Porsche Cayenne GTS, la leggenda continua

Un cognome importante, un nome discusso, una sigla evocativa: elementi per arricchire con esperienze di guida nordica, il test di una vettura sempre molto particolare

Sgombro subito il campo da dietrologia e sospetti, dichiarandomi: sono porschista. Anzi, ancor più grave, in realtà tra gli accoliti ci definiamo “porscheisti”, giusto per la purezza terminologica e la fedeltà alle origini, anche linguistiche. Con un “outing” di tale portata, mi accingo a raccontare – partendo un po’ da lontano, come si conviene alle leggende – la prova dell’ultima Cayenne, la GTS, sulle nevi della Lapponia svedese.

Non prima di una breve introduzione sulla saga (per restare in tema nordico) Cayenne in generale: mai Porsche fu così discussa, attaccata dai detrattori e disprezzata financo dagli appassionati, specialmente i più ortodossi, i fedeli alla linea del motore boxer posteriore, meglio se raffreddato ad aria.

Personalmente, unendo due passioni, una delle quali già dichiarata, e l’altra per le fuoristrada, all’uscita della prima serie ero felice che Porsche costruisse la sua seconda offroad (dopo la rarissima 597 prodotta in soli sessantasei esemplari), considerate anche le vittoriose esperienze dakariane. Nasce così Cayenne, che introduce nel settore la guidabilità di una coupé, con la possibilità di praticare fuoristrada estremo, solo montando gomme adatte: prove che, naturalmente, io ho fatto. Nel giro di qualche anno, Cayenne diventa la Porsche più venduta di tutti i tempi, sconfiggendo i vaticini di chi annunciava la fine del marchio e la consueta svalutazione di tutti i modelli con motore anteriore.

Certo che oggi, guardando il musetto tondeggiante della prima serie si è presi da una certa tenerezza, eppure quell’auto dall’aspetto ingenuo ha innescato una saga che continua, di successo in successo. Come con la seconda serie, slanciata e filante, dall’aspetto più compatto nonostante le maggiori dimensioni, alla quale seguono le versioni speciali, con la recente presentazione, in contemporanea, di Cayenne Turbo S e GTS.

Trascuro la prima, potentissima V8 da 419 kW-570 CV, per la seconda, attratto già dalla sigla GTS, che identifica Porsche molto speciali: impiegata per la prima volta sulla 904 Carrera GTS da corsa del 1964, è stata identificativa di modelli da gara, quindi di versioni prestazionali e dinamiche oltre i normali parametri del marchio.

Filosofia catturata anche da Cayenne e perennemente evoluta: l’ultima GTS infatti rivoluziona la meccanica, sacrificando il possente V8 da 4.8 litri della S per accontentarsi di un più compatto e leggero V6 da 3,6 litri, sovralimentato. Unità che dichiara 324 kW-440 CV a 6.000 giri (ma si possono tirare i 6.700), 600 Nm da 1.600 a 5.000 giri, con prestazioni di 262 km/h, 0-100 in 5,2″ (5,1 con pacchetto Sport-Chrono), consumi di 9,8 l/100 km, con funzione Start-Stop Plus automatica ampliata e funzione “veleggio”. Ottenendo il risultato, con sei cilindri invece di otto e con 1,2 litri in meno di cubatura, di erogare 20 CV e 89 Nm in più della precedente. Trasmissione automatica Tiptronic S a otto rapporti, con Porsche Traction Management per la gestione della trazione integrale attiva; la mappatura del motore controlla elettronicamente la frizione a lamelle regolando la copia, che di norma è posteriore, ma varia in continuazione verso l’anteriore. E ci sono diverse configurazioni offroad, che bloccano anche i differenziali trasversali in modo sequenziale.

Al volante la postura è da Porsche: blocchetto di accensione rigorosamente a sinistra del volante, cruscotto con strumenti tondi che riportano all’interno mille informazioni selezionabili dal volante, dove i comandi sono limitati e intuitivi. Un po’ troppi, invece, i tasti (peraltro ben ordinati) su consolle, plancia e imperiale, con simboli identificativi molto piccoli, o sarà la presbiopia dell’età?

Regolazioni di assetto con sospensioni anche sollevabili per il fuoristrada, di erogazione, di sportività fino alla tonalità di scarico: siamo su una GTS e si deve anche sentire.

Alla guida della nuova belva, si lascia la cittadina svedese di Skellefteå (che qui paiono pronunciare “scelefto”) per l’omonimo Drive Center, forse uno dei pochi che non avessi ancora visitato. Tanta neve attorno a strade spazzate ma non pulite, secondo la regola nordica che l’asfalto è più pericoloso di un buon fondo innevato o ghiacciato: purtroppo, per questioni di purismo Porsche, ai pneumatici invernali di qualità non accompagna la chiodatura: almeno leggera, sarebbe auspicabile, come si vedrà poi in pista.

Trasferimento guidando con limiti che variano fino a 90 km/h, quasi non sembra vero, con muri di neve ai lati che rassicurano, ma è meglio non eccedere, lasciando le velleità da piedi pesanti al Drive Center. Funzionale e ben organizzato, ha morfologia variata, dalla pianura alle colline, mentre non eccede in spazi infiniti come i laghi ghiacciati del grande Nord.

Aree per prove di trazione, di spunto in pendenza e in piano con massima accelerazione e successiva frenata, zone per cerchi sul ghiaccio, percorso curvilineo tra muri di neve, tracciato tra le foreste, e c’è persino una lunga curva ad ampio raggio per le riprendere immagini di lunghi, lunghissimi, sovrasterzi con angolazione moderata dall’elevata velocità. Fino al passaggio in galleria in una ex-cava, dove cordoli con led bianchi e rossi indicano la via.

Comincia la giostra: pressione sul pulsante per oltre tre secondi e si tolgono i controlli, regolazione di assetto e trazione secondo i gusti, e si scatta. Erogazione del motore, funzionalità della trasmissione e reattività dello chassis permetto di enfatizzare le capacità di guida. Senza voler fare il fenomeno, il passaggio al “pilotaggio”, usare più il gas (oltretutto come comando on-off) che lo sterzo elargisce soddisfazioni di controllo che poche auto di questa stazza possono permettersi. Anche se il fondo di ghiaccio lucido non consente recuperi di frenata in caso di errori, sempre possibili senza chiodi. Entusiasmante, per chi sulla neve ritorna bambino, l’esercizio dei cerchi concentrici: eccedendo via via nel traverso, si raggiunge una velocità angolare talmente elevata, che la percorrenza con il muso orientato verso il centro del cerchio permette di viaggiare in realtà anche leggermente indietro (con velocità di avanzamento lineare pari a zero o negativa) mentre il tachimetro indica valori (teorica velocità istantanea alle ruote) anche di 150 km/h.

Abbandonate le aree “ristrette” si scatena la dinamica di Cayenne GTS, che ribadisce l’origine corsaiola del concetto: sempre pronta a correre, con sicurezza e grande reattività, derivanti dal progetto mirato all’equilibrio strutturale e sostenuto dalla motricità. Sui percorsi più vari si corre anche con decisione, salvo poi rendersi conto che sul ghiaccio – che oltretutto sta “mollando” per la temperatura che incredibilmente sale anche a 6° oltre lo zero – la guida sportiva (specialmente senza chiodi) non è una formula matematica.

Traversi sicuri e piazzati si alternano a recuperi guizzanti da scivolate imprevedibili, e “lunghi” inattesi: anche cercando di prevenire sempre l’inserimento per limitare o evitare il sottosterzo, le scodate in uscita possono variare da un giro all’altro in modo apparentemente inspiegabile. Ma questo è il forse il bello del ghiaccio. Fascino che, guidando una Porsche, e specialmente una GTS, infonde sensazioni sempre memorabili. Anche con una Cayenne, invitando i detrattori del modello a provarla, prima di discuterla, fatti salvi i gusti personali, dei quali, come si sa “non dispuntandum est”.

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