Il problema Mirafiori

I sindacati, uno in particolare, la Fiom, la mettono in termini di sicurezza dei posti di lavoro e fanno il loro mestiere.

Ma la questione di Mirafiori è più complessa e rimanda ad altri problemi che si aggiungono a quelli occupazionali e per alcuni aspetti ne sono alla base.

In quello che è stato lo stabilimento storico della Fiat, oggi FCA, lavorano attualmente poco meno di 13 mila persone di cui un terzo alle carrozzerie, al montaggio e alle presse, un altro terzo ai servizi centrali e gli altri fanno parte dei cosiddetti esternalizzati.

Vi si producono il suv Levante e la piccola Alfa Romeo, ovvero la Mito che è prossima al capolinea. La piena occupazione, più volte promessa da Sergio Marchionne, come obiettivo per il 2018, per il momento non sembra essere assicurata. Questa incertezza deriva dal fatto che non è decollata, come pure era stata assicurata e come sembrava realizzabile, l’operazione polo del lusso.

Quando nello stabilimento di Grugliasco è cominciata la produzione della Maserati si dava per scontato che un asse con Mirafiori avrebbe potuto assicurare a Fiat quella presenza nel settore delle vetture di alta cilindrata di cui era deficitaria. Per fare questo salto la strada era quella della produzione del Levante seguita però da un altro progetto che era poi quello che avrebbe dovuto garantire  una nuova vita alla Mirafiori.

Il secondo passo non c’è stato. C’è chi sostiene che qualche annuncio in questa direzione possa esserci in occasione del salone di Detroit. Ma si tratta di voci. Senza contare che, se così fosse, prima dell’avvio concreto della produzione di un nuovo modello passerebbero da dodici a quindici mesi e dunque non se ne parlerebbe prima del  2019.

A settembre prossimo si esauriranno gli ammortizzatori e per i lavoratori che già da tempo passano da una settimana all’altra di cassa integrazione saranno problemi seri. Certo, è possibile immaginare, ed è sperabile anche, che ci siano delle deroghe, ma questo non risolve la questione del futuro. Va poi messo in conto che nel corso di quest’anno, come più volte annunciata, potrebbe esserci la decisione di Sergio Marchionne di chiudere la sua esperienza in Fiat. Non si può escludere che questa scelta venga ulteriormente spostata nel tempo. Ma anche così, il problema Mirafiori rimane e sarà un argomento che col passare del tempo è destinato a caricarsi di una certa urgenza: se lo si osserva da Torino e dall’Italia.

Che non è come osservarlo da Detroit.

2 commenti
  1. Gian Marco Barzan
    Gian Marco Barzan dice:

    Speriamo venga assegnato a Mirafiori il SUV Maserati più compatto del Levante, oppure il SUV Alfa Romeo un gradino più in alto dello Stelvio.

  2. Filippo
    Filippo dice:

    Ciao leggo sempre i tuoi articoli su “Repubblica”. E leggo anche quelli di Berta. Mi sorprende che nessuno faccia un paragone con quanto fatto da Porsche negli ultimi due decenni. O che non “suggerisca” la creazione di condizioni per far venire a Torino altri costruttori. Porsche fa segnare ogni anno nuovi record di vendita. Ha una rete eccezionale e una gamma completa. L’ultimo suo prodotto, il Macan, è stato subito un successo. Mi sembra che Maserati stenti perché non ha gamma prodotto simile (comprendente tra l’altro due berline a 4 porte quasi gemelle) e una rete di vendita non all’altezza. Idem per Alfa Romeo: gamma ancora debole e scarsa capacità di “sfondare” all’estero. Ma, ripeto ancora una volta, non comprendo come mai quando si parli di automotive a Torino (e quasi sempre lo si fa parlando di Mirafiori) non si faccia nemmeno un accenno alle immense possibilità che il nuovo periodo dell’automobile (veicoli elettrici e guida autonoma) potrebbe regalare ad un territorio denso di capacità come quello torinese.

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