Sette domande a Luigi Pane

Luigi Pane, napoletano verace, è un giovane regista specializzato in auto, che ha un forte senso estetico, che trae ispirazione dalla video art, dal design, nel rispetto -mai gratuito – del prodotto che deve pubblicizzare.

Il suo nome d’arte è “Abstract Groove”.

Anche se in realtà Abstract Groove non è esattamente il suo nome d’arte, ma il nome di uno studio integrato di cui è direttore creativo,  un vero e proprio collettivo di filmmaker, come amano definirsi   (www.abstractgroove.com)
1 Luigi, la tua prima macchina, un ricordo. 

La prima macchina che ho guidato, di cui ho un ricordo magnifico è stata una Fiat 500 gialla degli anni ’70. Che poi è stata la prima macchina di mio padre. Ciò che amavo particolarmente di quell’auto era il tettuccio apribile. Quando ero bambino in occasioni speciali riuscivo a convincere mio padre a farmi stare in piedi sul sedile, con la testa fuori dal tetto, mentre lui guidava. Erano i primi anni ’80, oggi sarebbe impensabile per mille motivi. Eppure quella sensazione di libertà e quel punto di vista rappresenta uno dei ricordi più belli che ho della mia infanzia.

2 Il tuo primo film di auto, invece.  Un aneddoto 

È stato per Chrysler qualche tempo fa con Publicis Middle East. La campagna mi affascinò immediatamente per la creatività e infatti vinse un oro ai Lynx Awards.
Girammo a Dubai. Ricordo durante le riprese notturne la sensazione di essere in una scenografia gigantesca, le luci della città e lo skyline sembravano progettate apposta per fotografare la macchina di notte. Lo scontro tra la cultura visiva medio orientale e quella occidentale genera spesso uno scenario molto surreale, soprattutto da un punto di vista cinematografico L’atmosfera ricordava un po’ Blade Runner ed io e Diego (il DP) provammo a riggare un grandangolo molto spinto sul cofano della macchina, in modo da inquadrare il protagonista alla guida, attraverso il vetro lungo, il Maiden Bridge, un ponte che ha delle luci blu molto grafiche. Avevamo pochissimo tempo per quello shot e il risultato fu sorprendente al primo colpo.

3 Luce naturale o luce in studio, nel girare una macchina quale prediligi ?

Dipende ovviamente dalla storia. Ma devo ammettere che sono molto attratto dalle luci artificiali di notte, soprattutto nelle metropoli. Quindi mi piace molto girare dal tramonto in poi in esterni. Quando le luci della città entrano in scena e l’atmosfera inizia una magica trasformazione. Giocare con i riflessi sulle superfici della macchina e le ombre dinamiche che si creano negli interni mi affascina molto. Credo che con gli intervalli tra luce e ombra si possano evocare sensazioni molto forti, se usate in maniera non sterile o prettamente tecnica, ma assecondando un linguaggio decisamente lirico ed emozionale.

4 Cosa ti attrae come regista, in un auto? 

Prima di lavorare con le auto ho fatto un po’ di “training” con le moto, la differenza in un auto è che puoi inquadrarla come se fossi di fronte ad una struttura architettonica, gli spazi di un automobile descrivono ambienti più ampi e complessi. Penso ci sia ancora molto da esplorare in questo senso. Inoltre c’è la dinamica, il movimento, l’interazione con il paesaggio e l’espressione di guida del pilota. Ci sarebbe tanto da sperimentare sui film di auto.

5 Un ricordo di un set particolare 

Il set che ho amato di più è sicuramente Tokyo. La città rappresenta una specie di parco giochi per un regista. Ogni angolo permette di raccontare tantissimo.

6 Un modello di auto che vorresti raccontare cinematograficamente  

Probabilmente un’auto degli anni ’50 o ’60. Trovo che il design di alcune vetture abbia trovato la massima espressione in quegli anni. Credo sarà estremamente improbabile fare di meglio ancora per molti anni

7 Un set dove non hai mai girato, ma che sogni di utilizzare

Una città che mi ispira molto è Bangkok, e in generale trovo l’Asia molto affascinante. Ma devo dire che uno dei miei sogni è quello di girare a Napoli, cercando di tirarne fuori una visione estremamente contemporanea, direi quasi ermetica, molto lontana dai cliché a cui ci hanno abituati i media o il cinema nelle ultime decadi.

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