…ciao, ciao Milano

Inaspettata la pantomima del cambio di nome dello Sport Utility compatto dell’Alfa Romeo.

Dapprima battezzato con il nome di Milano, dopo un pubblico sondaggio, con una sontuosa presentazione nel capoluogo lombardo con l’intervento della stampa specializzata e di Tv. Poi il ridicolo battesimo (che mai avrebbero approvato i compianti Sergio Marchionne, amministratore delegato del Gruppo Fiat, uno degli uomini centrali per l’auto di inizio XXI secolo  e il presidente Alfa Anni Sessanta Giuseppe Eugenio Luraghi) che ha partorito il nome Junior.

In una delle settimane più importanti per il futuro dell’Alfa, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, il messinese Urso ha evidenziato che l’utilizzo del nome Milano scelto dal marchio è vietato per legge sin dal 2003 (per evitare indicazioni che possano indurre in errore il consumatore) visto che il Suv viene costruito a Tichy in Polonia insieme a Fiat 600 e Jeep Avanger.

“Costruirla in Italia avrebbe significato farla pagare 10 mila euro in più” – ha sottolineato Carlos Tavares, Ceo di Stellantis. “Siamo consapevoli che questo episodio rimarrà inciso nella storia del brand – ha spiegato Jean Philippe Imparato, CEO Alfa Romeo – e la scelta del nuovo nome Junior è del tutto naturale, essendo legato alla storia del marchio. Decidiamo di cambiare, pur sapendo di non essere obbligati a farlo, perché vogliamo preservare le emozioni positive che i nostri modelli generano da sempre ed evitare qualsiasi polemica”.

Per Stefano Odorici, presidente Associazione Concessionari Italiani del Gruppo FCA, “Junior come Milano, sono nomi bellissimi che affondano le proprie radici nella storia del Marchio”. “Alfa ha una storia che va rispettata” ha evidenziato il capo del design Alejandro Mesonero-Romanos. Quali le origini del nome Junior?

Dopo il successo della Giulia e della sua versione coupè Giulia Sprint GT, disegnata da Giugiaro per Bertone, l’obiettivo di Alfa Romeo era quello di calamitare una vettura esclusiva ed il 26 settembre 1966 venne presentata a Balocco la GT 1300 Junior capostipite di una nuova generazione Alfa. La principale variante meccanica era l’impiego di un motore bialbero di 1290 cc da 89 cv e da 170 kmh con una carrozzeria che voleva ammaliare una clientela giovane (92 mila gli esemplari venduti).

Nella nuova Junior spicca lo scudetto del frontale che ha il Biscione riprodotto graficamente nelle versioni più sportive o in alternativa la firma Alfa Romeo in diagonale. Interni sportivi, colori scuri con l’Alcantara protagonista negli allestimenti più chic, quadro strumenti racchiuso nei due elementi circolari, nuova impostazione della consolle con il display dell’infotainment orientato verso chi guida. Una Junior ibrida (29.900 euro) con motore 1.2 tre cilindri a benzina di derivazione Peugeot, 136 cv con la possibilità di disporre della Q4 a fine anno o elettrica (39.500 euro) con batteria da 54 kWh, 410 km di autonomia e due potenze di 154 o 240 cv.

Una Junior già ordinabile e che rientra negli incentivi. Ci sarà anche una Edizione Speciale che offre di serie la guida autonoma di livello 2, cerchi da 18 pollici. La Junior è lunga 4,17 metri, larga 1,78 ed alta 1,5 metri, sbalzi corti, passaruota muscolosi, design coda tronca derivato dalla Giulia  TZ, fari integrati in una fascia lucida a tutta ampiezza che diventa spoiler. Con il cambio di nome da Milano a Junior non si allunga l’elenco delle auto con nome di città.

Come non ricordare l’Alfa Romeo Montreal, un coupè stradale a due posti più due, costruito dal 1970 al 1977 in 3925 esemplari ed assemblato da Bertone a Torino con lo stile di Marcello Gandini: sostituiva la 33 stradale. Nel 1967, anno in cui cadeva il centenario  della Federazione Canadese, tutte le nazioni furono presenti all’Esposizione di Montreal.

Il presidente Alfa Romeo, Giuseppe Luraghi, incaricò l’ufficio tecnico guidato da Satta Puliga e Busso, di realizzare l’autotelaio, affidando a Bertone lo stile. Un prototipo in grado di ospitare sia il motore della Giulia, sia il 2 litri V8 della 33. I due prototipi (battezzati Montrealine”) inviati all’Expo canadese costituivano una “prova d’artista” da esporre nei vari Saloni dell’auto avevano una potenza di 130 cv.

Nel 1970 a Ginevra venne esposta la versione definitiva del coupè. Ampia la gamma di colori fra cui pastello blu medio, verde, rosso cina, arancio e nero, tinte metallizzate argento, marrone, arancio oro e verde. Cilindrata definitiva di 2593 cc, iniezione meccanica SPICA (invece che Lucas), cambio meccanico 5 marce ZF invertito. Le versioni da corsa disponevano di 340 cv. Da questo motore fu derivato anche un propulsore entrobordo per le gare marine, che vinse i campionati mondiali ’71, ’73, 74′ e 75′. Purtroppo la produzione in serie della Montreal fu penalizzata dalla crisi del petrolio.

La GT Ferrari Roma era un modello che evocava i tempi, Anni 50 e 60, della “Dolce Vita”. Sfoggiava un design senza tempo, offriva una guidabilità raffinata con prestazioni di assoluta eccellenza. Stile unico, un modello che interpretava il lifestyle della città di Roma tipico degli Anni 50-60.

La Ferrari Portofino era un cabriolet con un motore V8 biturbo di 3855 cc che accelerava da 0 a 100 kmh in 3,4″, 620 cv, cambio robotizzato doppia frizione a otto rapporti, uno in più della vecchia Portofino . Poi la “M” di Modificata era dotata del filtro antiparticolato ma il sound era tipico di Maranello. Motore dal suono vigoroso, con un biturbo 3,9 litri, che offre viaggi in souplesse. Hard top in metallo ben integrato nelle forme della carrozzeria, paraurti anteriore che integra prese d’aria laterali maggiorate, nell’abitacolo impostazione classica con il contagiri analogico al centro del cruscotto e un grande display da 10″25, sedili ventilati e riscaldabili, cruise control adattativo, riconoscimento dei segnali stradali, bastano 142 per ripiegare il tetto in alluminio dietro ai passeggeri posteriori.

Poi le Chevrolet Malibù (una mid-size che sostituiva la Chevelle con un nome che deriva dall’omonima località californiana con diversi tipi di carrozzeria, berlina 4 porte, familiare 4 porte, coupè due porte e cabriolet due porte, c’era anche una SS con motori 6 cilindri o V8) e Tahoe (quest’ultimo Suv chiamato così per ricordare il lago che scorre lungo l’omonima località della California: era un Sport Utility Vehicle prodotto dal 1995) ed ancora Beretta, Corsica ed Epica, la Chrysler Pacifica, la Kia Rio, Sedona e Ibiza, le Hyundai Santa FeMC Yukon, l’Opel Monza coupè, la Ford Gran Torino e Puma, la Cortina degli Anni ’60, il coupè Capri, la Toyota Sienna, la Fiat Siena (versione a tre volumi della Palio), le versioni Modena delle Maserati Grecale e Granturismo (il Suv porta una nuova ondata di tecnlogia, prestazioni ed innovazioni di design.

Due i motori: un 2.0 mild hybrid 300 o 330 cv con turbo e compressore elettrico ed il possente 3.0 V6 biturbo da 530 cv derivato dalla supercar MC20. Maserati ha lanciato il Suv Grecale sulla base di tre allestimenti (GT, Modena e Trofeo) con una versione elettrica Folgore. Secondo Maserati Grecale GT “parla di suggestioni urbane, fatte di un minimalismo contemporaneo, per i cittadini del mondo attenti alle tendenze con uno stile che si fa personale”.

Ma non solo nomi di città dunque per le vetture che circolano sulle strade del mondo. Altre Case hanno scelto il nome dei venti, in particolare quello che spira dal Sahara verso le coste libiche, come la Maserati che per la berlina Ghibli o la Volkswagen per la berlina Vento o per il coupè Scirocco o la berlina Bora.

Lamborghini ha evocato il mondo della tauromachia, Fiat si è ispirata alle monete del passato per battezzare i veicoli commerciali Fiorino, Talento e Ducato, agli animali per la Panda. Mercedes ha sposato la politica delle lettere come la Classe E, Mazda ha scelto i numeri per la sua vettura 3 ed ancora per la berlina di fascia alta ha optato per il nome Luce, per un van ha scelto Bongo, per una sportiva ha puntato su Cosmo e per due berline ha scelto Familia e Capella, la Lancia ha scelto un termine di senso compiuto per la Musa, l’Opel si è affidata alla Corsa, all’Agila e alla cabriolet Tigra, al pick up Campo, al coupè Manta, alla berlina Omega ed all’Astra.

Nissan si è affidato ai nomi Cima, Fuga, Gloria, Largo, Serena Stanza, Fuga, Murano, Note e Versa. Honda ha lanciato, con terminologia italiana i modelli Mobilio, Concerto e Domani. Toyota per una delle sue monovolume a motore centrale ha scelto il nome Previa ispirandosi al termine previdenza, ma poi si è sbizzarrita nella terminologia delle sue popolari berline con i nomi Carina e Corona ed ancora Avanza, Innova, Passo, Porta, Premio e Verso. Daihatsu ha affibbiato nomi italiani alla propria produzione come Compagno, Consorte, Domino, Materia, Mira, Sonica, Storia, Tanto, Cuore, Esse ed il furgone Delta.

Suzuki aveva un debole per le parole italiane ed ecco la sportiva Cappuccino, Alto, Baleno, Cara, Cervo, Liana, Nomade, Escudo, Palette e Samurai. Isuzu aveva lanciato modelli come Como e Piazza ed insieme ad Italdesign chiamò Asso di cuore un inedito e intrigante prototipo. Mitsubishi aveva puntato sui nomi Carisma, Celeste, Diamante, Libero, Nativa, Pistacchio e Strada. Vanno poi ricordate le Austin Allegro, Marina e Maestro, la Rover Metro, la Ssangyong Tivoli.

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