona che mi ha dato di più in tutta la storia di questa Lancia Stratos blu è Piero ( Spriano- ndr), che adesso abita in Sicilia.

Era il mio meccanico italiano, era il meccanico di Maglioli, ed era per lui che volevo vincere, perché era talmente devoto che si sarebbe fatto uccidere.

Quando non era sicuro che la macchina quella notte fosse al sicuro ci dormiva dentro.

 

4 – L’importanza del copilota in un rally. Una considerazione su Alain Mahe…

(nota personale dell’Autore)

Prima della risposta, questa la voglio raccontare.

Ho un ricordo personale molto bello di Darniche-Mahe che voglio condividere, 40 anni dopo.

Rally di Grecia. 1982.

Loro sono in ritardo, noi, Cinotto-Mussa con la A112 Abarth siamo alla partenza di una speciale nel Peloponneso. Notte. Arriva la Stratos blu: la sentiamo da lontano. Mahe si precipita al tavolo dei cronometristi e mi dice: quando vedete le luci mettetevi da parte… 

“ Bien sur” rispondo.

Ci partono dietro.

30 km, una prova infinita in strade tortuose, una curva dopo l’altra. Cinotto va alla grande, non arrivano mai … a 1 km dall’arrivo vediamo le luci, accostiamo, li facciamo passare e arriviamo in scia … al tavolo dei cronometristi Mahe ha appena timbrato, timbro a mia volta …Mahe fa per andare via, si ferma un attimo, si gira e mi dice con eleganza: « compliment » e risale in auto…

Ragazzi, immaginate per noi ventenni cosa significò quel complimento…!

Ma veniamo alla risposta.

Per me prima di tutto il copilota doveva essere un amico, un amico in cui avere fiducia e che ha fiducia in me.

Per me era la condizione principale, e detto questo non volevo sapere assolutamente di cosa succedeva sul lato destro della vettura, regolamenti, organizzazione …volevo solo essere al volante e guidare: Alain era concentrato tutto il giorno sulle prove, aveva organizzato l’arrivo in hotel e se era il mio giorno di allenamento in bici facevo gli ultimi 80 km in bici e mi aspettava in hotel.

Il menu era già immaginato per la cena…faceva tutto, era l’organizzatore della mia vita.

Non ci siamo mai considerati superiori perché eravamo in un team che vinceva, siamo sempre stati vicini agli appassionati perché siamo stati degli appassionati prima di loro, come loro, e non lo abbiamo mai dimenticato.

D’altronde Mahe ha creato in Francia la Coppa Autobianchi per gli appassionati …

abbiamo avuto la fortuna di arrivare, ne siamo consapevoli, ed è pieno di chi tra gli appassionati non ha avuto la stessa fortuna di arrivare

 

5 – Andrè Chardonnet: che importanza ha avuto nel mondo delle corse in Francia ?

È stato un grande uomo d’affari e mi sono reso conto negli anni che non aveva molta umanità.

Gli interessava che fossi là perché vincevo tante corse all’anno…correvo e non mi rendevo conto di essere molto sfruttato.

Prima di tutto non ero molto pagato, me ne sono reso conto dopo… quando vincevo una corsa il week end, il lunedì e il martedì partivo con lui in visita alle concessionarie e vendevamo delle macchine: la gente mi aveva visto alla tv il week end, così arrivavamo da loro in provincia e Chardonnet gli vendeva cosa voleva.

 

6 – E quella volta che l’Avv0cato Agnelli…

Quando Lancia ha smesso di correre, e la mia collaborazione doveva terminare, sono stato invitato a pranzo da Agnelli e Luca di Montezemolo e durante il pranzo l’avvocato Agnelli e Luca mi hanno detto di essere molto sensibili alle mie vittorie, ne ho fatto 50 tra Fiat e Lancia, una cosa enorme, e senza rompere una macchina come ho già avuto modo di dire…

e così il “boss” mi ha fatto una proposta: “quello che mi interessa è che in 5 o 6 anni Lancia all’inizio vendeva 1500 vetture l’anno in Francia e oggi ne vende 22mila, e questo è successo grazie alle corse, i risultati ne sono la testimonianza…”

Così dopo che Chardonnet si è arrabbiato con Fiat, e c’è stata una separazione complessa, lui non ha voluto vendere a Fiat, e la cosa è finita non bene…

Ebbene, l’Avvocato Agnelli mi ha detto quella volta: “quello che vorrei è che voi smettiate di correre, entriate nella famiglia, prendete la residenza in Italia perché ho dei grandi progetti per voi …”

Non ho voluto, ho avuto paura, temevo di non essere all’altezza

 

7 – “Citoyens de la route “ è stata una sfida interessante: di cosa si tratta?

E stata una sfida che non ha funzionato.

Mentre correvo e dopo che avevo smesso, Jacques Chirac mi ha sempre chiesto di aiutarlo sulla sicurezza stradale e ho cercato di convincere il mondo politico di trasformare le regole, perché le regole fossero comprensibili da tutti. Per dargli un senso, che in Francia non c’è davvero…

Non ho voluto entrare in politica: Chirac mi ha proposto di essere deputato e ministro ma non ho voluto, come ho fatto per Agnelli, perché non ero sicuro.

Così mi sono detto vado a creare una organizzazione indipendente, parallela, per unire gli automobilisti e fare pressione sul mondo politico perché cambiasse atteggiamento nei confronti degli automobilisti. Quello che trovo inaccettabile ad esempio è che si dica a uno che è in errore perché ha passato il limite di 5 km all’ora, lo trovo di una ingiustizia folle…

Mi sono messo in testa di fare della politica ma nel senso civico del termine.

Non è stato seguito dal pubblico, non sufficientemente, perché la gente parla molto ma quando si tratta di agire non agisce.

 

7bis – Chi inviterebbe stasera a cena del mondo dei rally?

Le due persone con cui ho più lavorato sono Daniele Audetto e Giorgio Pianta, e sono loro due che vorrei invitare.

 

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