“Parlami di te”…e del tuo mondo fatto di automobili
A dar retta al sito Rearwindows.it (dal nome così promettente, è il titolo originale di “Finestra sul cortile”) la media delle auto presenti nei films è arrivata a diciotto: presenti a vario titolo, naturalmente, come protagoniste o co-protagoniste, oppure semplici comparse, in corsa su strada e su pista, vere o di fantasia, umanizzate o anonime. E non c’è da meravigliarsene: del rapporto profondo e immediato tra auto e cinema si sono occupati molti, ampiamente ultimi noi stessi in Autologia.net. (https://autologia.net/lautomobile-nel-cinema-quarta-parte/) Ma assistendo – con un po’ di ritardo – alla proiezione di “Parlami di te” di Hervè Mimran, si è presentata quasi da sé una piccola riflessione supplementare.
L’industria dell’automobile, la fabbrica fordista, hanno dato forma al ‘900: e con esse i loro creatori, spesso eponimi, e i milioni di donne e uomini che le auto le hanno pensate, prodotte, raccontate, vendute. Ma il cinema si è raramente occupato, affondandoci davvero le mani, di quel “mestiere da giganti “, come lo definì Gianni Agnelli, che qualcosa doveva saperne: la dinastia di Torino sarebbe una perfetta protagonista cinematografica. Ma gli unici due ricordi da cinefilo riemersi sono “Tucker” (https://autologia.net/un-uomo-e-il-suo-sogno-la-tucker-torpedo/) e “L’orgoglio degli Amberson”, di due maestri come Coppola e Welles. “Parlami di te”(e già il titolo doveva essere un segnale) è il film che Mimran ha tratto dal libro “J’etais un homme pressé” di Christian Streiff, a capo di Peugeot- Citroen dal 2006 al 2008, quando fu fermato dall’ictus. Il libro racconta la storia dei tre anni che servirono a Streiff per ritrovare la salute, la memoria e la parola.
Ma è anche il modo, come ha raccontato in varie interviste, di ringraziare tutte le persone, a cominciare dalla moglie, che hanno concorso a salvarlo. E per questa via Streiff può ripercorrere la sua esperienza a capo di un gruppo automobilistico con duecentomila dipendenti, nel pieno della crisi iniziata proprio nel 2008, esperienza che lo aveva assorbito completamente con i suoi molteplici e, appunto, giganteschi aspetti. Il profilo dei quali nel film è però a dir poco labile, ridotto come è ai rapporti con “l’azionista di maggioranza” (?!) e al conflitto scontato con un vice che scalpita per fare le scarpe al “patron” – interpretato da Fabrice Luchini – alle prese con il lancio di un non meglio precisato modello di alta gamma con motore elettrico, cui tiene molto. Ad esso il “patron” dedica una misteriosa carezza nella galleria del vento (?!): riuscirà a presentarlo al salone di …. Genoveffa (l’ictus gli ha danneggiato la parola e Geneve diventa Genevieve) prima di essere comunque defenestrato per ragioni piuttosto vaghe.
E qui comincia un’altra storia ancora, quella del recupero non solo fisico ma interiore del “patron” disoccupato. Streiff racconta di aver partecipato alla sceneggiatura, ma il suo contributo è stato ridotto ad una serie di piccoli e grandi eventi realmente accadutigli e sparsi nel film, a cominciare dal malore in ufficio: ma, come si diceva siamo decisamente altrove, a cominciare dalla figura stessa del “patron”, nella quale d’altronde Streiff non si riconosce. Il CEO cinematografico si trasforma, grazie alla malattia, in un essere finalmente umano dall’antipatico, arrogante, anaffettivo decisionista che Luchini incarna con l’abituale bravura, districandosi fra intermezzi buffi e/o sentimentali: ma è lo stereotipo di un “patron”, che potrebbe occuparsi indifferentemente di elettrodomestico o di finanza, mentre lo spessore specifico del “mestiere da giganti” non interessa al regista.
Ne è nato un film che non resterà nella storia del cinema, ma grazie a Luchini ed alla simpatia un po’ a buon mercato sparsa a piene mani, si lascia bene o male vedere. Resta il dubbio – e da qui una modesta proposta – che si sarebbe potuto partire dalla vicenda di Streiff per tentare di restituire, una volta tanto, gli odori delle catene di montaggio e della sale di riunioni, il profumo dei saloni e il clangore soffocato degli scontri di potere, la fatica e i conflitti che si accompagnano alla fantasia ed alla creatività per portare alla luce un’automobile (e venderla).
Molto interessante. Che spinge ad una analisi psicologica su di un ambiente spesso spietato e quasi cinico: il dietro le quinte di una facciata edulcorata.