Il ritorno (dopo l’ibernazione) di Alfa Romeo

Il ritorno sulla scena mondiale del marchio automobilistico italiano Alfa Romeo è ricco di significati. Anche se in tutti questi anni il Biscione non si è mai mosso dall’Italia, grazie alla resistenza di Sergio Marchionne, ad di Fiat Chrysler Automobiles, alle lusinghe e ai tanti (ma forse non abbastanza) soldi che il gruppo Volkswagen avrebbe messo sul piatto, il fatto che il 24 giugno ad Arese venga celebrato l’anno zero di questo brand, è come se il nostro Paese riscoprisse un tesoro che, seppur visibile e a portata di mano, fosse stato tenuto a lungo e senza una ragione congelato. Il prolungarsi di questo stato di ibernazione rischiava, infatti, di non far tornare più in vita uno dei marchi più amati nel mondo. Sono numerosi i brand italiani blasonati che hanno preso, soprattutto in questi ultimi anni, il volo. Al contrario, sono pochissimi quelli, sempre di grande valore e immagine, che hanno preso la strada del ritorno. Ecco perché la svolta di Alfa Romeo, con la presentazione della nuova Giulia, l’investimento di 5 miliardi, le stime di produrre 400mila modelli della nuova gamma entro il 2018, ha un enorme valore. Il Biscione ha già cominciato a scongelarsi e ai primi del 2016 sarà pronto per affrontare il pubblico. La linea di montaggio della fabbrica di Cassino tra poco comincerà a girare al massimo allo scopo di soddisfare la prevedibile domanda. E se domanda ci sarà, aumenterà il lavoro non solo per gli operai di Cassino ma per tutto l’indotto, con ricadute positive anche sugli impianti che sfornano motori e il morale di tutta la forza lavoro italiana del gruppo. Il ritorno di Alfa Romeo, la sfida più difficile che vede Marchionne protagonista, dovrà favorire anche la pace sindacale da parte di chi, come la Fiom, ha sempre e comunque trovato il modo di mettere il bastone tra le ruote ai progetti di rilancio. Qui, più che mai, è in gioco la credibilità dell’industria italiana, la sua capacità di fare bene, la sua affidabilità. Strumentalizzazioni o proteste sterili, ma capaci di incidere negativamente sulla produzione e sulla qualità, non farebbero altre che danneggiare il lavoro svolto nell’ultimo anno e nuocere all’immagine non solo del brand ma anche del Paese. “Qui, o si fa l’Alfa, o è finita veramente”, direbbe qualcuno.

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