Auto e mobilità sostenibile, il domani che ci aspetta

Innovazione continua. Questa in estrema sintesi la definizione di come evolve da sempre il mondo automotive. Da quando la prima automobile (carro di Cugnot a parte) ha fatto girare le sue ruote sulle polverose strade dell’Ottocento – e aveva bisogno di un pilota e un meccanico a bordo – ai modelli di oggi, che non hanno più neppure bisogno dell’autista, il mondo è completamente cambiato.

Tanto che le auto di oggi hanno ben poco da condividere con le antenate di cento e più anni fa. O anche solo con quelle che hanno “appena” compiuto 30 anni!

Innovazione continua, dicevamo… Eppure non è facile prevedere con esattezza quali saranno le innovazioni, in che ambito si svilupperanno e che vantaggi o cambiamenti porteranno. Nel Settecento lo scrittore Horace Walpole inventò il termine “serendipity” per indicare le scoperte fatte per puro caso, il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un’altra.

Un esempio emblematico? I ricercatori della casa farmaceutica Pfizer che una quarantina di anni fa cercavano un medicinale contro disturbi cardiovascolari come l’angina pectoris (il dolore al torace provocato dallo scarso afflusso del sangue nelle coronarie) hanno scoperto tutt’altro. Infatti, durante la sperimentazione su alcuni volontari i benefici sull’angina pectoris non si rivelarono soddisfacenti e molti pazienti iniziarono a sentirsi imbarazzati durante le visite delle infermiere, tanto da preferire restare sdraiati a pancia in giù. In pratica a dilatarsi non erano i vasi sanguigni del cuore… ecco come nacque il Viagra.

Tornando al mondo dell’automobile, una storia simile è quella dei LED, i Light Emitting Diode. Pensati e quindi progettati per essere usati nelle spie dei cruscotti, i diodi luminosi sono invece diventati protagonisti di fari e fanali. La durata praticamente eterna e la capacità di assorbire una quantità d’energia elettrica infinitamente inferiore alle lampade a incandescenza, alogene o a scarica di gas, rendono i LED ideali per l’illuminazione esterna delle vetture e ormai sono diventati delle vere “firme” di luce per quasi tutti i marchi, permettendo la realizzazione di disegni a volte attraenti e seducenti, altre purtroppo di una evidente bruttezza.

Dicevamo che non è facile prevedere con esattezza quali saranno le innovazioni, come si svilupperanno e quali vantaggi porteranno. Per capire quanto è difficile torniamo per un attimo agli anni Quaranta dello scorso secolo, parlando di Robert Heinlein. Non si tratta di un ingegnere dell’auto bensì aeronautico, ma Heinlein è diventato celebre in tutto il mondo come scrittore di fantascienza. Negli anni Quaranta scrive una storia in cui il protagonista è costretto a fuggire dai soliti cattivi e per farlo utilizza una vettura volante – una delle tante innovazioni sognate dallo scrittore americano – che la immagina sfrecciare nei cieli degli Stati Uniti del futuro.

A un certo punto della fuga il nostro eroe si preoccupa di chiamare la moglie per informarla che non tornerà a casa per il pranzo. E così scende di quota, abbassa il finestrino e con la testa fuori dall’abitacolo cerca una cabina del telefono. Una cabina del telefono mentre viaggia con un’auto volante!

Pensate, uno dei più visionari autori di fantascienza ha immaginato un futuro con auto volanti e ogni genere di tecnologia innovativa, ma non gli è passato neppure per l’anticamera del cervello che tutti avremmo avuto in tasca un telefono.

Non colpevolizziamo troppo Heinlein, perché è in buona compagnia: sono state davvero poche le persone in grado di immaginare come il telefono portatile nel giro di pochi anni dalla sua diffusione si sarebbe trasformato in modo così radicale da diventare una nostra appendice in tutto quello che oggi ci serve, o almeno crediamo ci serva: essere connessi, scattare foto, giocare, informarsi… e pure telefonare.

Anche per i massimi esperti spesso è molto difficile riuscire a fare previsioni esatte. William Thomson era un barone inglese, celebre matematico, che nel 1895 affermava: “Le macchine volanti più pesanti dell’aria sono impossibili”.

Gli ha fatto eco Horace Rackham, l’avvocato di Henry Ford, che nel 1901 dichiarava: “Il cavallo resterà, l’auto è passeggera”.

E nel 1977 Kenneth Olsen, fondatore della Digital Equipment, si chiedeva: “Che bisogno ha una persona di tenersi un computer in casa?”.

Ancora nel 1981 Bill Gates – che non ha bisogno di presentazioni – sembra abbia assicurato che “640 Kilobyte sono sufficienti per chiunque”. Oggi, 40 anni dopo, avete presente che cosa ce ne faremmo di 640 Kilobyte…

Torniamo all’auto volante di Heinlein, quell’auto senza un navigatore satellitare che indicasse la presenza di cabine telefoniche nei dintorni e della quale lo scrittore non ci ha specificato il tipo di alimentazione… Anche se probabilmente aveva un’autonomia illimitata e una velocità prossima a quella della luce grazie a un granello di qualche elemento transuranico piazzato sotto il sedile.

Lo abbiamo detto, dal 1940 a… ieri, le auto sono molto cambiate: nella forma, nelle dotazioni e nella tecnologia, ma di fatto hanno sempre mantenuto uno schema tutto sommato costante. Hanno quattro ruote, sedili anteriori e posteriori, un volante e soprattutto un motore termico.

Possiamo tranquillamente affermare che nel Novecento la libertà di movimento individuale si è identificata con la diffusione di questo tipo di veicolo, dotato di quattro ruote e di un motore. Un motore, tra l’altro, che fa un sacco di rumore ed emette sostanze inquinanti.

Oltre alla cosiddetta democratizzazione del mezzo di trasporto grazie a vetture sempre più prestazionali e sicure (e allo stesso tempo tutto sommato alla portata di tutti), negli anni l’enorme diffusione delle autovetture ha permesso una forte crescita industriale e la conseguente notevole concentrazione di grandi masse di persone nei centri cittadini, vicino al lavoro.

Oggi il 56 per cento della popolazione mondiale vive nei grandi agglomerati cittadini, che secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente ricoprono solo il 3 per cento della superficie del pianeta. E nel 2050 alcuni autorevoli studi ritengono che oltre il 68 per cento di noi vivrà nelle città.

Sono circa 500 le megalopoli nel mondo con più di un milione di abitanti e qualcuna (per esempio Shanghai, Pechino, Lagos, Delhi, San Paolo, Città del Messico….) supera i 20 milioni. E secondo le Nazioni Unite queste 500 città rappresentano circa il 70 per cento del consumo energetico mondiale.

È evidente che con questi ritmi di crescita non è sostenibile continuare con l’uso dell’energia che, nel secolo scorso, ci ha permesso di raggiungere i livelli attuali di benessere, almeno in buona parte del pianeta.

Prima che sia possibile sfruttare l’immensa energia che produce il Sole, dobbiamo trovare un’alternativa. In effetti, sarebbe perfetto catturare tutta l’energia del Sole di giorno, accumularla e poterne usufruire anche di notte, visto che la nostra stella ha una capacità energetica praticamente infinita.

Ogni ora la Terra riceve dal Sole circa 430 Exajoules di energia, una quantità pari al consumo di un anno di tutti gli esseri umani. E se fosse possibile installare nel Sahara un parco fotovoltaico in un’area quadrata con lati di 50 chilometri, il fabbisogno energetico annuale di tutta Italia sarebbe soddisfatto. Stiamo parlando dello 0,03 per cento della superficie del deserto, oppure della superficie di due città come Roma.

Il Sole produce ogni secondo 400 milioni di milioni di milioni di milioni di Watt, un valore impossibile da comprendere per il nostro cervello. Ebbene, uno solo di questi milioni di Watt basterebbe a soddisfare negli Stati Uniti il consumo di energia di un anno.

In pratica, un solo secondo di energia irradiata dal Sole (interamente “catturata” da una qualche enorme batteria piazzata in qualche parte del pianeta) sarebbe abbondantemente sufficiente a soddisfare il fabbisogno di energia mondiale per milioni di milioni di milioni di milioni di anni.

Un bel tema da affrontare per gli eredi di Heinlein.

Abbandonando queste ipotesi al momento irraggiungibili e tornando ai problemi ambientali che affliggono oggi il nostro pianeta, appare evidente che ripensare la mobilità è un dovere impellente, insieme con il fatto che la forte spinta mediatica, sotto la pressione dei cambiamenti climatici in atto, ha portato a una valutazione diversa di ciò che ancora oggi rappresenta uno dei principali vettori della mobilità: l’automobile.

Aggiungendo gli effetti della pandemia e anche del conflitto in Ucraina, questo cambiamento parzialmente già in atto è diventato molto più rapido. In pratica, oggi siamo al centro di una grande transizione che cambierà radicalmente il modo di concepire la mobilità. Si tratta di uno scenario inedito per la nostra civiltà, viviamo in un mondo in costante cambiamento, dobbiamo affrontare significativi problemi ambientali e pensare a un nuovo sistema di mobilità.

Il passaggio a una mobilità sempre meno termica e più elettrica pone degli indubbi problemi di disponibilità dell’energia. Basta pensare a quando tutti i veicoli elettrici che circoleranno in Europa, che si stima saranno 50 milioni nel 2030, saranno fermi più o meno alle stesse fasce orarie: di notte nei garage e sotto le case, di giorno presso gli uffici.

Questo significherà gestire picchi di domanda di energia per ricaricarli, e potrebbe creare seri problemi. È stato calcolato che 50 milioni di veicoli connessi alla rete nello stesso momento sono paragonabili a 18 volte la capacità energetica dell’Italia o al 70% della capacità installata che l’Europa avrà nel 2030.

Questo potrebbe creare un problema alla rete energetica, soprattutto in presenza delle rinnovabili, che non garantiscono stabilità e continuità di fornitura.

È ormai operativa una tecnologia che sfrutta i veicoli elettrici collegati alla rete energetica per offrire servizi di regolazione, trasformando le auto in una sorta di enorme accumulatore di energia distribuita in campo, a disposizione della rete.

Le auto vengono utilizzate in media per circa il 5 per cento della giornata e quando i veicoli elettrici sono parcheggiati non ci sono problemi a permettere alla rete di utilizzare la loro energia, che può essere restituita senza problemi in un secondo tempo.

Non è una tecnologia pensata da Heinlein ma esiste, si chiama Vehicle-to-Grid. Un sistema di questo tipo messo a punto da Free2move eSolutions è operativo nel parcheggio logistico del Drosso, all’interno dello stabilimento Stellantis di Mirafiori. Dopo un “pilota” attivo da un paio di anni, a gennaio l’impianto offrirà 30 megaWatt di potenza con oltre 600 auto collegate bidirezionalmente alla rete.

Gli utilizzatori delle auto elettriche che forniranno il servizio alla rete energetica riceveranno in cambio denaro o un rimborso sulle ricariche. Mentre l’operatore energetico non sarà così costretto a dover costruire infrastrutture per garantire la stabilità della rete, evitando investimenti giganteschi e lunghi tempi per eseguirli. La disponibilità di questa tecnologia offrirà l’opportunità di disporre in Europa di un’unica grande e virtuale flotta di auto interconnesse alla rete.

La forte crescita del numero di auto elettriche permetterà una diffusione di questa tecnologia, portando indubbi vantaggi. Ma questo sensibile aumento creerà un altro grande punto d’attenzione. In Europa si ipotizza che le vetture elettriche nei prossimi 10 anni aumenteranno di 26 volte, con la domanda di energia che passerà dagli attuali 0,2 a più di 9 TeraWatt ora.

L’enorme crescita di auto elettriche circolanti porrà anche altri problemi, come la necessità di ricaricare rapidamente i mezzi, in quanto la sosta notturna o al posto di lavoro potrebbe non bastare più. E quindi l’aumento delle stazioni di ricarica rapida deve essere altrettanto veloce.

Alcune previsioni affermano che per essere allineati alla crescita del parco circolante, i punti di ricarica nell’Europa del Sud devono aumentare del 90 per cento, fino a diventare 240 mila entro il 2030.

Queste ricariche veloci saranno necessarie perché gli automobilisti elettrici che si sposteranno per lunghe percorrenze non potranno aspettare ore per ricaricare, ma devono approfittare di una pausa caffè in un autogrill per garantire la ripresa in tranquillità del viaggio.

Se le lunghe e insostenibili soste non saranno evitabili, la conseguenza sarà un calo di richiesta delle vetture elettriche da parte dei clienti. Nessuno comprerà un’auto elettrica se per un viaggio da Torino o Milano a Roma si sarà obbligati per ricaricare le batterie a 4 o 5 ore di una o più soste.

Ricarica veloce significa oltre 100 kW, una potenza che in meno di un’ora può garantire distanze molto lunghe, oltre 400 chilometri, a seconda del modello dell’auto.

Il tutto nel rispetto del “Fit for 55”, il pacchetto climatico varato a luglio dalla Commissione Europea, che prevede di raggiungere entro il 2030 gli obiettivi del Green Deal (con una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 55 per cento rispetto ai livelli del 1990) e con l’obiettivo di arrivare alla “carbon neutrality” nel 2050. Per rispettarlo, il 100 per cento delle auto di nuova immatricolazione dovrà essere a zero emissioni.

Uno dei protagonisti dei prossimi anni nell’allestire impianti fast charging in Portogallo, Spagna, Francia e Italia sarà Atlante, società nata da poco che intende essere uno dei principali attori nel mettere a disposizione di tutti gli automobilisti elettrici punti di ricarica ogni 60 chilometri, che consentiranno di riprendere il viaggio in fretta e con il minimo impatto ambientale anche per quanto riguarda la ricarica.

Questo scenario a medio termine fornisce sufficiente consapevolezza che con i giusti investimenti e sempre ponendo l’attenzione al consumatore finale la mobilità elettrica diventerà davvero una realtà, più presto di quanto possiamo immaginare oggi.

Speriamo soltanto che questa consapevolezza sia frutto di una previsione più azzeccata di quella che fece Napoleone alla vigilia della battaglia di Waterloo: “Wellington è un pessimo generale, prevedo la vittoria entro l’ora di pranzo”.

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