C’era una volta il Museo Lancia …

Questa è la storia di un Museo che non esiste più. Niente paura, non si tratta di un racconto nostalgico dei tempi che furono, facendo il verso alla famosa canzone di Adriano Celentano, dove la sua via Gluck, viene descritta con il rimpianto di un mondo perduto. E’ la storia, invece, di un complesso industriale  che è stato vittima di un rapido processo di urbanizzazione, ma soprattutto è la mia storia, quella dei miei amici-colleghi e, soprattutto di una palazzina che ora non c’è più.

Infatti, laddove sino alla fine degli Anni Ottanta c’erano gli stabilimenti del comprensorio Lancia, tutti gli spazi sono stati progressivamente trasformati negli anni 2003-2006 ad area residenziale-commerciale, dando vita a nuovissimi condomini, trasformando Borgo San Paolo in uno dei quartieri simbolo della riconversione di ex-aree industriali, spesso arricchite di opere d’arte contemporanea.

Fatta questa doverosa introduzione, veniamo all’edificio in questione: il Museo Vincenzo Lancia. Uno spazio espositivo dedicato alla storia della Lancia (con automobili, documenti, immagini d’epoca e motori), inaugurato nel 1971 e poi progressivamente smantellato, senza aver trovato ancora oggi una nuova collocazione da offrire al pubblico.

Una palazzina uffici di due piani, all’estremità di quello che era il reparto carrozzeria dove si assemblava la mitica Thema-Ferrari 8.32, nella zona compresa tra corso Rosselli e via San Paolo. Un edificio ben noto al collega Alfio Manganaro, che aveva cominciato a frequentarlo e a farlo rivivere molto prima di me, diventando un vero esperto della storia Lancia. Proprio per questo, fu coinvolto in prima persona nella progettazione degli spazi adatti ad ospitare l’Ufficio Stampa della Lancia, costretto ad emigrare dal Grattacielo, che si stava progressivamente svuotando per essere ceduto dalla Fiat a una joint venture di società immobiliari.

Un nuovo trauma per il sottoscritto. Dopo aver visto sfumare le attività sportive della squadra Lancia Rally, sono pure stato costretto a scendere dal 14 piano del Grattacielo al primo piano di una palazzina molto meno nobile e un po’ in disuso. C’erano comunque dei vantaggi: grossi spazi a disposizione e un enorme piazzale davanti alla palazzina per parcheggiare le nostre vetture private (rigorosamente Lancia, e in via del tutto eccezionale… Fiat).

L’impatto fu impressionante, perché, al pian terreno, una volta superata l’enorme vetrata a specchio, che fungeva da porta d’ingresso, mi trovai nell’atrio con di fronte due vetture eccezionali : la “D50”, monoposto da competizione con cui Gianni Lancia decise di tentare l’avventura della Formula Uno nel biennio 1954/55, e la “D25”, ovvero l’evoluzione di quella che vinse la Mille Miglia e la Carrera Panamericana. Due mostri sacri, dal valore inestimabile, che imparai a rispettare salutandole ogni mattina prima di salire in ufficio.

Una volta arrivato in cima alle scale, ci si trovava di fronte uno spazio ampio dove si tenevano incontri e conferenze per un centinaio di persone. Ma il bello doveva ancora venire. Svoltando a destra si apriva un lungo e spazioso salone, in cui alloggiava tutta la storia della Lancia. Una collezione di “pezzi unici” da rimanere veramente a bocca aperta. Ecco, tra le tante, la Lambda, il primo vero capolavoro di Vincenzo Lancia, e poi l’Artena, in una fantastica versione Cabriolet, e ancora , l’Ardea, l’Aprilia, altro capolavoro. Ma come dimenticare l’Aurelia B20 e B24 e le mie preferite, le vetture da rally. Ecco allora la Fulvia HF “14” con cui Munari vinse il Montecarlo,  la Stratos Alitalia, e la 037 con la livrea Martini e  poi la mia Lancia Delta, rappresentata in quel salone dalla vettura con cui Miki Biasion vinse il Safari Rally, in Kenya. Senza dimenticare, tutte le varie vetrinette, ricche di cimeli e di modellini, anche di autobus e di camion, e di documenti e oggetti preziosi. Insomma, un vero trionfo di tecnologia e innovazione in cui mi perdevo ogni volta, imparando sempre qualcosa di nuovo.

Sulla destra, sempre in quel lungo salone, si trovava il frutto della creatività di Alfio Manganaro, ovvero la struttura in vetro e alluminio che aveva dato origine ai nostri uffici. Uno spazio veramente grande, a cominciare dalla segreteria in cui le due assistenti del capo Susi e Ferida (la cara “lady di ferro” che se n’è andata troppo presto..) dovevano quasi usare il megafono per parlarsi e farsi sentire. Che dire poi dell’ufficio del capo, il compianto “Anfi” (Giuseppe Anfuso), rimasto ben poco in quella stanza perché richiamato in Fiat a prendere le redini dell’ Ufficio stampa automobilistico, una branca dell’Ufficio Stampa Fiat Spa, occupato da “quelli bravi”, come li definivamo noi scherzando.

Ma torniamo indietro all’edificio di via San Paolo. Alle spalle, delle due segretarie, c’era l’ufficio del Responsabile dei rapporti con la stampa estera, il mio ufficio, dopo che il titolare della “cattedra” , il compianto Tom Pleterski, aveva deciso di tornare a casa sua, in Slovenia. Una stanza di dimensioni normali che era a stretto contatto con la scrivania di Antonella, una meravigliosa assistente che mi ha supportato in tutto e per tutto. Lei così “piccola e fragile” in una stanza enorme, che condivideva con Alfio e il suo braccio destro, la mitica Paola, in cui si poteva quasi improvvisare una partita di calcio. Ma non finiva qui, perché più avanti c’erano ancora gli spazi dedicati alla nostra “donna dell’amministrazione”, Margherita, e i ragazzi del Lancia Club, e poi Domenico da Barletta, una persona squisita che con il suo accento pugliese  era il nostro “factotum” di fiducia.

Eravamo una squadra davvero forte, di veri professionisti, tanto che ci trovammo improvvisamente senza Capo, da soli, ma senza alcuna paura di organizzare la presentazione stampa della Delta Integrale Evo catalizzata, la cosiddetta “Deltona”. Fu un vero successo, ma di questo ne parleremo un’altra volta.

Lasciatemi ancora dire che sono veramente fiero di aver fatto parte di quel team e di aver avuto la possibilità di toccare e ammirare tutte quelle splendide automobili. E’ un vero peccato che per molti, troppi anni siano state chiuse in un capannone, dal quale, pare usciranno a breve per essere finalmente sistemate in un luogo adeguato, grazie all’iniziativa di Roberto Giolito e della sua FCA Heritage. Un atto dovuto per un marchio che ha fatto della filosofia dell’innovazione il suo cavallo di battaglia e che con tutte quelle vetture può continuare a illuminare d’immenso quel che resta della Lancia.

Mi fermo qui, ma voglio dire che quello trascorso dentro il Museo fu un periodo stupendo per me, anche se durò poco perché presto (alla fine del 1993) saremmo andati tutti in corso Marconi, la famosa sede della Fiat, ma questa è un’altra storia.

lancia 1

 

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3 commenti
  1. Giuseppe
    Giuseppe dice:

    Ho fatto appena in tempo a visitare nel 2006 i locali di via Caraglio con le auto del Museo Lancia accompagnato dal gentilissimo dott. Masala. Se ricordo bene disse che si stava spendendo per mantenere quel luogo l’ultimo spazio Lancia del borgo.. Che emozione entrare e che tristezza/rabbia per essere sparita ogni traccia aziendale a Torino.

  2. Andrea
    Andrea dice:

    Grazie per aver condiviso questi bellissimi ricordi.
    Mi è sembrato per un attimo di essere entrato anche io, in punta di piedi, in quel salone pieno di tesori!

  3. renato ronco
    renato ronco dice:

    Grazie Maurizio! La tua appassionata descrizione ci ha fatto rivivere i fasti di un marchio fantastico, ma anche rimpiangere le meravigliose avventure sportive di cui è stato protagonista. Tutto ormai nell’oblio…
    peccato! Chi come me ha conosciuto e frequentato quel luogo e quelle persone ha rivissuto con piacere e nostalgia i momenti da te rievocati.

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