C’era una volta il “Salone dell’automobile”…
Nell’era dei social e del trionfo (speriamo in bene) della telematica i saloni internazionali dell’auto, come quello che si è celebrato di recente a Parigi, hanno tanto l’aria di un’esibizione che, sia pure con tutte le trovate di progettatori e allestitori di eventi, rassomiglia da vicino a un reperto di altri tempi, lontani e per molti versi sconosciuti ai millennials dell’ultima generazione.
Per la verità il loro tramonto risale a un’epoca più remota che potrebbe essere datata con la nascita della televisione e il diffondersi di atri strumenti di comunicazione. Ma è vero che soltanto nell’ultimo ventennio si sono cominciate a spegnere le luci su alcune storiche rassegne: senza tanto clamore, quasi in sordina, nell’indifferenza dei più. Forse per esaltare la sua sopravvivenza Parigi non ha rinunciato alla sua grandeur e questo ha trasformato la vetrina francese in una sorta di palco sul quale misurare il differente grado di avanzamento tecnologico dei protagonisti, benchè tutti con lo sguardo rivolto al 2035 quando le nuove regole per la propulsione green stabiliranno la classifica di quelli che, come a scuola, si sono portati avanti con i compiti e di chi invece ha confidato in una improbabile provvidenza.
E già adesso, un occhio non distratto, ha potuto notare tra gli stand di Parigi, un diverso grado di velocità. Come dire che la seduzione dei modelli, intesa come design, che pure resta un fattore primario di fascino e attrazione, deve fare i conti con problemi energetici e ambientali non più eludibili e sul quale si sono segnalate già vistose differenze. Ed è su questo terreno che il discorso, pur rimanendo un problema di strategia industriale delle singole imprese, finisce per chiamare in causa le scelte di politica industriale dei vari paesi.
I tentativi di modificare quella scadenza del 2035 con rimozione della data e altri marchingegni fanno parte dello spettacolo. Come hanno ben compreso quanti hanno annunciato la messa sul mercato di un certo numero di auto elettriche, cosa che ha permesso di pesare, oltre alle capacità imprenditoriali, l’attenzione e la sensibilità dei governi vecchi e nuovi su un argomento che è già al centro della discussione politica naturalmente dove questa è affrontata con determinazione e non la medesima è frantumata in mille rivoli sparsi a caso tra un numero imprecisato di ministeri e sottosegretariati. Un rischio, quest’ultimo, che l’Italia deve dimostrare di essere in grado di evitare, meglio di come non ha saputo fare sinora e di come si ha ragione di temere possa fare col nuovo governo.
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