(Più di ) sette domande sulle auto del caso Moro

A volte succede che da un incontro casuale con un amico vengano fuori delle idee inaspettate.

E questo è il caso, e questo amico è Luciano Borghesan, un noto giornalista competente e appassionato di vicende politiche. Con cui abbiamo scritto a quattro mani l’articolo che segue, senza questo incontro non avremmo scritto il pezzo che segue:

Sono passati 45 anni, e il caso Moro ancora fa parlare: molte le zone d’ombra di un tragico evento che è stato al centro del dibattito storico e politico del nostro Paese, non meno di quanto l’assassinio del presidente Kennedy lo sia stato per gli Stati Uniti.

E tra le mille angolazioni per guardare il caso Moro, tra le mille dietrologie, c’è anche quella automobilistica.

Una prima osservazione evidente: quelle di via Fani sono le auto del Palazzo:

Fiat 130, Alfetta, Fiat 128 familiare e berlina, Fiat 132, sembra uno spot pubblicitario, via Fani è un set cinematografico per il maggiore costruttore nazionale.

Sono auto che parlano anche senza volere.

Potere governativo e contro-potere antigovernativo, se c’è una cosa che accomuna Moro e i sequestratori sono le automobili presenti sulla scena del rapimento.

Come se l’organizzazione fosse stata affidata a un unico referente, e di conseguenza la logistica delle automobili, proprio come in una produzione cinematografica.

Siamo nel 1978, marzo.

A dieci anni dal maggio francese.

E al collegamento Italia- Francia conducono indizi e vite e auto.

Sono una dozzina in tutto le auto coinvolte nel sequestro Moro.

Foto e dna di ciascuna vettura hanno riempito le cronache di tv e giornali in quarantacinque anni, con milioni di contatti.

Ma possono le auto contribuire a completare tasselli mancanti?

A volte anche gli oggetti di una scena del delitto “parlano ” più dei colpevoli.

Ci sono stati dei ragionamenti nella scelta dei marchi utilizzati per il sequestro ?

O è solo casuale ?

I mezzi utilizzati dai brigatisti risultarono essere tutti rubati, ma perché proprio quelli?

Moro e la scorta viaggiano su una Fiat 130 e su una Alfetta.

Auto di marche italiane com’era nella volontà prioritaria dello Stato per questione di immagine verso i produttori nazionali.

Anche i terroristi si servono di vetture nostrane, in particolare di tre 128, forse per dare meno nell’occhio e perché consentivano di essere immediatamente riconosciute dai complici vestiti da avieri al momento della sparatoria.

La prima delle 128 ha una targa CD, Corpo Diplomatico.

Le marche straniere?

Non mancano, ma più defilate: da un lato della strada compare una Austin Morris, dall’altro una Mini Cooper, entrambi modelli inglesi, parcheggiate lì.

Subito dopo lo scontro a fuoco, Morucci racconta che Aldo Moro viene caricato su una Fiat 132, e poi trasbordato su un Fiat 850T dove viene rinchiuso in una cassa di legno.

Altri due mezzi italiani.

Infine, scatta l’auto-coinvolgimento francese. Due bierre affiancano il furgone nel tragitto verso il luogo della detenzione su una Citroen Diane, entrambi i veicoli si infilano in un parcheggio dove la cassa con l’onorevole viene caricata su una Citroen Ami 8.

Tutte Marche che appartengono oggi – ironia della storia – allo stesso Gruppo Automobilistico.

La tragica fine di Moro viene eseguita poi dai brigatisti dopo 55 giorni, il 9 maggio, su una Renault 4, posteggiata davanti a Palazzo Caetani. Altra francese, l’unica vettura rosso sangue di questa storia che ha segnato il destino politico dell’Italia.

Vediamole queste “comparse” nel dettaglio e un po’ più da vicino, di provenienza Italia, Inghilterra e Francia.

 

1- La 130 nera : auto del Presidente della DC, interni panno beige, non era blindata perché il presidente Moro non l’aveva voluto. Per non sentirsi privilegiato si diceva, ma nelle sue lettere si lamenta dell’insufficienza della protezione accordatagli.

Il progettista è Dante Giacosa insieme ad Aurelio Lampredi per il motore (Ferrari).

È un auto signorile dal motore potente, in versione anche con cambio automatico, una sorta di Mercedes italiana, si ricorda quella dell’ Avvocato Agnelli che usa in montagna, versione St Moritz, con il cestone di vimini sul tetto.

Facciamo caso agli accessori: fari antinebbia Carello e ruote in lega Cromodora.

Unica auto altrettanto inquadrata nella storia italiana è quella del giudice Falcone e della scorta.

Domenico Ricci guidava la 130, e Oreste Leonardi, il capo scorta, era al suo fianco. Entrambi Carabinieri.

 

2 – L’ Alfetta bianca: l’auto della scorta che tampona la 130 di Moro in via Fani è l’erede della Giulia, ha cambio posteriore e motore anteriore

Quell’idea del cambio dietro col differenziale e dei freni a disco all’interno dei semiassi, all’altezza degli organi meccanici, era una soluzione d’avanguardia per un’auto di serie.

Distribuzione dei pesi ottimale, tenuta di strada eccellente e motore bialbero: il miglior al mondo di quella categoria

Tra l’altro era anche comoda e con un gran bagagliaio, dove i tre poliziotti di scorta  avevano messo i mitra.

Francesco Zizzi guidava l’Alfetta, al suo fianco Giulio Rivera e dietro Raffaele Iozzino, l’unico che tentò di reagire.

Tutti e tre agenti della Polizia di Stato.

 

3 – La 128 familiare chiara 

L’ auto dei brigatisti che taglia la strada e poi frena e viene tamponata dalla 130 .

Progettata da Dante Giacosa, è un’ottima auto, leggera e potente. Sicuramente pop: una Golf italiana.

Una macchina da lavoro, molto spaziosa all’interno rispetto alle dimensioni esterne.

La targa Corpo Diplomatico fu messa perché il carabiniere alla guida della Fiat 130, vedendola, rimanesse del tutto tranquillo.

 

4 – La 132 Blu nera, interno rosso, dove far salire Moro, con i brigatisti a fianco.

Gode il suo momento di notorietà perché comoda e spaziosa.

In realtà è l’indegna erede della fantastica Fiat 125.

Un “bidone”, la 132, a detta di alcuni specialisti di auto.

 

5-6- La 128 nera o blu dove salgono gli ultimi membri dell‘agguato, dopo aver recuperato la borsa di Moro

C’è inoltre un’altra 128 che segue la 132, questa volta chiara.

Auto diffusissime e usate spesso come auto civetta dalla Polizia.

La 128 è stata la prima Fiat a trazione anteriore e motore trasversale.

Agilissime nel traffico cittadino, avevamo quel motorino “super quadro” (con alesaggio maggiore della corsa) progettato da Dante Giacosa che non finiva mai di salire di giri: 6.200, 6.600, 7.200.

Che storia industriale!

Allorché la Volkswagen dovette progettare la Golf convocò Giugiaro, e questi si ritrovò in un capannone con una Fiat 128 smontata bullone per bullone.

I signori tedeschi volevano imparare dalla Fiat come si costruiva una macchina di quella categoria, così geniale.

Ancora un dettaglio: mentre le BR la privilegiavano,  quelli di Prima Linea, preferivano la Simca 1000, trazione posteriore e motore posteriore a sbalzo.

 

7- Il “furgone piante e fiori” quella mattina non c’è, e sarebbe stato il testimone . Di notte gli avevano bucano le gomme.

È un Ford Transit.

Il signor Spiriticchio, il proprietario, era incavolato come una furia per aver perso la giornata lavorativa, non sapeva che in quel modo non era rimasto – fortunatamente per lui – esposto al conflitto a fuoco.

 

8 – Il furgone Fiat 850, tipico veicolo commerciale italiano, che di casse e di merci ne ha portate di ogni tipo, non avrebbe mai pensato certo ad una cassa con dentro il Presidente Moro, nel tragitto verso il covo dove sarebbe rimasto poi prigioniero.

 

9-10 Anche le marche straniere, inglesi in questo caso,  sono in via Fani: da un lato compare una Austin Morris, dall’altro una Mini Cooper, entrambi modelli inglesi. E, si sa, che gli anglo-americani (come anche l’URSS) non erano favorevoli al governo DC-PCI che stava per nascere a Palazzo Chigi.

 

Veniamo infine alla provenienza Francia

11-12 Citroen Diane e Ami 8 

Altre notizie dal rapimento ci portano al coinvolgimento francese: due bierre affiancano il furgone nel tragitto verso il luogo della detenzione su una Citroen Diane, entrambi i veicoli si infilano in un parcheggio dove la cassa viene caricata su una Citroen Ami 8.

 

13- La Renault 4 rossa.

È storica l’immagine nella quale il corpo senza vita di Aldo Moro giace all’interno del bagagliaio della Renault 4 rossa targata Roma N57686, rubata pochi giorni prima  e fatta ritrovare dalle Brigate Rosse in via Caetani, a poca distanza da piazza del Gesù e da via delle Botteghe Oscure.

Una delle immagini più drammatiche della storia della Repubblica.

La R4 ci porta direttamente in Francia.

È un’auto che in qualche modo ci ricorda il maggio francese.

Pensiamo a tutti i collegamenti con la Francia che ospiterà, garantirà l’immunità ai brigatisti italiani negli anni a venire.

Torna in mente la dottrina Mitterand che consentirà a molti terroristi di rifugiarsi a Parigi.

R4: una della auto preferite dai “proletari ” nostrani: pratica, essenziale, spartana e spaziosa.

E’ l’unica vettura rosso sangue tra quelle che abbiamo raccontato.

Perché anche i cromatismi hanno un loro significato: dall’auto blu del Palazzo all’auto rossa proletaria, in questi 2 colori e in queste 2 Marche automobilistiche è racchiusa la tragica parabola del presidente Moro. Costruttori nazionali, e internazionali, intrighi locali e trame internazionali. Più allarghiamo il campo e più troviamo firme con inchiostro indelebile.

Davvero tutte casualità?

(In rispettosa memoria di Aldo Moro e degli uomini della scorta uccisi nell’agguato di via Fani: Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino. Per continuare a ricordare). (la fotografia è de Il sole 24 ore)

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